Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22269 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. I, 03/11/2016, (ud. 17/03/2016, dep. 03/11/2016), n.22269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FORTE Fabrizio – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

BANCA CARIGE – CASSA DI RISPARMIO DI GENOVA E IMPERIA S.P.A., in

persona del condirettore generale p.t. O.G.,

elettivamente domiciliata in Roma, al piazzale delle Belle Arti n.

8, presso l’avv. IGNAZIO ABRIGNANI, dal quale, unitamente all’avv.

FABRIZIO BORCHI del foro di Genova, è rappresentata e difesa in

virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– RICORRENTE, CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE –

e

C.A.G., elettivamente domiciliato in Roma, al viale

G. Mazzini n. 55, presso l’avv. ROBERTO MASTROSANTI, unitamente

all’avv. PAOLO FUBINI del foro di Torino, dal quale è rappresentato

e difeso in virtù di procura speciale a margine del controricorso;

– ricorrente e controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova n. 83/10,

pubblicata il 4 febbraio 2010;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17

marzo 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

uditi i difensori delle parti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. CAPASSO Lucio, il quale ha concluso per il rigetto di

entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – C.A.G. convenne in giudizio la Banca Carige S.p.a., proponendo opposizione al decreto emesso il 23 dicembre 2002, con cui il Tribunale di Genova gli aveva ingiunto il pagamento della somma complessiva di Euro 3.625.623,89, ivi compresi a) Euro 258.228,45 a titolo di scoperto del conto corrente intestato alla Gepco Sale S.p.a., garantito da fideiussione prestata dal C.A. il (OMISSIS), b) Euro 2.065.827,60 in relazione al credito di firma concesso dalla Banca in favore della Sviluppo Immobiliare S.p.a. su richiesta della Gepco S.p.a. con lettere del 6 dicembre 2000 e del 26 febbraio 2002, e garantito da fideiussione prestata dal C.A. il (OMISSIS), e c) Euro 301.567,84 a titolo di scoperto del conto corrente intestato al C.A. e regolato da contratto del (OMISSIS).

A sostegno della domanda, l’opponente eccepì a) in ordine al primo credito, derivante da un conto corrente aperto nel 1995, l’inoperatività della fideiussione, in quanto rilasciata in favore della Gepco S.p.a., incorporata nel 1993 dalla Gepco Sale, e quindi non riferibile alle nuove obbligazioni assunte dalla società incorporante, b) in ordine al secondo credito, l’estinzione della fideiussione, in quanto prestata a garanzia di un credito di firma concesso dalla banca per le obbligazioni assunte dalla Gepco Sale con l’addendum ad un contratto di appalto stipulato l'(OMISSIS) con la Sviluppo Immobiliare, scaduto il 30 novembre 2001, senza che fosse intervenuta una richiesta di proroga o di pagamento, e non riferibile alla nuova garanzia successivamente prestata dalla Banca con atto del (OMISSIS), che riguardava invece le obbligazioni derivanti da un altro addendum contestualmente stipulato.

1.1. – Con sentenza del 20 marzo 2006, il Tribunale di Genova accolse l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e condannando il C. al pagamento del solo importo di Euro 25.420,46, oltre interessi, a titolo di residuo debito relativo allo scoperto del conto corrente personale.

2. – L’impugnazione proposta dalla Banca è stata parzialmente accolta dalla Corte d’Appello di Genova, che con sentenza del 4 febbraio 2010 ha condannato il C. al pagamento dell’importo di Euro 258.228,45, oltre interessi al tasso del 9,25%, confermando nel resto la sentenza impugnata.

