Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22265 del 26/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 26/10/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 26/10/2011), n.22265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15188/2007 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

ARMUNIA FESTIVAL COSTA DEGLI ETRUSCHI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.

FERRARI 35 presso lo studio dell’avvocato MARZI Massimo Filippo, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati LA ROCCA NICOLA,

NARESE CALOGERO, giusta delega a margine, procura speciale Notaio Dr.

Marco CAVALLINI in Rosignano Marittimo (LI) REP. 136079 del

17/12/2009;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6/2006 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LIVORNO, depositata il 30/03/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE BELLIS GIANNI, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato VARESE CALOGERO, che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

1. Con sentenza n. 6/14/06, depositata il 30.3.06, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Livorno avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dall’associazione Armunia Festival Costa degli Etruschi nei confronti dell’avviso di accertamento ai fini IRPEG ed IRAP per l’anno 1998, ed ai fini IVA per lo stesso anno.

2. La CTR escludeva, invero, l’esistenza di operazioni di natura contrattuale svolte dall’associazione Armunia Festival Costa degli Etruschi nei confronti degli associati, tali da consentire di ravvisare nei versamenti effettuati dai soci in eccedenza rispetto alla quota associativa minima, dei ricavi non contabilizzati in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, rt. 53 e dei corrispettivi di prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 4, piuttosto che meri conferimenti a fondo perduto per il perseguimento dello scopo sociale dell’ente.

3. Per la cassazione della sentenza n. 6/14/06 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, formulando quattro motivi, ai quali l’intimata ha replicato con controricorso.

Diritto

1. Con il primo motivo di ricorso l’amministrazione deduce la motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria su punti decisivi della controversia.

2. L’agenzia deduce, inoltre, con il secondo motivo, la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53, comma 1, lett e), nonchè la motivazione insufficiente e contraddittoria su punti decisivi della controversia.

3. Con il terzo motivo di ricorso, l’amministrazione allega ancora l’insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia.

4. Con il quarto motivo, infine, l’Agenzia lamenta, infine, la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 4 e 11.

4.1. Osserva invero, al riguardo, l’Agenzia delle Entrate che la CTR avrebbe omesso di accertare, benchè la circostanza avesse costituito oggetto di specifiche deduzioni dell’amministrazione contenute nel proprio atto di appello, che la contribuente associazione Armunia Festival Costa degli Etruschi era un soggetto esercente attività commerciale, e che la stessa – in tale qualità – aveva effettuate, a favore dei Comuni soci, prestazioni di servizi nel settore dello spettacolo.

Ne deriverebbe, a parere dell’amministrazione ricorrente, che le somme versate dai soci oltre la quota minima associativa, men che costituire – come affermato dall’impugnata sentenza – conferimenti aventi lo scopo di consentire all’associazione di perseguire gli scopi per i quali è stata costituita, ossia versamenti a fondo perduto, concreterebbero, piuttosto, ricavi non contabilizzati, in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53, e corrispettivi di prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 4; gli uni e gli altri, dunque, illegittimamente sottratti alla relativa tassazione.

5. I quattro motivi di ricorso che, attesa la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente, a giudizio della Corte, sono infondati e non possono, pertanto, trovare accoglimento.

5.1. Va osservato, infatti, che con tutti i suesposti motivi, l’Agenzia delle Entrate deduce, con riferimento allo stesso fatto controverso (natura commerciale dell’associazione Armunia, ed effettuazione di prestazioni di servizi per i soci) sia la violazione di legge, con riferimento alle norme summenzionate, sia l’insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

5.1.1. Orbene, per quanto attiene alla prima censura, osserva la Corte che il vizio di violazione di legge – deducibile in cassazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – consiste nella allegazione, da parte del ricorrente, di un’erronea ricognizione, ad opera della sentenza impugnata, della fattispecie astratta recata da una norma di legge; per il che – com’è del tutto evidente – il vizio in parola si traduce necessariamente in un problema interpretativo della disposizione normativa applicata, in concreto, dal giudice di appello.

