Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22266 del 04/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 04/08/2021, (ud. 03/03/2021, dep. 04/08/2021), n.22266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13848-2015 proposto da:

GRUPPO GIOVANNINI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio degli avvocati ARTURO MARESCA, e MONICA GRASSI, che

la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,

LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 90/2014 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 27/11/2014 R.G.N. 45/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2021 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA

Mario, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis,

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Trento, in riforma della sentenza del Tribunale, ha rigettato l’opposizione proposto dal Gruppo Giovannini spa avverso il verbale di addebito contributivo per Euro 3.081.945,00 notificato dall’Inps.

La Corte ha esposto che, a seguito di accesso della Guardia di Finanza, erano stati trasmessi all’Inps i verbali di informazioni assunte nel corso dell’ispezione da 173 dipendenti di cui 34 avevano dichiarato di aver svolto, durante i contratti di solidarietà stipulati con le organizzazioni sindacali il 25/2/2009 e l’8/2/2010 e successiva CIGS, un numero di ore settimanali, in aggiunta a quelle previste nei contratti di solidarietà, superiore a 30 ore e per 24 lavoratori fino a 40 ore settimanali retribuendole o con la retribuzione normale o con l’integrazione e che la società non aveva contabilizzato separatamente queste ore, computandole invece come ore di cassa integrazione, senza detrarla dalle somme dovute all’istituto a titolo di contributi.

La Corte ha affermato, circa l’attendibilità dei rapporti della GdF o dei funzionari dell’Inps, che, pur non facendo piena prova, avevano un’attendibilità che poteva essere inficiata solo da prova contraria, considerato che nella fattispecie erano stati acquisiti anche i verbali delle dichiarazioni dei lavoratori; che inoltre le dichiarazioni erano precise e puntuali e che non sussisteva alcun interesse ex art. 246 c.p.c. dei lavoratori.

Ha osservato, inoltre che non era ravvisabile alcuna nullità dell’atto di accertamento dell’Inps, che le circostanze che l’Inps aveva posto a fondamento della propria pretesa erano tutte provate, e cioè la prestazioni di lavoro oltre le trenta ore e l’omessa comunicazione all’Inps, con la conseguenza che l’Istituto aveva disconosciuto totalmente i contratti di solidarietà per un uso di detti contratti non conforme alle disposizioni di legge.

La Corte ha, dunque, concluso affermando la legittimità della pretesa dell’Inps di recuperare l’integrazione salariale.

2. Avverso la sentenza ricorre la soc Gruppo Giovannini con sette motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste l’Inps. La Procura generale ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 124 del 2004, art. 13, commi 1 e 4, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, art. 33, comma 1.

Censura il rigetto dell’eccezione di nullità del verbale Inps per carenza dei requisiti essenziali, quali identificazione dei lavoratori, specificazione delle attività compiute, individuazione fonti di prova; pur potendosi avvalere degli accertamenti della GdF l’Inps avrebbe dovuto riportare i fatti accertati dall’altro ente, né gli incombenti previsti dalla legge avrebbero potuto ritenersi assolti dalla mera consegna del verbale della GdF, ben due mesi dopo la notifica del verbale Inps.

Il motivo è infondato. In particolare, con riferimento al verbale di accertamento ispettivo della guardia di finanza, cui sembra riferirsi la ricorrente, detto verbale non risulta trascritto o allegato al ricorso in cassazione, né ove rinvenirlo nel fascicolo di cassazione, non potendosi, pertanto, valutare la dedotta carenza dei requisiti essenziali.

Circa il verbale dell’Inps, va rilevato che l’Istituto, acquisito il verbale redatto dalla Guardia di Finanza corredato dagli allegati comprensivi delle dichiarazioni rese dai lavoratori, e ritenendo non necessario svolgere ulteriori accertamenti, ha quantificato l’omissione contributiva e le somme dovute.

