Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2227 del 30/01/2017


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Cassazione civile, sez. I, 30/01/2017, (ud. 29/11/2016, dep.30/01/2017),  n. 2227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del direttore p.t., rappr. e dif.

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Imprint s.r.l. in liquidazione in concordato preventivo, in persona

del liquidatore p.t., rappr. e dif. dall’avv. Gianfranco Benvenuto,

elett. dom. presso lo studio dello stesso in Milano, via Mauro

Macchi n. 27, come da procura a margine dell’atto;

EQUITALIA NORD s.p.a., (incorporante Equitalia Esatri s.p.a.), in

persona del l.r.p.t., rappr. e dif. dagli avv. Andrea Romano,

Cristiano Romano e Lidia Ciabattini, elett. dom. presso lo studio

del terzo, in Roma, piazzale Clodio n. 32, come da procura a margine

dell’atto;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza App. Milano 8.5.2012 n. 14199/2012

R.G. n.12916/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 29 novembre 2016 dal Consigliere relatore dott. Massimo

Ferro;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’improcedibilità ex

art. 369 c.p.c. del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, in subordine

l’accoglimento e l’accoglimento del ricorso di Equitalia.

Fatto

IL PROCESSO

Agenzia delle Entrate impugna la sentenza App. Milano 8.5.2012 n. 14199/2012 con cui venne respinta la “opposizione” da essa e da Equitalia Nord s.p.a. proposta avverso il decreto Trib. Milano 26.10.2011 di omologazione del concordato preventivo di Imprint s.r.l. in liquidazione e ciò sul presupposto che il voto contrario da entrambe espresso dopo l’adunanza dei creditori non potesse essere qualificato alla stregua di valido voto dissenziente, conseguendone il difetto di legittimazione in capo a tale creditore a proporre una opposizione avente per oggetto la convenienza della proposta, iniziativa riservata ai soli creditori dissenzienti.

Rilevò la corte che nei venti giorni successivi all’adunanza, ai sensi della L. Fall., art. 178, comma 4 vigente, non potevano essere proposti che voti adesivi al concordato, essendo circoscritto il dissenso ad una votazione negativa interna alla adunanza stessa: ciò implicava che siffatto voto, per come espresso da Agenzia delle Entrate ed Equitalia, equivaleva ad un “non voto”. Per conseguenza, a tali creditori doveva essere negata la stessa possibilità di opporsi instaurando un giudizio di convenienza L. Fall., ex art. 180, comma 4. Nè sussisteva un limite di regolarità della procedura L. Fall., ex art. 172, avendo il commissario depositato la relazione nei tre giorni anteriori.

Infine, quanto alla transazione fiscale, Equitalia, verso il cui reclamo era stata avanzata eccezione di tardività dalla società debitrice, aveva contrastato l’utilizzo di un istituto del tutto facoltativo.

Il ricorso è affidato ad un motivo, cui aderisce Equitalia, mentre ad esso resiste – parimenti con controricorso – la società in concordato. La società Imprint ha depositato memoria.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, quanto alla L. Fall., artt. 178 e 180, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo erroneamente la corte d’appello disconosciuto in capo al ricorrente la qualità di creditore legittimato al voto, solo perchè il dissenso era stato espresso dopo l’adunanza ed invece risultando permessa l’opposizione a qualunque interessato.

Va preliminarmente disattesa l’eccezione di improcedibilità formulata dal Procuratore generale in ordine al ricorso di Agenzia delle Entrate, posto che dal raffornto tra la data di notifica telematica del decreto App. Milano impugnato (8.5.2012) e l’inizio del procedimento notificatorio del ricorso (11.6.2012) non trascorse un termine eccedente quello massimo ad impugnare, ciò rendendo irrilevante il deposito della copia notificata del provvedimento stesso. Si applica infatti alla vicenda il principio per cui “In tema di concordato preventivo, al decreto emesso, ai sensi della L. Fall., art. 183, comma 1, dalla corte d’appello, che decida sul reclamo avverso il decreto di omologazione, si applica il rito camerale di cui agli artt. 737 c.p.c. e segg., sicchè è ricorribile per cassazione entro il termine ordinario di sessanta giorni, decorrenti dalla data di notificazione dello stesso, non potendo applicarsi per analogia la disciplina prevista per il concordato fallimentare dalla L. Fall., art. 131 e riformata con il D.Lgs. n. 169 del 2007, attesa la compiutezza della disciplina del concordato preventivo e la diversità dei presupposti oggettivi in cui interviene la rispettiva omologazione (impresa fallita da un lato e “in bonis” dall’altro).” (Cass. 21819/2016, 22932/2011).

