Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2227 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/01/2019, (ud. 15/11/2018, dep. 25/01/2019), n.2227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20217/2017 proposto da:

F.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO CANESTRELLI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA GRIGOLI, GIOVANNI

SPADI;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE 117, presso

lo studio dell’avvocato GIULIA PERIN, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ALBERTO FERRARESE, GIANLUCA SPOLVERATO;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3352/2017 del TRIBUNALE di VERONA, depositata

il 26/7/2017 r.g.n. 13430/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato GIULIA PERIN.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 26 luglio 2017, il Tribunale di Verona rigettava l’opposizione proposta da F.C., ai sensi della L. Fall., art. 98, avverso lo stato passivo del Fallimento (OMISSIS) s.r.l., cui era stato ammesso in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751 bis c.c., n. 1, per il credito complessivo di Euro 189.418,61 (di cui Euro 4.405,77 per retribuzione di giugno 2015, Euro 2.598,07 per tredicesima mensilità, Euro 69.530,04 per indennità di mancato preavviso, Euro 112.884,73 per T.f.r., tenuto conto della somma di Euro 32.064,30 già versata al Fondo di Tesoreria dell’Inps: tutte le somme al lordo delle ritenute fiscali e al netto dei contributi previdenziali), oltre interessi legali fino alla (progressiva) liquidazione dell’attivo fallimentare e rivalutazione alla data di esecutività dello stato passivo; con esclusione del credito risarcitorio per illegittimità del licenziamento intimato, per la pregiudizialità di un tale accertamento nella competente sede cognitoria del giudice del lavoro.

Dopo aver dato preliminarmente atto dell’improcedibilità della domanda respinta, dichiarata con sentenza dal Tribunale in funzione di giudice del lavoro successivamente adito dal predetto a seguito del provvedimento di esclusione dallo stato passivo (per avere ritenuto l’accertamento di illegittimità del licenziamento strumentale alla pretesa patrimoniale dell’indennità risarcitoria per violazione formale della procedura di licenziamento collettivo, in esito alla quale era stato intimato quello a F.C., nella cognizione del giudice fallimentare), il Tribunale rigettava nel merito la domanda. In esito ad analitico esame della disciplina regolante la comunicazione della procedura di mobilità alla base del licenziamento collettivo (L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24), esso escludeva, ai fini di rilevanza patrimoniale interessanti la procedura concorsuale, l’illegittimità del licenziamento per il vizio denunciato dal lavoratore di mancata comunicazione di avvio della procedura di mobilità a Federmanager, associazione sindacale indicata come la più rappresentativa dei dirigenti (categoria cui egli apparteneva) dello specifico settore (metalmeccanico) della società datrice. E ciò per le seguenti ragioni: a) sufficienza dell’inoltro (regolarmente avvenuto) della comunicazione di avvio alla R.S.U. ed alle associazione sindacali di categoria (Fim-Cisl, Fiom. Cgil, Uilm Uil), dovendo queste essere intese in riferimento al settore merceologico dell’impresa e non al profilo professionale del lavoratore impugnante il licenziamento (nel caso di specie: dirigente); b) difetto di prova della ragione della comunicazione preventiva proprio a Federmanager e non ad altre organizzazioni; c) mancanza di prova del concreto pregiudizio subito dal lavoratore, di essa onerato, per l’omessa comunicazione.

Con atto notificato il 21 agosto 2017, il lavoratore ricorreva per cassazione con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resisteva la curatela fallimentare con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4 e art. 24, comma 1 quinquies, introdotto dalla L. n. 161 del 2014, art. 16 (cd. Legge Europea 203 bis), a seguito della sentenza CGUE 13 febbraio 2014, in causa C-596 (di non conformità della disciplina dei licenziamenti collettivi alla Direttiva 98/59/CE per esclusione dei dirigenti dalla normativa nazionale sulla riduzione collettiva del personale), di esplicita (e innovativa) previsione della comunicazione preventiva, relativa alla procedura di mobilità di avvio del licenziamento collettivo (con le relative conseguenze risarcitorie in caso di sua mancanza), anche alle organizzazioni sindacali dei dirigenti maggiormente rappresentative (qui Federmanager, in quanto firmataria, come documentato, del CCNL applicato a F.C.), nel caso di specie omessa.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione della L. n. 223 del 1991, art. 24, comma 1 quinquies, per esclusione della necessità di prova di un danno, presunto in via assoluta dalla norma, esigente la sola valutazione dell’entità della misura del risarcimento (da dodici a ventiquattro mensilità, in relazione alla natura e alla gravità della violazione), invocata nel massimo per la mancanza assoluta di coinvolgimento dell’associazione di rappresentanza sindacale del dirigente e la durata ultratrentennale del rapporto di lavoro con la datrice.

3. I due motivi possono essere congiuntamente esaminati, per la loro evidente connessione.

3.1. Essi sono fondati.

3.2. Osserva la Corte come F.C., dipendente di (OMISSIS) s.r.l. (poi fallita) dal 21 settembre 1981 al 12 giugno 2015 con qualifica di dirigente, sia stato da questa licenziato senza preavviso il 12 giugno 2015, in esito alla procedura di mobilità per cessazione di attività, ai sensi della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24, avviata il 1 giugno 2015. E senza alcuna comunicazione nè coinvolgimento consultivo di associazioni sindacali rappresentative dei dirigenti, a norma della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2 e L. n. 300 del 1970, art. 19, nell’ambito della prescritta procedimentalizzazione dei poteri imprenditoriali nella gestione della dichiarazione di mobilità e in materia di riduzione del personale, per una corretta e coordinata articolazione del confronto tra impresa, sindacati e poteri pubblici, conformemente alle indicazioni contenute nelle Direttive comunitarie (75/129/CEE, modificata dalla direttiva 92/56/CEE e quindi 98/59/CE).