La ricorrente non ha dedotto alcuna specifica lesione del diritto di difesa e, del resto, la Corte territoriale ha ritenuto non contestata l’avvenuta notifica a cura della Guardia di finanza del verbale di accertamento ed, inoltre, l’avvenuta acquisizione anche dei verbali relativi alle dichiarazioni rese dai lavoratori esclude qualsiasi incertezza o incompletezza degli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza.

4. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte ritenuto prova sufficiente le dichiarazioni raccolte in sede ispettiva in materia di superamento dell’orario di lavoro.

Il motivo è infondato. La violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece ove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), come nella specie laddove chi ricorre critica l’apprezzamento operato dai giudici del merito circa l’attendibilità delle dichiarazioni rese alla GdF sull’orario di lavoro osservato opponendo una diversa valutazione che non può essere svolta in questa sede di legittimità.

5. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza o del procedimento per ultrapetizione (art. 112 c.p.c.). Rileva che l’Istituto non aveva impugnato il capo della sentenza del Tribunale che aveva limitato l’ambito temporale della contestazione dell’omissione contributiva fatta dall’Inps, all’arco temporale individuato dalla Guardia di Finanza.

6. Con il quarto motivo denuncia nullità della sentenza in relazione all’art. 329 c.p.c. per violazione del giudicato interno rilevando che la Corte d’appello aveva violato la norma non avendo tenuto conto che il capo della sentenza relativo al periodo successivo non era stato espressamente impugnato.

I motivi sono infondati in quanto la Corte territoriale si è limitata a rilevare che, essendo stati disconosciuti i contratti di solidarietà nella loro interezza, presupposto e condizione per l’erogazione della cassa integrazione, non aveva rilievo che l’accertamento della Guardia di Finanza fosse intervenuto in epoca antecedente alla scadenza del secondo contratto.

7. Con il quinto motivo la società denuncia violazione del D.L. n. 726 del 1984, art. 1, comma 1, conv in L. n. 863 del 1984. Osserva che la sussistenza di una causa integrabile non poteva essere posta in discussione in presenza di un contratto di solidarietà legittimamente concluso e omologata dal Ministero e solo per il dedotto sforamento di alcune ore, occasionalmente richiesto ad alcuni lavoratori.

8. Il motivo è infondato.

Il contratto di solidarietà di cui è causa è disciplinato dal D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 1, convertito in L. 19 dicembre 1984, n. 863 sul quale hanno successivamente inciso molteplici disposizioni: esso configura, nel suo impianto fondamentale, rimasto inalterato, un’ipotesi d’intervento della cassa integrazione guadagni che consegue alla stipulazione di un contratto collettivo di diminuzione dell’orario e della retribuzione, finalizzata ad evitare, in tutto o in parte, la riduzione del personale.

Detto contratto, quale strumento volto ad evitare una riduzione di personale in situazioni di eccedenza, si colloca all’interno di una fattispecie complessa comprensiva del provvedimento ministeriale di ammissione all’integrazione salariale che, con efficacia costituiva, ne accerta i presupposti (cfr Cass. 9307/2021, n. 22255/2015).

9. Nella sentenza n. 24706/2007 di questa Corte si è affermato, inoltre, che il provvedimento di ammissione alla cassa, come interpretato dalla dottrina maggioritaria, non rappresenta un atto “dovuto” in presenza dell’accordo, ma presuppone un controllo di congruità rispetto alle finalità indicate dalle legge, e cioè che la riduzione dell’orario sia idonea ad evitare la dichiarazione di esuberanza del personale, di talché l’intervento dovrebbe essere escluso in tutti quei casi in cui la manovra sull’orario non sia verosimilmente utile a ridurre, neppure in parte, l’eccedenza di personale (cfr Cass. n. 22255/2015).