In ordine al credito derivante dallo scoperto del conto corrente intestato alla Gepco Sale, la Corte, premesso che il C. aveva prestato fideiussione in favore della Banca con lettera del (OMISSIS), ha rilevato che dal relativo documento risultava che la garanzia era stata prestata in favore della Gepco e di chi fosse comunque subentrato nei rapporti della stessa con la Carige, per l’adempimento di qualsiasi obbligazione dipendente da operazioni di qualsiasi natura, già consentite o che fossero state in seguito consentite al predetto nominativo o a chi gli fosse subentrato: precisato che a seguito dell’incorporazione della Gepco da parte della Victor S.p.a., avvenuta nel 1993, la società incorporante, che aveva successivamente mutato la propria denominazione in Gepco Sale, era succeduta a titolo universale in tutte le obbligazioni dell’incorporata, ha quindi ritenuto che, sebbene tra le predette obbligazioni non fosse compresa anche quella in esame, del tutto nuova ed autonoma, la fideiussione si estendesse anche alla stessa, come confermato dall’atto di fusione, che prevedeva il subingresso dell’incorporante nei rapporti giuridici precedenti e successivi alla delibera di fusione.

Quanto invece alla fideiussione prestata dal C. a garanzia del credito di firma concesso dalla Banca in favore della Sviluppo Immobiliare, la Corte ha ritenuto che la sua efficacia non si estendesse alle obbligazioni assunte dalla Gepco Sale con l’addendum stipulato il (OMISSIS), trattandosi di un nuovo accordo negoziale, successivo alla scadenza della garanzia concessa dalla Banca ed assistito da una nuova garanzia, autonoma rispetto alla precedente, e rispetto alla quale non poteva operare l’impegno assunto dal C. con l’atto del (OMISSIS). Premesso infatti che la fideiussione, rilasciata contestualmente al credito di firma, era scaduta il 30 novembre 2001, senza che fossero intervenute richieste di proroga o di pagamento da parte della creditrice, ha rilevato che la fideiussione concessa dalla Banca in relazione al nuovo addendum costituiva una garanzia nuova rispetto a quella originaria, la quale prevedeva che alla scadenza la Banca avrebbe dovuto comunicare al fideiussore la propria volontà di concedere il rinnovo o la proroga della garanzia, al fine di consentirgli di manifestare la propria volontà di garantire o meno le relative obbligazioni.

3. – Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la Banca Carige per tre motivi ed il C.A. per due motivi, ai quali ciascuna delle parti ha resistito con controricorso, la Banca proponendo anche ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – In via pregiudiziale, va disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi, proposti separatamente ma aventi ad oggetto l’impugnazione della medesima sentenza.

2. – Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., i difensori della Banca Carige hanno rinunciato al primo motivo del ricorso principale ed all’unico motivo del ricorso incidentale, con cui avevano denunciato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 163-bis, 165 e 324 c.p.c., art. 645 c.p.c., comma 2, e art. 647 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di rilevare l’inammissibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo, nonostante la tardiva costituzione in giudizio dell’opponente. A sostegno di tale censura, era stato infatti richiamato il principio, enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la riduzione a metà dei termini di comparizione, prevista dall’art. 645 c.p.c., comma 2, comporta il dimezzamento automatico dei termini di costituzione dell’opponente, anche nel caso in cui l’opponente abbia assegnato un termine a comparire pari o superiore a quello legale, salva la facoltà dell’opposto, che si sia costituito nel termine dimidiato, di richiedere l’anticipazione della prima udienza di trattazione, ai sensi dell’art. 163-bis c.p.c., comma 3, (cfr. Cass., Sez. Un., 9 settembre 2010, n. 19246). Come correttamente rilevato nella memoria, il predetto indirizzo risulta tuttavia superato per effetto della successiva emanazione della L. 29 dicembre 2011, n. 218, con cui il legislatore ha modificato l’art. 645 c.p.c., comma 2, sopprimendo l’inciso che prevedeva la riduzione a metà dei termini di comparizione, ed ha fornito l’interpretazione autentica dell’art. 165 c.p.c., comma 1, stabilendo, in riferimento ai procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo pendenti alla data di entrata in vigore della legge, che la riduzione del termine di costituzione dell’attore prevista da tale disposizione si applica solo se l’opponente abbia assegnato all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all’art. 163-bis c.p.c., comma 1. La predetta rinuncia, che rende superflua una decisione in ordine alla fondatezza della censura, deve ritenersi efficace anche in mancanza della sottoscrizione della parte o del rilascio di uno specifico mandato al difensore, in quanto, implicando una valutazione tecnica in ordine alle più opportune modalità di esercizio della facoltà d’impugnazione e non comportando la disposizione del diritto in contesa, è rimessa alla discrezionalità del difensore, restando pertanto sottratta alla disciplina dettata dall’art. 390 c.p.c. per la rinuncia al ricorso (cfr. Cass., Sez. 1, 9 giugno 2011, n. 12638; Cass., Sez. 5, 15 maggio 2006, n. 11154; 23 ottobre 2003, n. 15962).

