Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22273 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. I, 03/11/2016, (ud. 14/09/2016, dep. 03/11/2016), n.22273

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12426-2011 proposto da:

TOMEC S.R.L., (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA YSER 8, presso

l’avvocato PIER FRANCESCO NUZZI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARIO ZULIANI, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

GRIGLIATI BALDASSAR S.R.L., (C.F./p.i. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA A. CHINOTTO 1, presso l’avvocato ERMANNO PRASTARO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO PICCIONE, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1175/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato PIER FRANCESCO NUZZI che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Grigliati Baldassar s.r.l., titolare di un brevetto per modello di utilità denominato “(OMISSIS)”, concernente una maniglia retrattile per il sollevamento di chiusini, conveniva in giudizio, all’esito di un procedimento di descrizione, la Tomec s.r.l., chiedendo che venisse accertato che l’analogo dispositivo venduto dalla convenuta costituiva contraffazione del brevetto, che fosse accertata l’afferente condotta di concorrenza sleale e che fossero adottate le pronunce di inibitoria, ordine di distruzione dei beni prodotti in contraffazione, risarcimento dei danni e pubblicazione della sentenza.

La Tomec, costituitasi, dichiarava di non contestare la validità dell’avverso brevetto e si impegnava a non vendere ulteriori dispositivi. Contestava invece le domande di concorrenze sleale e di danni.

L’adito tribunale di Venezia, sezione specializzata per la proprietà industriale e intellettuale, accertata la contraffazione del brevetto e la violazione dell’art. 2598 c.c., n. 1, condannava la convenuta al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 7.482,00. Condannava inoltre la convenuta al pagamento per l’intero delle spese del procedimento di descrizione e per la metà di quelle del giudizio di merito.

La sentenza veniva impugnata dalla società Tomec con doglianze afferenti, per quanto ancora in effetti rileva, all’ammontare del danno risarcibile e alla statuizione in punto di spese.

La corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 24-5-2010 e non notificata, rigettava il gravame condannando l’appellante alle ulteriori spese processuali.

Per la cassazione della sentenza d’appello, la Tomec s.r.l. propone ricorso affidato a undici motivi, ai quali l’intimata replica con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Coi primi due motivi di ricorso, la società Tomec denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, e illogica motivazione su un fatto controverso, in ordine alla ricostruzione del prezzo medio posto a base della decisione di conferma dell’ammontare dei danni risarcibili.

Premesso che il giudice di primo grado aveva determinato in Euro 116,00 il prezzo medio di vendita praticato dall’attrice per i prodotti “(OMISSIS)”, e che in appello era stato dedotto che ai fini della media dovevasi considerare la somma dei valori di tutti gli elementi della serie, per poi dividere il risultato dell’addizione per il numero degli elementi stessi, la ricorrente lamenta che la corte distrettuale abbia errato nell’applicazione della formula matematico-statistico appartenente al notorio. Lamenta inoltre, in subordine, l’illogicità della motivazione in ordine al fatto decisivo afferente il calcolo del prezzo medio, influente sull’ammontare del danno.

Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., la ricorrente censura, in stretta connessione coi precedenti, la statuizione d’appello per avere quantificato il danno in via equitativa ricorrendo a criteri del tutto personali e irragionevoli, al posto della corretta formula matematica prevista per eseguire le operazioni.

Coi motivi che vanno dal quarto al sesto, la ricorrente ulteriormente denunzia la violazione dell’art. 132 c.c., comma 2, n. 4, o comunque il vizio di motivazione, per essersi la corte d’appello limitata ad affermare, dinanzi alle doglianze specificamente avanzate, che il procedimento seguito dal primo giudice per determinare i danni era corretto.

Col settimo e con l’ottavo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., e in ogni caso il vizio di motivazione, perchè non sarebbero state considerate le eccezioni basate sui fatti e sui documenti prodotti in causa, con specifico riferimento alle differenze dimensionali e di spessore dei chiusini hinc et inde commercializzati e al settore di riferimento delle imprese.

Anche col nono motivo la ricorrente lamenta l’omessa motivazione su fatto controverso, non essendo stati dalla corte d’appello considerati altri documenti che avrebbero potuto avere incidenza sulla determinazione del quantum risarcibile.