10. Tale controllo di congruità non si esaurisce al momento iniziale dell’omologazione del contratto di solidarietà (cfr Cass. 22255/2015), ma deve ritenersi che permanga, nelle successive fasi di sviluppo, il potere -dovere di verificare la permanenza in capo al datore di lavoro di quei requisiti legittimanti la fruizione dei benefici economici a carico della collettività.

Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha accertato che il datore di lavoro, con inadempimento di quanto stabilito nei contratti di solidarietà, non aveva comunicato all’Inps la modifica delle condizioni per le quali era stato concesso lo sgravio contributivo, e cioè il superamento dell’orario di lavoro prefissato, né aveva rinunciato a godere degli sgravi contributivi relativi, e che, a fronte di tale situazione, l’Inps aveva correttamente rilevato il venir meno dei requisiti per fruire dei benefici economici previsti dalla legge, mancando la prova dell’effettiva esistenza della causa integrabile.

Le conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale sono fondate.

A riguardo la Corte ha rilevato che l’omessa comunicazione delle ore lavorate con continuità dai dipendenti, oltre le 30 ore previste e addirittura oltre le 40 ore settimanali, con conseguente incameramento delle ore fittiziamente dichiarate nelle buste paga come ore di sospensione, era sintomatica di un uso del contratto di solidarietà non conforme alle disposizioni di legge e quindi difforme dal presupposto che costituisce la causa integrabile per la quale era concessa la cassa integrazione – La Corte ha, altresì, aggiunto che non si trattava di violazione di poco conto considerato che la GdF aveva svolto un accertamento su un campione pari alla metà circa dei dipendenti e che, su questo campione, circa il 20% aveva svolto continuativamente un maggior numero di ore e il 13% aveva svolto anche lavoro straordinario.

L’accertata inesistenza della causa integrabile, come dichiarata nei contratti di solidarietà, giustifica la richiesta dell’Inps volta a recuperare l’integrazione salariale illegittimamente erogata.

11. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo e cioè della documentazione dalla quale si poteva evincere che la situazione della soc ricorrente era già nota e monitorata dalle DPL e da Inps, ai quali erano stati comunicati gli orari dei lavoratori.

12.Con il settimo motivo denuncia nullità della sentenza in relazione all’art. 115 c.p.c. per mancata valutazione della documentazione relativa al precedente motivo.

I due motivi, congiuntamente esaminati, sono inammissibili in quanto non conformi al dettato dell’art. 360 c.p.c., n. 5 nella sua nuova formulazione secondo cui la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili; è evidente che, nella fattispecie, una ricostruzione del fatto pienamente sussiste e che la decisione della Corte non è affatto incompleta o perplessa.

I motivi sono, inoltre, privi di specificità con riferimento al contenuto di detta documentazione ed alla decisività della stessa avuto riguardo alla necessità che in detta documentazione fosse dichiarato espressamente e nominativamente il superamento dell’orario di lavoro fissato nei contratti di solidarietà.

13. Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, per l’erronea applicazione delle sanzioni per evasione e non quelle meno gravi previste per l’omissione.

Il motivo è infondato. La Corte ha evidenziato che le ore di lavoro aggiuntive non erano mai state comunicate all’Inps e dunque la fattispecie era riconducibile all’evasione.

Tale affermazione rende evidente che la vicenda debba essere inquadrata nell’ambito dell’evasione contributiva, essendo consolidato il principio di diritto secondo cui, giusta il disposto della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, tale ipotesi ricorre allorché il datore di lavoro ometta di denunciare all’INPS rapporti di lavoro in essere e relative retribuzioni corrisposte, dovendo ravvisarsi la più lieve ipotesi dell’omissione solo qualora l’ammontare dei contributi di cui sia stato omesso o ritardato il pagamento sia rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie (cfr. da ult. in termini Cass. n. 17119 del 2015, n. 5281 del 2017).

14. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la soc. ricorrente a pagare le spese di lite liquidate in Euro 22.000,00 oltre 15% per spese generali ed accessori di legge nonché Euro 200,00 per esborsi

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021

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