Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22271 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/09/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 05/09/2019), n.22271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25124-2018 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LIA MINACAPILLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 2401/2017 del TRIBUNALE di CALTANISSETTA,

depositato il 12/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SAMBITO

MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 12.7.2018, il Tribunale di Caltanissetta ha rigettato le istanze di protezione internazionale avanzate da M.N. nato in Pakistan, proveniente dalla Regione del Kashmir, il quale aveva dichiarato di aver lasciato il suo Paese per la presenza dei mujaheddin, i quali volevano utilizzarlo nei combattimenti con l’esercito indiano. Il Tribunale ha reputato il richiedente non credibile, ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale e non ha ravvisato situazioni di vulnerabilità. M.N. propone ricorso per cassazione per due motivi, resistiti con controricorso dal Ministero.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ed afferma che, in riferimento al contesto socio politico ed economico che caratterizza il Kashmir, funestato da “livelli di violenze, tali da concretare un elevato rischio per la sua incolumità personale, la protezione sussidiaria avrebbe dovuto essergli riconosciuta, anche per il timore di esser assoggettato ad un trattamento inumano o degradante. Il ricorrente fa presente che le motivazioni che lo hanno spinto ad espatriare sono irrilevanti, essendo, invece, decisivo l’elevato rischio per la sua incolumità, invoca il principio dell’onere della prova attenuato che vige nei giudizi aventi ad oggetto la protezione internazionale e l’onere di cooperazione istruttoria che incombe sull’Ufficio.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, per non esser stata riconosciuta la protezione umanitaria.

3. Esclusa, anzitutto l’ammissibilità delle censure riferite all’art. 112 c.p.c., la cui violazione è enunciata in entrambi i motivi, non essendo stata dedotta alcuna omessa pronuncia o, comunque, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il primo motivo è inammissibile.

4. Il Tribunale ha escluso il caso della “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in modo coerente alle indicazioni dei più recenti reports, puntualmente indicati, ed al lume di principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbrario 2009, Elgafaji, C-465/07 e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018), e le relative conclusioni attengono all’apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, il che non è stato dedotto, tendendo, in conclusione, la censura ad una diversa valutazione di merito.

Il riferimento al timore di subire un trattamento inumano o degradante di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), non è ulteriormente coltivato, e del resto la valutazione di non credibilità soggettiva non è stata impugnata e la riferibilità soggettiva e individuale di siffatto rischio rappresenta un elemento costitutivo di tale ipotesi di protezione sussidiaria, in quanto, in presenza di dichiarazioni giudicate inattendibili, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso.

5. Il secondo motivo è inammissibile: il ricorrente non indica, infatti, alcuna specifica situazione di vulnerabilità, non rilevata dal Tribunale, fermo restando che tale situazione deve riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che si liquidano in complessivi Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito. Dà atto dei presupposti per il versamento del doppio contributo D.P.R. n. 115 del 2002 ex art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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