1. Il motivo è fondato laddove censura la ritenuta non ammissibilità di una opposizione da parte di creditori che, pur non avendo manifestato all’adunanza il proprio dissenso, esplicitino la rispettiva contrarietà all’omologazione del concordato, come avvenuto in fatto, nei 20 giorni successivi. La questione, da inquadrare alla luce della disciplina anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134), si connette alla portata di due norme: la L. Fall., art. 178, comma 4, per il quale Le adesioni, pervenute per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale, sono annotate dal cancelliere in calce al medesimo e sono considerate ai fini del computo della maggiorana dei crediti e la L. Fall., art. 180, il cui comma 2 statuisce che Il debitore, il commissario giudiziale, gli eventuali creditori dissenzienti e qualsiasi interessato devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata. Proprio questa seconda disposizione, in via logicamente pregiudiziale, sconfessa la ratio decidendi della corte milanese, la quale ha erroneamente associato il dissenso tempestivo alla legittimazione ad opporsi all’omologazione. Per contro, già questa Corte segue l’indirizzo, cui prestare adesione, per cui “In tema di legittimazione alla opposizione nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, la locuzione “qualunque interessato”, prevista dalla L. Fall., art. 180, comma 2, non è necessariamente riferibile soltanto a soggetti diversi dai creditori, essendo invece suscettibile di comprendere i creditori non dissenzienti, quali coloro che non abbiano votato favorevolmente alla proposta per non aver preso parte all’adiunanza fissata per il voto, o perchè non convocati o, ancora, perchè non ammessi al voto o, infine, perchè astenuti; tali soggetti, infatti, prospettano l’interesse diretto e attuale al giudizio per contrastare l’omologazione, in riferimento al trattamento loro riservato, al di là e in aggiunta a chiunque altro, a qualunque titolo, abbia interesse ad opporsi all’omologazione. (Fattispecie relativa ai creditori fiscali astenuti all’adunanza dei creditori e successivamente autori di dichiarazione contraria alla transazione fiscale).” (Cass. 13284/2012). La citata prospettazione di interesse attuale e concreto al giudizio a maggior ragione si rinviene nella posizione di chi, come la ricorrente e la controricorrente adesiva, abbiano fatto constare nei 20 giorni successivi di cui alla L. Fall., art. 178, comma 4 il loro espresso dissenso. Tanto più che di recente questa Sezione ha puntualizzato come “LA legittimazione ad impugnare il decreto di omologazione del concordato preventivo discende unicamente dall’avere assunto l’impugnante la qualità di parte in senso formale nel giudizio di cui alla L. Fall., art. 180 ed essere ivi rimasto soccombente” (Cass. 3954/2016). In questo senso la sentenza non è condivisibile.

2. Tuttavia l’intreccio tra la sbrigativa equiparazione operata dalla sentenza, fra creditori dissenzienti tempestivi (cioè esprimenti contrarietà formale al concordato in sede di operazioni di voto) e legittimazione alla opposizione fondata su un giudizio di convenienza, appare errato ove dovesse condurre, come nella speculare prospettazione di contrasto introdotta in una parte degli argomenti di Agenzia delle Entrate e di Equitalia, al suo rovesciamento assoluto. Ove cioè si volesse conferire indiscriminata abilitazione a far riaccertare la convenienza del concordato, nella locuzione tecnica del cram down di cui alla L. Fall., art. 180, comma 4, ratione temporis vigente, verrebbe elusa una concorrente ma autonoma delimitazione normativa: il giudizio di convenienza appare già essere stato espresso dalla maggioranza dei creditori, nè nella fattispecie risultano le condizioni per una sua riapertura.

Infatti Agenzia delle Entrate ed Equitalia facevano sì parte di una classe all’apparenza dissenziente (la classe 1, dei privilegiati da pagarsi al 40%), ma esse non avevano fatto constare tempestivamente il loro dissenso, di fatto non votando all’adunanza. La regola di decisione in sede di rinvio dovrà dunque ispirarsi al predetto comma 4, per cui Se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio. Nell’ipotesi di cui al secondo periodo dell’art. 177, comma 1 (concordato con classi approvato a maggioranza delle stesse) se un creditore appartenente ad una classe dissenziente contesta la convenienza della proposta, il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. Si può invero ripetere quanto osservato da Cass. 13284/2012 per la quale “a nulla rileva, con riguardo ai creditori astenuti in sede di voto, che abbiano successivamente all’adunanza, nei 20 giorni concessi per esprimere la adesione, manifestato il loro dissenso, giacchè se essa non vale, a causa della tardività, a farli annoverare nella categoria dei creditori dissenzienti considerata dall’art. 180, giova includerli in quella degli interessati, innegabilmente riconoscibile essendo l’interesse a partecipare al giudizio di omologazione di coloro che ritengano di trovare pregiudizio alle proprie ragioni nella omologazione del concordato e per i quali non sussiste l’ostacolo costituito dal voto favorevole in sede di adunanza”.