3. – Con il secondo motivo d’impugnazione, la Banca deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1322, 1462, 1936 e 1941 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la Corte di merito ha omesso di pronunciare in ordine al motivo di gravame proposto avverso la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva escluso l’inammissibilità o l’improponibilità della opposizione, eccepita da essa ricorrente in virtù delle clausole contenute nelle lettere fideiussorie, approvate specificamente dal C., che prevedevano l’obbligo del fideiussore di pagare immediatamente, a semplice richiesta scritta, quanto dovuto per capitale ed interessi. Afferma che tali clausole comportano un’astrazione di tipo processuale analoga a quella derivante dalla clausola “solve et repete” e non incompatibile con le caratteristiche di accessorietà proprie della fideiussione, che, pur non impedendo al fideiussore di sollevare eccezioni riguardanti la validità del contratto principale e di quello di garanzia, implica la possibilità di agire in ripetizione nei confronti del beneficiario soltanto dopo l’avvenuto pagamento.

3.1. – Il motivo è infondato.

Pur non essendosi fatta carico di confutare specificamente il motivo di gravame riflettente l’astrattezza della garanzia prestata dall’appellato, la Corte territoriale l’ha infatti disatteso implicitamente, essendosi astenuta dal rilevare l’inopponibilità delle eccezioni sollevate dal C.A. in ordine all’inefficacia ed all’estinzione delle fideiussioni prestate, ed avendo pronunciato nel merito delle stesse, con la riforma della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva accolto quella riguardante la fideiussione prestata per lo scoperto del conto corrente intestato alla Gepco Sale, e la conferma dell’accoglimento di quella relativa alla garanzia prestata per il credito di firma concesso dalla Banca. Ciò risulta sufficiente ad escludere la lamentata omissione di pronuncia, che ricorre esclusivamente quando manchi completamente l’esame di una censura mossa alla sentenza di primo grado, e non è pertanto configurabile nel caso in cui tale censura debba considerarsi assorbita o implicitamente rigettata, per essere la decisione fondata su una costruzione logico-giuridica che ne prescinda totalmente o che, come nella specie, risulti razionalmente incompatibile con essa (cfr. Cass., Sez. lav., 26 gennaio 2016, n. 1360; Cass., Sez. 5, 14 gennaio 2015, n. 452; Cass., Sez. 3, 25 settembre 2012, n. 16254).

