Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22270 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. I, 03/11/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 03/11/2016), n.22270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V.R., e F.V., elettivamente domiciliati in

Roma, al Lungotevere dei Mellini n. 7, presso l’avv. LUCIA

ZACCAGNINI, dalla quale, unitamente agli avv. ANGELO PASINO e

MASSIMO PASINO del foro di Trieste, sono rappresentati e difesi in

virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

CASSA DI RISPARMIO DEL FRIULI VENEZIA GIULIA S.P.A., rappresentata da

U.A., in virtù di procura per notaio Bruno Panella del 14

luglio 2006, rep. n. 71390, elettivamente domiciliata in Roma, al

largo di Torre Argentina n. 11, presso l’avv. DARIO MARTELLA,

unitamente al prof. avv. ALFREDO ANTONINI del foro di Trieste, dal

quale è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste n. 746/11,

pubblicata il 23 novembre 2011;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

maggio 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

uditi i difensori delle parti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CERONI Francesca, la quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. V.R. e F.V. convennero in giudizio la Friulcassa S.p.a., proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 321/06, emesso il 12 aprile 2006, con cui il Presidente del Tribunale di Trieste aveva intimato ad essi attori, in qualità di fideiussori della fallita (OMISSIS) S.r.l., il pagamento della somma di Euro 57.691,89, oltre interessi, a titolo di saldo debitore del conto corrente intestato alla debitrice principale presso la Cassa di Risparmio di Bologna, Filiale di (OMISSIS), dante causa della convenuta.

A sostegno della domanda, contestarono l’importo degl’interessi addebitati sul conto corrente, in quanto calcolati ad un tasso eccedente la soglia usuraria e mediante applicazione della capitalizzazione trimestrale, contrastante con l’art. 1283 c.c., affermando inoltre l’illegittimità dell’addebito della commissione di massimo scoperto, in quanto prevista da una clausola non ribadita in sede di conferma dell’apertura di credito ed applicata sul totale del fido accordato.

Si costituì la convenuta, ed eccepì l’incontestabilità del credito azionato, avendo gli attori prestato fideiussione a prima richiesta, equivalente ad un contratto autonomo di garanzia, nonchè la legittimità degli interessi e delle commissioni addebitate, chiedendo il rigetto della domanda.

1.1. Con sentenza del 12 febbraio 2009, il Tribunale di Trieste rigettò l’opposizione.

2. L’impugnazione proposta dagli opponenti nei confronti della Cassa di Risparmio del Friuli Venezia Giulia S.p.a. (già Friulcassa) è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Trieste con sentenza del 23 novembre 2011.

Premesso che nel contratto autonomo di garanzia il garante si obbliga ad effettuare il pagamento a semplice richiesta del creditore, senza poter opporre eccezioni inerenti al rapporto principale, ivi comprese quelle riguardanti l’invalidità del contratto, salve le ipotesi di escussione fraudolenta della garanzia o di nullità per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, la Corte ha ritenuto di poter procedere all’accertamento della misura usuraria degl’interessi addebitati, osservando che la relativa nullità si comunica anche al contratto di garanzia.

Precisato inoltre che nel giudizio di opposizione era stata fornita la prova del credito azionato mediante la produzione degli estratti conto, ha rilevato che il c.t.u. nominato in primo grado aveva accertato che il tasso effettivo globale, calcolato senza tener conto della commissione di massimo scoperto, in ossequio alle istruzioni impartite dalla Banca d’Italia nel 2006, non era superiore al tasso soglia. Pur osservando che il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, ed il D.L. 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, avevano incluso la commissione di massimo scoperto nel calcolo del tasso effettivo globale, ne ha escluso l’applicabilità al rapporto in questione, anteriore al 2009, affermandone la natura innovativa e non già interpretativa. Al riguardo, ha richiamato le istruzioni originariamente impartite dalla Banca d’Italia ed il D.M. 22 marzo 1997, che escludevano la commissione di massimo scoperto dal calcolo del tasso effettivo globale, nonchè il tenore letterale del D.L. n. 185 cit., art. 2 bis, comma 2, che impone di attenersi alle predette istruzioni fino al 31 dicembre 2009, ritenendo invece inconferente il riferimento degli appellanti alla nota della Banca d’Italia n. (OMISSIS) del 2 dicembre 2005.