Infine, col decimo e con l’undicesimo mezzo, la società Tomec denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e il vizio di motivazione in ordine alla statuizione afferente le spese processuali, lamentando che la decisione relativa alla fase cautelare di descrizione doveva essere adeguata a quella relativa al successivo giudizio di merito, in considerazione dell’esito finale di tale giudizio.

– I primi nove motivi di ricorso possono essere considerati unitariamente.

I motivi sono in parte infondati e in parte inammissibili.

3. – Emerge dalla stessa trascrizione riportata nel ricorso che nella specie si discuteva del lucro cessante della società titolare del brevetto.

Il giudice di primo grado aveva determinato il danno da lucro cessante secondo equità (art. 2056 c.c., comma 2), tenendo presente il prezzo applicato dall’attrice per il prodotto commercializzato da Tomec in contraffazione del brevetto e all’uopo adoperando prezzi dell’intero chiusino comprensivo della maniglia, in logica considerazione dell’interesse dell’acquirente all’intero dispositivo e non solo alla specifica componente. Poichè i prezzi di vendita di tali prodotti variavano, presso l’attrice, da Euro 11,70 a Euro 220,30, il tribunale aveva determinato il prezzo medio, ai fini del calcolo del lucro cessante, in Euro 116,00, moltiplicandolo poi per 258 in coerenza col numero dei prodotti venduti da Tomec.

La corte d’appello, motivando la decisione nel senso che il tribunale aveva fatto corretto ricorso al criterio equitativo e indicato i dati oggettivi posti a base del ragionamento, ha esplicitamente affermato di condividere i termini del ragionamento medesimo.

In questo modo essa ha adempiuto all’onere di motivazione, in quanto giova rammentare la motivazione della sentenza, in base all’art. 132 c.p.c., deve contenere la “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, e questa corte ha già affermato che tale concisa esposizione non costituisce un elemento meramente formale ma un requisito da apprezzarsi in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento. Sicchè una eventuale sua mancanza può essere fondatamente ritenuta solo quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (cfr. Sez. 6^-5 n. 920-15; Sez. 5^ n. 22845-10).

Va inoltre osservato che, al fine di assolvere l’onere di motivazione, il giudice di appello non è tenuto a esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (v. Sez. 6^-1 n. 25509-14; Sez. 2^ n. 8294-11; Sez. 3^ n. 24542-09).

Da questo punto di vista, quindi, non hanno pregio gli insistiti rilievi della ricorrente, formulati nel contesto di tutti i succitati motivi, a proposito di supposte lacune motivazionali della decisione impugnata.

E’ risolutivo che nell’esercizio del suo prudente apprezzamento delle risultanze istruttorie il giudice deve indicare, con motivazione logica ma anche implicita, solo le ragioni della ritenuta decisività di alcune risultanze istruttorie a preferenza di altre. Per cui, ove ciò sia stato fatto – come nella specie è stato fatto dalla corte d’appello previa condivisione di quanto stabilito dal giudice di primo grado – le censure di illogicità, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (testo pro tempore), non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove rispetto a quanto affermato dalla parte (v. per tutte Sez. un. n. 24148-13).

4. – Manifestamente inconferenti si palesano invece le doglianze incentrate sull’art. 112 c.p.c. (settimo e ottavo motivo), volta che sia stata dedotta, in concreto, una mera asserita omissione valutativa di distinte risultanze documentali.

5. – Viceversa sono infondate quelle, costituenti il cuore del ricorso, facenti leva su presunte violazioni di formule matematico-statistiche messe al fondo del notorio.

La ricorrente assume che la sentenza sia da tal punto di vista in contrasto con l’art. 115 c.p.c. e art. 1226 c.c., oltre che con la logica motivazionale.

Ma l’assunto non può trovare consenso per due ragioni.

Innanzi tutto è doveroso osservare che a base della censura è stato posto un concetto astratto di media matematica, senza attenzione alle modalità accertative dei valori di riferimento.

Visto che la media è solo uno degli indici utili per descrivere un insieme di dati numerici e la loro distribuzione delle frequenze, è ovvio che essa non rileva in sè, ma solo in relazione ai valori che vengono in esame; e l’individuazione di detti valori implica un giudizio di fatto.