L’esclusione dell’inopponibilità delle eccezioni riguardanti l’estinzione e l’inefficacia della garanzia trova d’altronde conforto nell’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, che, nell’affermare l’idoneità della clausola di pagamento “a prima richiesta” o “a semplice richiesta scritta” a giustificare di per sè sola la qualificazione del negozio come contratto autonomo di garanzia, distinto dalla fideiussione in quanto fonte di un rapporto di garanzia svincolato dal principio di accessorietà che caratterizza il negozio fideiussorio tipico, ne individua l’effetto essenziale in una modificazione sostanziale della posizione del garante, il quale, a differenza del fideiussore, si obbliga non tanto a garantire l’adempimento, quanto a tenere indenne il beneficiario dal nocumento per la mancata esecuzione della prestazione da parte del debitore, spesso con una prestazione solo equivalente e non necessariamente corrispondente a quella dovuta (cfr. Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3947; Cass., Sez. 3, 27 settembre 2011, n. 19736; 20 ottobre 2014, n. 22233). Tale modificazione dev’essere tenuta distinta dall’astrazione processuale derivante dalla clausola “solve et repete”, in quanto non si risolve nella mera subordinazione della proponibilità delle eccezioni al previo adempimento della prestazione, ma comporta un’immutazione della causa del contratto, che, rendendo l’obbligazione del garante indipendente da quella del debitore principale, esclude l’applicabilità dell’art. 1945 c.c., che proprio in ragione dell’accessorietà della garanzia consente al fideiussore di opporre al creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, ferma restando comunque l’attribuzione al fideiussore della facoltà di eccepire l’escussione fraudolenta della garanzia (c.d. exceptio doli) (cfr. Cass., Sez. 1, 31 luglio 2015, n. 16213; 17 gennaio 2008, n. 903; Cass., Sez. 3, 13 maggio 2008, n. 11890). In quanto avente la propria giustificazione nel venir meno del rapporto di accessorietà tra l’obbligazione del garante e quella del debitore principale, l’inopponibilità delle eccezioni non si estende peraltro a quelle riguardanti l’esistenza o l’efficacia della garanzia, che, in quanto riflettenti l’invalidità o l’inoperatività del relativo contratto, non sono riferibili al rapporto tra il debitore principale ed il creditore, ma a quello tra quest’ultimo ed il garante, ed esulano pertanto dall’ambito applicativo dell’art. 1945 c.c., sul quale incidono le clausole di pagamento “a prima richiesta” o “a semplice richiesta scritta” e le altre consimili (cfr. Cass., Sez. 1, 22 settembre 2015; Cass., Sez. 2, 21 febbraio 2008, n. 4446; Cass., Sez. 3, 7 marzo 2002, n. 3326).

Non può condividersi, in proposito, la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui, anche a voler ammettere l’opponibilità da parte del fideiussore delle eccezioni riferibili al rapporto di garanzia, la stessa avrebbe dovuto essere limitata a quella ritlettente l’avvenuta estinzione della fideiussione prestata per lo scoperto del conto corrente, per effetto dell’estinzione della Gepco in epoca anteriore all’insorgenza del credito fatto valere dalla Banca, non potendo essere estesa a quella riguardante l’inefficacia della fideiussione prestata a garanzia del credito di firma, che era invece riferibile al rapporto principale: in quanto concernente l’individuazione del rapporto contrattuale a garanzia del quale era stata prestata la fideiussione, la deduzione secondo cui quest’ultima riguardava non già le obbligazioni derivanti dal credito di firma concesso per l’addendum stipulato il (OMISSIS), ma quelle scaturenti dall’analoga garanzia prestata per l’addendum stipulato il (OMISSIS), era infatti volta a mettere in discussione l’oggetto stesso del contratto di garanzia, la cui identificazione rappresentava indubbiamente un’operazione indispensabile per valutarne l’operatività.