Ha ritenuto infine inammissibili, in quanto privi di correlazione con la motivazione della sentenza impugnata, sia il richiamo degli appellanti alle deduzioni del proprio consulente che la riproposizione delle censure avanzate con Patto di citazione in primo grado, contrastante con il principio di specificità dei motivi d’impugnazione.

3. – Avverso la predetta sentenza il V. e la F. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, la Cassa di Risparmio del Friuli Venezia Giulia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa della Cassa di Risparmio in riferimento all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, per carenza dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, che, in quanto non recante l’illustrazione dei lineamenti sostanziali della controversia, ma solo quella dello svolgimento del processo, non consentirebbe di cogliere il senso e la portata dei motivi d’impugnazione.

L’illustrazione dei motivi di ricorso risulta infatti preceduta da un’adeguata premessa, comprendente l’individuazione del rapporto controverso e del credito fatto valere nel procedimento monitorio, nonchè la precisazione delle conclusioni rassegnate in primo grado ed in appello, con l’indicazione delle decisioni adottate e delle difese svolte dai ricorrenti, la cui trascrizione, a corredo dell’illustrazione dei motivi, consente un’immediata comprensione delle censure proposte. Tale modalità di redazione del ricorso, in quanto idonea a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio, deve ritenersi sufficiente a soddisfare il requisito prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ai fini del quale occorre che dal contesto dell’atto di impugnazione possano desumersi gli elementi indispensabili per fornire al giudice di legittimità una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. Un., 18 maggio 2006, n. 11653; Cass., Sez. 3^, 24 luglio 2007, n. 16315; 19 ottobre 2006, n. 22385).

1.1. – Quanto poi alla specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti posti a fondamento del ricorso, la cui mancanza è stata parimenti eccepita dalla controricorrente, la verifica dell’osservanza di tale requisito dev’essere compiuta con riguardo ad ogni singolo motivo di impugnazione, e può condurre alla declaratoria di inammissibilità solo quando si tratti di censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti fungano da fondamento, e cioè quando, senza l’esame di quell’atto o di quel documento, la comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonchè la valutazione della sua decisività, risulterebbero impossibili (cfr. Cass., Sez. Un., 5 luglio 2013, n. 16887).

2. – Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2-bis del decreto-legge n. 185 del 2008 e dell’art. 1, comma terzo, lett. a), della legge 14 maggio 2005, n. 80, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha attribuito natura innovativa all’art. 2-bis cit., senza tener conto dell’equivocità del riferimento nella stessa contenuto alla data di entrata in vigore ed ai contratti in corso, nonchè delle finalità della norma, volta a correggere una prassi amministrativa difforme.

2.1. – Il motivo è infondato.

La questione sollevata dai ricorrenti ha ad oggetto l’interpretazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis, introdotto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2, in particolare la verifica della natura interpretativa o innovativa del comma secondo di tale articolo, e della conseguente applicabilità della relativa disciplina anche ai rapporti esauritisi in epoca anteriore alla sua entrata in vigore. Come emerge dalla sentenza impugnata, infatti, l’apertura di credito in conto corrente posta a fondamento della domanda avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo, concessa con contratto del 16 agosto 2002, ha avuto esecuzione fino allo anno 2006. nel quale, a seguito della chiusura del conto, è stato instaurato il procedimento monitorio: in riferimento a tale rapporto, si pone pertanto il problema di stabilire se il tasso effettivo globale, in relazione al quale dev’essere valutato il superamento del tasso soglia previsto dalla L. n. 108 del 1996, ai tini dell’accertamento del carattere usurario degl’interessi applicati sulle somme annotate a debito dei correntisti, debba essere calcolato tenendo conto anche della commissione di massimo scoperto.

La norma citata, nel prevedere che “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remune-razione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p., e della L. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3”, dispone che “il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione della L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, per stabilire che il limite previsto dall’art. 644 c.p., comma 3, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”.