Rispetto a essi la tesi della ricorrente è del tutto assertoria.

In secondo luogo è risolutivo dal punto di vista giuridico che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone semplicemente che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare.

Non risulta che la ricorrente abbia mai specificamente contrastato l’affermazione del primo giudice secondo la quale il danno dovevasi ritenere, nella specie, certo.

Poichè allora l’appello della Tomec era stato consegnato (per quel che si apprende) a censure relative alla sola effettiva modalità di quantificazione, in punto di determinazione del prezzo medio di listino dei prodotti da tener da conto onde quantificare il danno e in punto di caratteristiche e consistenze di quei prodotti, l’aspetto decisivo è che la ricostruzione del prezzo medio di un prodotto implica, nel senso già detto, valutazioni di fatto non sindacabili come tali in questa sede di legittimità, nè sotto il profilo della violazione dell’art. 115 c.p.c., nè sotto il profilo del vizio motivazionale. Ed egualmente dicasi per le asserite caratteristiche dimensionali, che si continua a eccepire differenti, dei chiusini commercializzati dalle due società in rapporto all’ambito di rispettiva clientela.

Una violazione dell’art. 115 c.p.c. configurabile solo ove il giudice abbia posto a base della decisione circostanze non ritualmente acquisite al giudizio, o infranto il principio di non contestazione. Il che, evidentemente, non è stato neppure affermato nel caso di specie.

6. – Restano da esaminare gli ultimi due motivi di ricorso.

Con essi la Tomec lamenta una violazione dell’art. 91 c.p.c., e comunque un vizio di motivazione, per avere la corte d’appello mancato di considerare che le spese del procedimento di descrizione, in applicazione del principio di soccombenza che si sostiene esser stata solo parziale, dovevano essere poste a carico di essa Tolmec solo per il 50 %, così come era accaduto per quelle del giudizio di merito. Donde sia il tribunale, sia la corte d’appello, in caso contrario avrebbero dovuto adeguatamente motivare la decisione.

I motivi sono infondati e in parte inammissibili.

Il concetto di soccombenza rilevante ai fini della condanna alle spese si valuta sulla globalità della decisione di merito, non sulle singole questioni (cfr. ex aliis Sez. 3^ n. 4562-14). Il fatto, quindi, che alcune domande (come nella specie quella di pubblicazione della sentenza) siano state disattese, o che altre (come quella di inibitoria) siano state ritenute superate per cessazione della materia del contendere, o che i danni siano stati infine liquidati in misura minore alla pretesa, non incide sulla valutazione di soccombenza della parte convenuta di cui è stata accertata la condotta di concorrenza sleale e pronunciata la condanna al risarcimento dei danni.

Il procedimento di descrizione disciplinato dal codice della proprietà industriale (tanto nella versione applicabile ratione temporis, prima del D.Lgs. n. 131 del 2010, quanto in quella attuale) va annoverato tra i procedimenti cautelari previsti da leggi speciali, ai quali si estende l’applicazione delle norme sul rito cautelare uniforme nei limiti della compatibilità (art. 669-quaterdecies c.p.c.).

Il provvedimento che lo conclude non ha natura anticipatoria, ma funzione essenzialmente accertativa di fatti, in quanto con la descrizione la parte intende procurarsi la prova dell’esistenza dei prodotti integranti violazione del proprio diritto.

Non discutendosi di misure anticipatorie (art. 669-octies c.p.c., commi 6 e 7), al giudice del merito era attribuita la competenza a liquidare le spese del cautelare, e il relativo calcolo poteva avvenire anche mercè una considerazione separata rispetto alle spese del giudizio di merito.

Il calcolo secondo globalità, a differenza della valutazione della soccombenza, non è invero indefettibile e l’unica condizione richiesta ai fini della legittimità della decisione è che non sia infranto il principio secondo il quale le spese non possono mai essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.

Nel caso di specie tale principio non è stato violato, avendo la corte d’appello ritenuto equo compensare parzialmente le spese processuali della sola fase attinente al giudizio di merito.

Il ricorso è quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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