4. – Con il terzo motivo, la Banca lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1322, 1936 e 1938 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., nonchè l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, rilevando che, nel ritenere inefficace la fideiussione prestata dal C. a garanzia del credito di firma, la Corte di merito si è limitata a (Ndr: testo originale mancante) per cui l’impegno assunto dal fideiussore doveva considerarsi correlato al credito di firma concesso il (OMISSIS) e la fideiussione rilasciata il (OMISSIS) era configurabile come una garanzia nuova, alla quale non era riferibile il predetto impegno. Afferma infatti che quest’ultimo non recava alcun riferimento nè all’addendum nè al credito di firma concesso in pari data, ma solo la previsione dell’obbligo di garanzia, con la fissazione del relativo importo massimo, nonchè la precisazione, trascurata dai Giudici di merito, che la fideiussione avrebbe conservato la sua efficacia anche in caso di successiva modificazione delle modalità di utilizzo e/o delle forme tecniche del credito garantito. Nel dichiarare l’inefficacia della fideiussione prestata dal C., la sentenza impugnata l’ha confusa con la garanzia prestata dalla Banca in favore della Sviluppo Immobiliare, omettendo di rilevare che quest’ultima non era conciata ad una singola fideiussione, con la conseguenza che, quand’anche si fosse estinta l’obbligazione della Banca nei confronti della predetta società, non sarebbe venuta meno quella del C. nei confronti della Banca. Nell’evidenziare l’obbligo, posto a carico di essa ricorrente, di comunicare al fideiussore l’intenzione di concedere rinnovi o proroghe della garanzia, la Corte di merito non ha considerato che lo stesso si riferiva soltanto all’ipotesi in cui il rapporto garantito riguardasse operazioni per loro natura ben definite nello oggetto e nella durata, e non si estendeva quindi alla fideiussione prestata dal C., destinata a conservare efficacia anche in caso di mutamento delle modalità di utilizzo del credito garantito. La sentenza impugnata ha infine omesso di rilevare che il C. era perfettamente al corrente delle richieste di rilascio di garanzia rivolte dalla debitrice principale alla Banca, in quanto, oltre ad essere socio ed amministratore di fatto della Gepco Sale, era contrattualmente obbligato a tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali della debitrice.

4.1. – Il motivo è infondato.

Premesso che il riferimento cumulativo all’art. 112 c.p.c. ed alla carenza di motivazione risulta di per sè contraddittoria, in quanto l’omissione di pronuncia, che costituisce violazione della predetta disposizione, implica l’assoluta mancanza del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, da farsi valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, mentre il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, presuppone che la questione sia stata esaminata e risolta dal giudice di merito, sia pure in modo giuridicamente non corretto o senza adeguata giustificazione (cfr. Cass., Sez. lav., 18 giugno 2014, n. 13866; Cass., Sez. 3, 17 luglio 2007, n. 15882; Cass., Sez. 1, 19 maggio 2006, n. 11844), si osserva che, nell’escludere la possibilità di estendere l’ambito di operatività della fideiussione alle obbligazioni derivanti dal credito di firma concesso a garanzia del secondo addendum, la sentenza impugnata non si è limitata a rinviare alle considerazioni svolte dal Giudice di primo grado; essa ha infatti fornito specifiche risposte alle censure sollevate dall’appellante, rilevando che il nuovo credito di firma era stato rilasciato soltanto in data successiva alla scadenza della fideiussione, richiamando la clausola contrattuale che imponeva alla Banca di comunicare al fideiussore la propria volontà di rinnovare o prorogare la garanzia, ed evidenziando la novità dell’accordo negoziale intercorso tra la Banca e le parti del contratto d’appalto, nonchè la diversità delle obbligazioni garantite dalla Banca: sulla base di tali elementi, la Corte distrettuale ha poi concluso che, in mancanza della prova della predetta comunicazione, la fideiussione non poteva essere estesa alle obbligazioni derivanti dalla nuova garanzia, avuto riguardo alla riferibilità della stessa ad un contratto diverso da quello per il quale era stato rilasciato il primo credito di firma.