2.2. Com’è noto, l’emanazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis, trae origine dall’esigenza di risolvere i problemi applicativi suscitati dalla legge n. 108 del 1996, che, ancorando l’individuazione del carattere usurario degl’interessi al dato obiettivo del superamento di un saggio determinato sulla base del tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunera-zioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degl’interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, artt. 106 e 107, rilevato dal Ministero del tesoro nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, aveva fatto sorgere da un lato la questione della riferibilità di tale disciplina anche ai contratti stipulati in epoca anteriore alla sua entrata in vigore (questione risolta negativamente da questa Corte in riferimento ai rapporti esauriti sotto la vigenza della precedente disciplina, e tuttora oggetto di pronunce contrastanti relativamente a quelli ancora pendenti), dall’altro la questione relativa all’individuazione delle componenti da tenere in conto ai fini della valutazione relativa al superamento del c.d. tasso soglia.

Mentre la prima questione è stata parzialmente risolta dal legislatore attraverso l’emanazione del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2001, n. 24, che ha fornito l’interpretazione autentica della legge n. 108 del 1996, la seconda è rimasta finora aperta, soprattutto in riferimento alla possibilità di tenere conto, nel computo del tasso d’interesse, anche della c.d. commissione di massimo scoperto, introdotta dalle norme bancarie uniformi fin da epoca risalente, quale corrispettivo della disponibilità concessa dalla banca al cliente per un determinato periodo di tempo o a tempo indeterminato, e calcolata in percentuale, a seconda dei casi, sulla differenza tra l’importo accordato e quello effettivamente utilizzato o su quest’ultimo. Tale componente, il cui fondamento causale è tuttora oggetto di contestazioni, può costituire, secondo questa Corte, o un accessorio che si aggiunge agl’interessi passivi (come potrebbe inferirsi anche dalla circostanza che, nella prassi bancaria, essa è conteggiata sull’esposizione debitoria massima raggiunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizzate, nel periodo considerato, solitamente trimestrale, nonchè dalla pattuizione della sua capitalizzazione trimestrale), o la remunerazione dell’obbligo della banca di tenere a disposizione dell’accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dalla sua utilizzazione, ed allora dovrebbe essere conteggiata alla chiusura definitiva del conto: quest’ultima qualificazione è stata ritenuta peraltro preferibile, anche alla luce delle indicazioni emergenti dalle istruzioni della Banca d’Italia e dalle successive rilevazioni del tasso soglia, in cui è stato puntualizzato che la commissione in esame non deve essere computata ai fini della rilevazione dell’interesse globale di cui alla legge n. 108 del 1996 (cfr. Cass., Sez. 3^, 6 agosto 2002, n. 11772; v. anche Cass. Sez. L 18 gennaio 2006, n. 1870; 26 gennaio 2014. n. 4518). In particolare, la Banca d’Italia, dapprima in una circolare emanata il 1 ottobre 1996 ed in seguito nelle istruzioni impartite per la rilevazione del tasso effettivo globale medio (aggiornamento al febbraio 2006), ha ribadito che la commissione di massimo scoperto, definita come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto, e calcolata in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento, non entra nel calcolo del tasso effettivo globale, ma viene rilevata separatamente, ed espressa in termini percentuali.

In tale contesto, il D.L. n. l85 del 2008, art. 2 bis, comma 1, aveva introdotto una specifica disciplina per il corrispettivo in questione, avente come finalità essenziale quella di garantire la trasparenza della sua determinazione ed applicazione: esso prevedeva infatti a) la nullità delle clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto, se il saldo del cliente fosse risultato a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido, h) la nullità delle clausole, comunque denominate. che prevedessero una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedessero una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, salvo che il corrispettivo fosse predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all’importo e alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente, e fosse specificatamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento.

Tale disciplina è stata in un primo tempo modificata dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 2, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, il quale ha aggiunto un secondo periodo all’art. 2 bis, comma 2, stabilendo, a pena di nullità della relativa pattuizione, che l’ammontare del corrispettivo omnicomprensivo previsto dal primo comma non potesse comunque superare lo 0,5%, per trimestre, dell’importo dell’affidamento, e demandando al Ministro dell’economia e delle finanze la vigilanza sull’osservanza di tali prescrizioni. In seguito, il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 6 bis, convertito con modificazioni dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, ha inserito la disciplina della commissione di massimo scoperto nel testo unico bancario, introducendo il D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 117 bis, (successivamente modificato dal D.L. 24 marzo 2012, n. 29, art. 1, comma 1), mentre il D.L. 24 gennaio 2012, n. 27, art. 27, comma 4, ha abrogato il D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis, commi 1 e 3.

