Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22271 del 15/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/10/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 15/10/2020), n.22271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16874-2019 proposto da:

O.N.E., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPINA MARCIANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA

PROTEZIONE INTERNAZIONALE PRESSO LA PREFETTURA U.T.G. DI MILANO,

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso il decreto N. R.G. 47298/2018 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 19/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 19/4/19, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano in ordine alle istanze avanzate da O.N.E. nato in (OMISSIS) volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dallo stato di Edostate in Nigeria aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto era stato ritenuto colpevole della morte della sua ragazza incinta dal padre della stessa.

Il Tribunale di Milano ha ritenuto non credibile la narrazione del ricorrente ed ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8 ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito ha negato il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nel suo paese di provenienza nonchè una situazione di elevata vulnerabilità individuale in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso dall’accaduto.

Avverso il decreto del Tribunale di Milano il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo della controversia in ordine all’effettiva situazione sociale politica ed economica della Nigeria perchè il Tribunale, senza esercitare i poteri istruttori in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non ha riconosciuto la protezione sussidiaria.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, lett. C) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Il primo e secondo motivo di ricorso contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione del Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

La parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

Il Tribunale ha ritenuto che le vicende riferite dal ricorrente non siano credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio cd. attenuato in quanto il racconto reso era generico, confuso, lacunoso e privo di qualsiasi riscontro e pertanto, stante la non credibilità della narrazione della vicenda personale resa dal ricorrente, doveva escludersi l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla situazione individuale dell’istante.

A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente: a) che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. tra molte: Cass. n. 340/19); b)che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre; c) che, quanto alla sussistenza nella zona (Edo State) di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il Tribunale ha adempiuto al proprio dovere di cooperazione istruttoria così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa alla zona di origine dell’Edostate facendo riferimento alle notizie risultanti da vari siti internet da cui ha evinto che non vi sono situazioni critiche di sicurezza e di ordine pubblico nel di provenienza del ricorrente nè un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Il motivo in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria si rileva inammissibile in quanto censura senza peraltro alcun riferimento alla situazione individuale l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente. Del tutto generica, comunque si mostra la doglianza avverso il diniego di protezione umanitaria: il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa del Tribunale di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta/prima sezione civile della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020

 

 

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