Tale iter motivazionale, giuridicamente corretto ed immune da vizi logici, non risulta in alcun modo scalfito dalla contrarie argomentazioni svolte dalla ricorrente, la quale, nel porre in risalto l’assenza di qualsiasi riferimento della fideiussione al primo addendum ed al relativo credito di firma, non tiene conto del valore sicuramente indicativo delle circostanze di fatto dalle quali la sentenza impugnata ha desunto la correlazione con i predetti atti e l’assenza di ogni legame con quelli successivi, vale a dire la contestualità del rilascio della fideiussione rispetto alla stipulazione del primo credito di firma e del primo addendum, e l’anteriorità della scadenza della stessa rispetto alla concessione del nuovo credito di firma ed alla sottoscrizione del secondo addendum. La ragionevolezza del predetto collegamento consente di ravvisare nella lamentata confusione tra la garanzia rilasciata dalla Banca e quella concessa dal fideiussore una mera petizione di principio, priva di concreto riscontro, mentre l’affermazione della ricorrente secondo cui l’estinzione della sua obbligazione nei confronti della Sviluppo Immobiliare non avrebbe comportato anche l’estinzione di quella del fideiussore nei suoi confronti si pone in contrasto con il limite temporale fissato all’operatività della fideiussione, il quale ne escludeva la riferibilità ad obbligazioni insorte successivamente alla scadenza. Quest’ultimo rilievo fa apparire plausibile anche il collegamento istituito dalla Corte di merito tra la previsione del termine e l’imposizione a carico della Banca dell’obbligo di comunicare al fideiussore la propria intenzione di prorogare o rinnovare la garanzia prestata, la cui riferibilità alle sole operazioni definite nell’oggetto e nella durata non impedisce d’altronde di estenderne l’operatività anche al primo credito di firma, avente un oggetto circoscritto alle obbligazioni derivanti dall’addendum a garanzia del quale era stato rilasciato. La mancata dimostrazione dell’avvenuta trasmissione da parte della Banca di un’espressa richiesta di rinnovo della fideiussione comporta infine l’irrilevanza di qualsiasi considerazione inerente alla posizione rivestita dal C.A. nell’ambito della compagine sociale e della gestione della Gepco Sale, ed alla conseguente consapevolezza da parte dell’opponente della situazione economico-patrimoniale in cui versava la società.

5. – Con il primo motivo del suo ricorso, il C.A. denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362, 1370, 1371 e 2504 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel ritenere efficace la fideiussione prestata a garanzia dello scoperto del conto corrente intestato alla Gepco Sale, la sentenza impugnata è incorsa in contraddizione, in quanto, dopo aver riconosciuto che la clausola di pagamento a prima richiesta non impedisce al fideiussore di far valere l’inesistenza o l’inefficacia della garanzia, ha escluso tale possibilità, avendo affermato la totale autonomia del contratto di garanzia dal rapporto sottostante. La Corte di merito ha inoltre omesso di considerare che per effetto della fusione la società incorporata si era automaticamente estinta, con la conseguente cristallizzazione dei rapporti in corso, alla quale era ricollegabile anche l’estinzione della fideiussione, da accertarsi preliminarmente alla qualificazione del rapporto come contratto autonomo di garanzia. Nell’interpretazione della fideiussione, la sentenza impugnata non ha infine tenuto conto dell’intenzione delle parti, consistente nel garantire esclusivamente le obbligazioni della Gepco Sale, dell’avvenuta predisposizione del testo da parte della Banca, che ne imponeva una lettura restrittiva, e della necessità d’intendere il contratto nel senso meno gravoso per l’obbligato.

5.1. – Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

Le contrastanti affermazioni sulle quali il ricorrente pretende di fondare la censura di contraddittorietà non sono infatti ascrivibili alla Corte territoriale, ma alla difesa della Banca, costituendo parte dei motivi di gravame sintetizzati nella premessa della motivazione, il cui accoglimento da parte della sentenza impugnata non è di per sè sufficiente a far ritenere che quest’ultima abbia inteso fare proprie tutte le deduzioni dell’appellante, soprattutto se si considera che, nonostante l’assenza di un’esplicita confutazione delle ragioni fatte valere dalla Banca, la Corte di merito ha sostanzialmente riconosciuto l’opponibilità delle eccezioni riflettenti l’estinzione e l’inoperatività della fideiussione, esaminandole nel merito. Il rigetto delle predette eccezioni, in riferimento al debito derivante dallo scoperto del conto corrente intestato alla Gepco Sale, non trova d’altronde giustificazione nel carattere autonomo della garanzia, ma nell’interpretazione del contratto di fideiussione, in virtù della quale la sentenza impugnata ha ritenuto accertata la volontà del C.A. di prestare fideiussione in favore non solo della Gepco, ma anche di chi fosse comunque subentrato alla stessa nei rapporti con la Banca, ed ha pertanto esteso la garanzia alle obbligazioni assunte dalla Gepco Sale (già Victor S.p.a.), osservando che la stessa era succeduta alla predetta società a seguito di fusione per incorporazione.