Nella sua attuale formulazione, l’art. 117 bis cit. consente di prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, oltre a un tasso d’interesse debitore sulle somme prelevate, una commissione onnicomprensiva, calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento, ma non superiore allo 0,5% per trimestre della somma messa a disposizione del cliente. Per gli sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, è prevista invece la possibilità di applicare una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi, e un tasso di interesse debitore sull’ammontare dello sconfinamento. In attuazione di tali disposizioni, è stato poi emanato il D.M. 30 giugno 2012, n. 644, il quale ha disposto che per gli affidamenti la commissione si applica sull’intera somma messa a disposizione del cliente in base al contratto, e per il periodo in cui la somma stessa è messa a disposizione, mentre per gli sconfinamenti la commissione di istruttoria veloce è applicata solo a fronte di addebiti che determinano uno sconfinamento o accrescono l’ammontare di uno sconfinamento esistente, e solo quando vi è sconfinamento avendo riguardo al saldo disponibile di fine giornata.

Allo stato attuale, pertanto, oltre alla commissione di affidamento, non possono essere previsti ulteriori oneri in relazione alla messa a disposizione dei fondi nè all’utilizzo dei medesimi, ivi inclusi la commissione per l’istruttoria, le spese relative al conteggio degli interessi e ogni altro corrispettivo per attività che sono a esclusivo servizio dell’affidamento; per gli sconfinamenti è ammessa invece soltanto la commissione di istruttoria veloce, non eccedente i costi mediamente sostenuti dall’intermediario e definita sulla base di procedure interne adeguatamente formalizzate. che ne individuano i casi di applicazione. Tale disciplina, applicabile dal 1 luglio 2012, è accompagnata dall’espressa comminatoria della nullità delle clausole che prevedano oneri diversi o non conformi rispetto a quanto stabilito (art. 117 bis, comma 3), nonchè dalla previsione dell’obbligo dell’adeguamento dei contratti in corso alla data della sua entrata in vigore, ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 118.

2.3. Nessuna precisazione è invece intervenuta con riguardo alla computabilità della commissione di massimo scoperto nella determinazione del tasso d’interesse da porre a confronto con il tasso soglia, ai fini della valutazione in ordine al carattere usurario degl’interessi, la quale, per quanto riguarda i rapporti anteriori all’adeguamento previsto dalla legge, rimane pertanto affidata alla disciplina dettata dal D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis, comma 2, tuttora vigente.

La formulazione attuale dell’art. 644 c.p., prevede infatti che al predetto fine “si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”, ed a tale disciplina si è adeguata anche la Banca d’Italia, che nelle nuove istruzioni (aggiornamento all’agosto 2009) ha indicato, tra le voci da comprendere nel calcolo del tasso effettivo globale medio anche “la commissione di massimo scoperto laddove applicabile secondo le disposizioni di legge vigenti”. Peraltro, fino al secondo semestre 2009, i decreti ministeriali di rilevazione dei tassi d’interesse escludevano la commissione di massimo scoperto dal calcolo del tasso effettivo globale medio, in conformità delle precedenti istruzioni della Banca d’Italia, e tale prassi ha trovato conforto anche nelle nuove istruzioni, le quali dispongono che fino al 31 dicembre 2009, al fine di verificare il rispetto del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, gli intermediari debbano attenersi ai criteri indicati nelle Istruzioni della Banca d’Italia e dell’UIC pubblicate rispettivamente nella G.U. n. 74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4 maggio 2006, restando pertanto esclusi dal calcolo la commissione di massimo scoperto e gli oneri applicati in sostituzione della stessa, come previsto dalla L. n. 2 del 2009.