3.3. Ebbene, proprio in riferimento agli obblighi incombenti in forza dell’art. 1, paragrafi 1 e 2 di quest’ultima direttiva (98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), la sentenza C.G.U.E. 13 febbraio 2014, nella causa C-596/12, ha accertato il venir meno della Repubblica italiana ad essi, per l’esclusione, mediante la L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9 (recante norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità Europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), della categoria dei “dirigenti” dall’ambito di applicazione della procedura prevista dall’art. 2 della direttiva.

Sicchè, con la L. 30 ottobre 2014, n. 161, art. 16 (Legge Europea 2013bis), il legislatore ha provveduto all’armonizzazione della normativa interna con l’inserimento nella L. n. 223 del 1991, art. 24, comma 1, del comma quinquies, che stabilisce: “Nel caso in cui l’impresa o il datore di lavoro non imprenditore, ricorrendo le condizioni di cui al comma 1, intenda procedere al licenziamento di uno o più dirigenti, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 4, commi 2, 3, con esclusione dell’ultimo periodo, artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 14, 15 e /5bis, e all’art. 5, commi 1, 2 e 3, primo e quarto periodo. All’esame di cui all’art. 4, commi 5 e 7, relativo ai dirigenti eccedenti, si procede in appositi incontri. Quando risulta accertata la violazione delle procedure richiamate all’art. 4, comma 12, o dei criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1, l’impresa o il datore di lavoro non imprenditore è tenuto al pagamento in favore del dirigente di un’indennità in misura compresa tra dodici e ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alla natura e alla gravità della violazione, fatte salve le diverse previsioni sulla misura dell’indennità contenute nei contratti e negli accordi collettivi applicati al rapporto di lavoro”.

E tale norma, ha indubbiamente esteso, a seguito della citata sentenza della C.G.U.E., l’applicabilità della procedura di mobilità anche ai dirigenti, in adempimento degli obblighi comunitari derivanti dalla direttiva n. 98/59/CE, con disposizione già ritenuta dichiaratamente integrativa e non di interpretazione autentica (Cass. 8 marzo 2018, n. 5513, che ne ha escluso l’applicazione per tale ragione a procedure, interessanti la posizione dei dirigenti, anteriori alla sua entrata in vigore; neppure avendo reputato disapplicabile l’impianto normativo della L. n. 223 del 1991, nel testo vigente prima delle modifiche recate dalla L. n. 161 del 2014, art. 16, per contrasto con la Direttiva n. 98/59/CE, dovendo essere esclusa l’efficacia diretta delle direttive prima della loro attuazione nei rapporti cd. orizzontali, secondo la giurisprudenza della C.G.U.E. ed in particolare della sentenza 26 febbraio 1986, in causa C-152/84, Marshall: attesa la finalità della disciplina dei licenziamenti collettivi di regolare interessi esclusivamente attinenti a situazioni soggettive private, del datore di lavoro e del lavoratore; nè venendo meno tale caratteristica, per l’impatto economico e sociale normalmente connesso all’adozione di dette procedure, per le quali è previsto il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, anch’esse soggetti privati, ovvero per il mero obbligo di comunicazione all’autorità pubblica del progetto di licenziamento, insuscettibile di evidenziare l’esistenza di uno specifico e diretto interesse collettivo distinto da quello degli altri soggetti privati coinvolti).

Or non è dubbio che l’obbligo di consultazione sindacale delle associazioni maggiormente rappresentative dei dirigenti, introdotto dalla norma citata applicabile ratione temporis, sia stato violato nel caso di specie.

3.4. Giova ribadire, infatti, che nessuna comunicazione è stata indirizzata all’associazione sindacale rappresentativa dei dirigenti, a norma della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2 e L. n. 300 del 1970, art. 19, nè essa è stata in alcun modo consultata.

Tenuto conto della necessità di una capacità dell’organizzazione sindacale di accreditarsi come interlocutrice stabile dell’imprenditore, costituita in via sintomatica dalla stipulazione di un contratto collettivo con caratteristiche tali da attestare l’effettività dell’azione sindacale, per la rappresentanza di un arco di interessi più vasto di quello dei soli iscritti e pertanto firmataria di contratti collettivi normativi, secondo l’indicazione della L. n. 300 del 1970, art. 19 (Cass. 11 luglio 2008, n. 19275; Cass. 5 luglio 2016, n. 13677, in riferimento all’individuazione nelle associazioni sindacali firmatarie del c.c.n.l. di settore delle sigle sindacali da ammettere alla stipula del nuovo contratto collettivo di lavoro di diritto privato, a seguito della trasformazione dell’Agenzia del demanio in ente pubblico economico), l’associazione sindacale della categoria dei dirigenti (cui appartenente il lavoratore licenziato) non può che essere Federmanager: in quanto appunto firmataria del CCNL applicato, come è stato esplicitamente allegato da F.C. (al p.to 3 di pgg. 3 e 4 del ricorso, in riferimento al giudizio di opposizione allo stato passivo e quindi al secondo capoverso di pg. 9 e alla fine del primo periodo di pg. 13 del ricorso).

3.5. Infine, la norma è chiara nella previsione di un’indennità in via automatica, salva la determinazione della sua misura (compresa tra dodici e ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto), avuto riguardo alla natura e alla gravità della violazione, con valutazione rimessa evidentemente al giudice di merito: indipendentemente dalla prova di un danno.

4. Dalle superiori argomentazioni discende coerente l’accoglimento del ricorso, con la cassazione del decreto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Verona in diversa composizione.

PQM

La Corte

accoglie il ricorso; cassa il decreto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Verona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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