Quest’ultimo rilievo trova giustificazione nella circostanza, emergente dalla sentenza impugnata, che la fusione ebbe luogo nell’anno (OMISSIS), e nella conseguente applicabilità della disciplina dettata dall’art. 2504-bis c.c. (nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), alla stregua della quale la giurisprudenza di legittimità ha costantemente individuato l’effetto della fusione per incorporazione nell’estinzione della società incorporata, a sua volta produttiva di una situazione giuridica corrispondente alla successione a titolo universale, con la conseguente sostituzione della società incorporante nei rapporti giuridici attivi e passivi già facenti capo alla società estinta (cfr. Cass., Sez. Un., 28 dicembre 2007, n. 27183; Cass., Sez. 1, 19 maggio 2011, n. 11059; Cass., Sez. lav., 22 marzo 2010, n. 6845). Tale sostituzione non è limitata alla sola titolarità dei debiti e dei crediti derivanti da rapporti già eseguiti, ma comporta anche il subingresso nei rapporti ancora in corso di esecuzione, i quali proseguono nei confronti della società incorporante, analogamente a quanto accade in caso di successione mortis causa, restando pertanto escluse sia l’assedia cristallizzazione delle posizioni soggettive scaturenti da tali rapporti, sia l’estinzione delle relative garanzie, a meno che non risulti provata la volontà delle parti di limitarne l’efficacia alle sole obbligazioni assunte dalla dante causa.

Nel contestare l’esclusione di tale volontà, il ricorrente si limita ad invocare le norme che impongono, nell’interpretazione del contratto, di ricostruire la comune intenzione delle parti e di privilegiare una lettura contra auctorem delle clausole unilateralmente predisposte da uno dei contraenti, nonchè d’intendere il contratto nel senso meno gravoso per l’obbligato, omettendo tuttavia di precisare quali, tra le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, si pongano in contrasto con i predetti criteri, nonchè di riportare nel ricorso le clausole contestate, con la conseguenza che la censura risulta, sotto tale profilo, carente di specificità. La parte che in sede di legittimità intenda far valere un errore di diritto nell’interpretazione di una clausola contrattuale non può infatti limitarsi a richiamare genericamente i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., ma ha l’onere di specificare il modo e le considerazioni con cui il giudice di merito se ne è discostato, nonchè di trascrivere nel ricorso il testo della regolamentazione pattizia del rapporto o delle parti in contestazione, al fine di consentire a questa Corte di cogliere appieno il senso e la portata delle critiche mosse alla sentenza impugnata, prima ancora di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (cfr. Cass., Sez. 3, 3 settembre 2010, n. 19044; Cass., Sez. lav., 15 novembre 2013, n. 25728; Cass., Sez. 1, 22 febbraio 2007, n. 4178).

6. – Con il secondo motivo, il C.A. deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel dichiarare compensate per la metà le spese dei due gradi di giudizio, la sentenza impugnata ha conferito rilievo all’intervenuto accoglimento di una soltanto delle domande proposte dalla Banca, senza tener conto del valore della stessa, notevolmente inferiore a quello della domanda rigettata.

6.1. – Il motivo è inammissibile.

La valutazione delle proporzioni della reciproca soccombenza e la determinazione delle quote in cui le spese debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano infatti nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr. Cass., Sez. 2, 31 gennaio 2014, n. 2149; 5 ottobre 2001, n. 12295; Cass., Sez. 3, 5 maggio 2004, n. 8528).

7. – I ricorsi vanno pertanto entrambi rigettati, con la conseguente dichiarazione dell’integrale compensazione delle spese processuali, avuto riguardo alla reciproca soccombenza delle parti.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi, e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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