Tale opinione non è stata ritenuta condivisibile da questa Corte, la quale, nell’intervenire sulla questione in sede penale, ha riconosciuto al D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis, la portata di norma d’interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., osservando che esso puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi individuati, con la finalità di correggere una prassi amministrativa difforme; è stato pertanto affermato che il chiaro tenore letterale dell’art. 644 c.p., comma 4, impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito, tra i quali rientra indubbiamente anche la commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all’erogazione del credito, giacchè ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente, e funge da corrispettivo per l’onere, a cui l’intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente (cfr. Cass. pen., Sez. 2^, 12 febbraio 2010, n. 12028; 14 maggio 2010, n. 28743; 23 novembre 2011, n. 46669).

Una lettura complessiva della norma in esame, estesa anche alle disposizioni del primo e del terzo comma, oggi abrogati, induce tuttavia a dubitare della possibilità di attribuirle carattere meramente interpretativo, avuto riguardo alla portata decisamente innovativa delle disposizioni che prevedevano espressamente la nullità delle clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto, senza estenderla ai contratti in corso, ma imponendone l’adeguamento entro centocinquanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. Significativo appare d’altronde, in ordine alla portata da attribuire al comma 2, il riferimento dell’art. 644 c.p., comma 2, secondo periodo; ed all’emanazione di una disciplina transitoria volta a stabilire che il limite oltre il quale gl’interessi sono usurari resti regolato dalla disciplina previgente fino alla rilevazione del tasso effettivo globale medio in base alle nuove disposizioni. In quest’ottica. appare ragionevole ritenere che la norma in esame vada ad incidere non già sul quarto, ma sull’art. 644, comma 3, ovvero sulla legge che stabilisce il limite oltre il quale gl’interessi sono sempre usurari, e ravvisarvi pertanto una modificazione dell’intera disciplina della commissione di massimo scoperto, estesa anche agli atti aventi valore regolamentare, che fino all’entrata in vigore della riforma escludevano espressamente tale corrispettivo dal calcolo del tasso effettivo globale medio.

E’ noto d’altronde che la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica (al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione) presuppone l’univoca espressione dell’intento di impone un determinato significato a precedenti disposizioni, in modo da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anterioimente alla sua entrata in vigore, con la conseguente esclusione, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, della possibilità d’intendere la medesima disposizione come diretta ad impone una determinata disciplina solo per il futuro (cfr. Cass., Sez. Un., 29 aprile 2009, n. 9941). Il predetto intento non è desumibile in alcun modo dalla norma in esame, la quale non solo non fa alcun riferimento, nè esplicito nè implicito, all’interpretazione di norme previgenti (diversamente, ad esempio, dal D.L. n. 394 del 2000, significativamente intitolato “Interpretazione autentica della L. 7 marzo 1996, n. 108”), ma contiene espressioni letterali chiaramente indirizzate in senso contrario, differendo alla data di entrata in vigore della legge di conversione la rilevanza dei corrispettivi indicati ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., e dell’art. 644 c.p., e prevedendo, come si è detto, l’emanazione di una disciplina transitoria con decreto ministeriale.

Un argomento decisivo, in favore della portata innovativa della norma in esame, dev’essere infine ravvisato nell’esigenza di assicurare che l’accertamento del carattere usurario degli interessi, dal quale dipende l’applicazione delle sanzioni civili e penali previste al riguardo, abbia luogo attraverso la comparazione di valori tra loro omogenei. Poichè, infatti, ai fini della configurabilità della fattispecie dell’usura c.d. oggettiva, occorre verificare il superamento del tasso soglia, determinato mediante l’applicazione della maggiorazione prevista dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, al tasso effettivo globale medio trimestralmente fissato con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze in base alle rilevazioni effettuate dalla Banca d’Italia conformemente alle citate istruzioni, è necessario che il tasso effettivo globale applicabile al rapporto controverso, da porre a confronto con il tasso soglia, sia calcolato mediante la medesima metodologia.