3. Il creditore non votante tempestivo, non adesivo nei 20 giorni successivi all’adunanza, esprimente in tale periodo la propria contrarietà alla proposta ed infine costituitosi, se comunque opponente nel giudizio di omologazione, per tale sola veste è abilitato a provocare un controllo sulla regolarità della procedura e la verifica della permanente sussistenza dei suoi presupposti di ammissibilità di natura non ampliativa rispetto alle verifiche comunque già ricadenti tra i doveri del tribunale. Tale creditore può aggiungere – oltre a fatti impeditivi dedotti a contrasto dell’omologazione e da censire L. Fall., ex art. 180, comma 4, primo periodo ed eventualmente art. 173. nel testo vigente – altresì singole vicende individuali e a sè proprie, ma senza estensione del thema decidendum sino a ricomprendere le valutazioni sulla convenienza, collettiva o anche solo singolare. Queste ultime, anche ai sensi della disposizione di cui alla L. Fall., art. 180, comma 4, seconda parte storicamente vigente, esigevano un interesse normativamente qualificato (l’avvenuta espressione tempestiva di un voto di dissenso in una classe a sua volta dissenziente) nella vicenda nemmeno allegato ed anzi positivamente escluso dal decreto.

4. Osserva peraltro il Collegio che tale specificazione restrittiva della posizione del creditore cui la legge attribuisce la legittimazione a provocare il giudizio di convenienza appare coerente con la pur non esplicita dizione di creditore appartenente a classe dissenziente che, per altra tesi, sembrerebbe configurare una indistinta veste di abilitato al predetto giudizio in favore di un qualsivoglia creditore inserito in quel raggruppamento. Tale opzione interpretativa finirebbe però con il conferire in modo indistinto a creditori votanti e non votanti, adesivi o dissenzienti, financo astenuti dalla votazione o tardivi o semplicemente assenti, un pari ruolo, attraverso la importante leva della titolarità di un’opposizione di merito, che invece la riforma – anche nella versione qui applicabile – dal suo esordio ha voluto per un verso conferire ad un raggruppamento qualificato dei creditori (le classi di minoranza) e per altro, in via successiva (cioè a date condizioni di approvazione comunque avvenuta), soltanto ad alcuni rispettivi creditori. Per questa ragione la “appartenenza” di cui alla L. Fall., art. 180, comma 4, già per come qui rilevante, esige una rappresentatività qualificata del creditore che, proprio attraverso il voto e dunque nelle forme di espressione previste, abbia manifestato anch’egli palese contrarietà al progetto ristrutturativo del debitore, potendosi cioè affermare una omogeneità di interesse piena con la classe dissenziente. Infatti, a proporre l’opposizione di merito, nel nostro sistema, non nè la classe (frutto del mero coordinamento organizzativo conseguente ad un’iniziativa divisiva del debitore), nè un suo rappresentante ad hoc (mancando ogni soggettività di quella comunità, organizzata a sua volta dal legislatore solo al fine del voto). E dunque anche chi ne andrà poi a rappresentare in giudizio le ragioni – allargando l’oggetto dell’accertamento del giudizio omologatorio – non può che essere un creditore esponenziale della classe dissenziente, che cioè abbia fatto constare, secondo i tempi e i modi voluti dalla norma, l’indispensabile dissenso. Si tratta dunque di una disposizione da intendersi restrittivamente, così da conferire una più sicura giustificazione anche all’esclusione, parimenti propria della riforma, di ogni equiparazione tra voto negativo e potere di provocare il giudizio di convenienza, che infatti non sarebbe possibile – com’è noto – in capo ad altri creditori egualmente dissenzienti, come quelli che hanno votato contro la proposta ma in una classe risultata consenziente a maggioranza.

5. L’accoglimento conseguente del ricorso, con la cassazione del decreto milanese, può peraltro accompagnarsi a decisione sul merito della originaria domanda di opposizione, non necessitando essa di attività istruttoria: appare invero pacifico, come ribadito da Agenzia delle Entrate a pag. 6 del ricorso, punto b), che l’opponente ebbe ad impugnare l’omologazione del concordato contrastando la valutazione di convenienza della proposta, valutazione cui il giudice di merito legittimamente non potrebbe comunque accedere, stanti i limiti di legittimazione degli opponenti. Ciò determina, per altra decisiva ragione, un apprezzamento di inammissibilità della opposizione di Agenzia delle Entrate e di Equitalia, per come svolta.

A tale decisione segue la declaratoria di integrale compensazione delle spese fra le parti del giudizio, comprensivo della fase di merito, tenuto conto del vizio della pronuncia impugnata e della formazione di un orientamento giurisprudenziale, per come applicato, non anteriore ai fatti processuali esaminati.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa e, decidendo nel merito, dichiara inammissibili le opposizioni di Agenzia delle Entrate ed Equitalia Nord s.p.a. all’omologazione del concordato preventivo della Imprint srl; dichiara la compensazione fra le parti delle spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2017

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