2.4. – Il motivo va pertanto rigettato, con l’enunciazione del principio di diritto secondo cui, in tema di contratti bancari, la disposizione dettata dall’art. 2-bis, comma secondo, del D.L. n. 185 del 2008, che attribuisce rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p., e della L. n. 108 del 1996, artt. 2 e 3, agl’interessi, alle commissioni e alle provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'”effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, ha carattere non già interpretativo, ma innovativo, e non trova pertanto applicazione ai rapporti come quello in esame, esauritisi in data anteriore all’entrata in vigore della legge di conversione, con la conseguenza che, in riferimento a tali rapporti, la determinazione del tasso effettivo globale, ai fini della valutazione del carattere usurario degl’interessi applicati, deve aver luogo senza tener conto della commissione di massimo scoperto.

3. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2697, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, ai fini della prova del credito azionato, ha ritenuto sufficiente la produzione in giudizio degli estratti conto, senza tener conto delle contestazioni da loro sollevate.

3.1. – Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

In terna di conto corrente bancario, questa Corte ha infatti affermato costantemente il principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, secondo cui gli estratti conto comunicati dalla banca al debitore principale e dal medesimo non impugnati entro il termine di cui all’art. 1832 c.c., costituiscono idoneo mezzo di prova anche nei confronti del fideiussore, non solo ai fini della concessione del decreto ingiuntivo, ma anche nel successivo giudizio di opposizione e in ogni altro giudizio di cognizione, non potendo il fideiussore contestare la definitività delle partite annotate nel conto, ma soltanto far valere l’eventuale invalidità o inefficacia dei rapporti giuridici dai quali traggono origine gli addebiti o gli accrediti (cfr. Cass., Sez. 1^, 19 gennaio 2016, n. 817; 9 giugno 2010, n. 13889; 26 febbraio 1999, n. 1668).

In applicazione di tale principio, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto sufficiente la prova del credito azionato, fornita dalla Cassa di Risparmio mediante la produzione in giudizio degli estratti del conto corrente intestato alla (OMISSIS), dando altresì ingresso al motivo di gravame con cui i ricorrenti, riproponendo un’eccezione già sollevata in primo grado, avevano fatto valere il carattere usurario degl’interessi applicati al conto corrente intestato alla Tecnoimpianti Trieste, ma dichiarandone l’infondatezza, in virtù dell’affermata condivisibilità del criterio di calcolo adottato dal c.t.u. e fatto proprio dal Tribunale. Nel censurare tale statuizione, i ricorrenti si limitano a ribadire l’insufficienza degli estratti conto prodotti, ai fini della prova del credito, senza tuttavia precisare neppure quali ulteriori contestazioni avessero eventualmente sollevato ed in quale fase o atto le avessero proposte, con la conseguenza che il motivo risulta, per tale profilo, carente di specificità.

4. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente e inadeguata motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, sostenendo che, nel ritenere inconferenti il richiamo alla nota della Banca d’Italia n. 1166966 del 2 dicembre 2005 ed alle osservazioni del consulente di parte e le altre censure da loro proposte, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della specificità delle contestazioni sollevate in sede di gravame relativamente alle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado, della quale si è limitata a riportare integralmente la motivazione.

4.1. Il motivo è infondato.

A sostegno delle proprie censure, i ricorrenti riportano infatti nel ricorso le argomentazioni svolte nella comparsa conclusionale depositata nel giudizio di appello, parte delle quali, avendo ad oggetto la determinazione del tasso effettivo globale da tenere in conto ai fini dell’accertamento del carattere usurario degl’interessi, hanno trovato puntuale risposta nella sentenza impugnata, mentre per altre, riguardanti la capitalizzazione trimestrale degl’interessi, non risulta dimostrata la corrispondenza a censure articolatamente illustrate nell’atto di appello. Il requisito della specificità dei motivi di gravame postula infatti che alle argomentazioni della sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, finalizzate ad inficiarne il fondamento logico-giuridico, in quanto le statuizioni di una sentenza non sono scindibili dalle argomentazioni che la sorreggono: è pertanto necessario che l’atto di appello contenga tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione, non essendo al riguardo ammissibile che l’esposizione delle argomentazioni venga rinviata a successivi momenti o atti del giudizio, ovvero addirittura al deposito della comparsa conclusionale (cfr. Cass., Sez. Il, 27 gennaio 2011, n. 1924; Cass. Sez. 3^, 23 febbraio 2006, n. 4019; 1 aprile 2004, n. 6396).

5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, e condanna V.R. e F.V. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, ivi compresi Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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