In altri termini, la violazione di legge si traduce indefettibilmente in un vizio dell’attività, compiuta dal giudice di merito, di ricerca ed interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto, e si risolve – in sostanza – nell’addebitare a detto giudice di avere erroneamente affermato o negato l’esistenza o inesistenza di una norma, o di avere attribuito ad essa un contenuto che non ha, in relazione alla fattispecie da essa prefigurata.

Il secondo momento in cui può articolarsi il giudizio di diritto, ossia la falsa applicazione di legge consiste, invece, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicono la sua interpretazione, ancorchè correttamente effettuata dal giudice di merito (cfr. Cass. 18782/05, 22348/07, S.U. 10313/06).

5.1.2. Ebbene, se tali sono le linee direttrici ed i contenuti del giudizio di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, è di tutta evidenza, a giudizio della Corte, che essi non sono in alcun modo riscontrabili nelle censure mosse, nel caso concreto, all’impugnata sentenza dall’Agenzia delle Entrate.

Ed invero, l’addebito rivolto dall’amministrazione alla CTR è di non avere accertato la natura commerciale dell’attività svolta dall’associazione Armunia, avendo quest’ultima come scopo statutario lo svolgimento di attività nel settore dello spettacolo, nè il compimento, da parte della medesima, di prestazioni di servizi nel medesimo settore, ed in adempimento di specifici contratti con i Comuni soci. A fronte di tali elementi, la cui verifica in concreto era stata pretermessa dalla CTR, le somme versate dal Comuni soci dell’associazione non potevano, dunque, – a parere dell’Agenzia delle Entrate – che costituire ricavi non contabilizzati, D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 53, ed – al contempo – corrispettivi assoggettabili ad IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 4.

Dall’esame della sentenza di appello si evince, per converso, che la CTR è pervenuta all’espresso convincimento della non tassabilità delle somme versate dai soci, oltre la quota associativa minima, sulla base del riscontro della mancanza di qualsiasi corrispettività tra tali corresponsioni e l’attività dell’associazione a favore dei Comuni soci, che consentisse, in qualche modo, di ravvisare la sussistenza di una prestazione imponibile, ai fini IRPEG ed IVA. La CTR ne ha, pertanto, tratto la conseguenza che siffatte erogazioni erano da considerarsi come conferimenti aventi la finalità di consentire all’associazione di perseguire gli scopi per i quali è stata costituita, ossia come versamenti a fondo perduto, come tali, pertanto, non ricompresi nelle disposizioni di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 4.

5.1.3. Stando così le cose, appare evidente, ad avviso della Corte, che la censura proposta dall’Agenzia delle Entrate, men che incentrarsi sull’erronea interpretazione o applicazione delle disposizioni suindicate, concerne, piuttosto, il giudizio di fatto operato dal giudice di appello; per il che essa deve essere ritenuta inammissibile, poichè dedotta in violazione del disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo di ricorso attiene, invero, al mancato accertamento da parte della CTR, sulla base delle risultanze documentali e delle allegazioni delle parti, della natura commerciale dell’associazione Armunia, e del compimento, da parte della medesima di attività, costituenti prestazioni di servizi nell’adempimento di contratti d’opera.

Epperò, l’erronea ricognizione da parte del giudice di merito della fattispecie concreta, attraverso le risultanze di causa, è estranea al giudizio di diritto nei due momenti della violazione e falsa applicazione di legge, e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito; sicchè essa può essere censurata in cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. S.U. 10313/06).

5.1.4. E tuttavia, la censura in esame – anche a volere superare i rilievi che precedono – è infondata nel merito.

Va osservato, infatti, che i versamenti in denaro effettuati dai soci per consentire all’ente di perseguire i propri scopi, o di ripianare perdite sociali, non possono essere considerati, ai fini dell’applicabilità della disciplina di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, e segg. (nel testo applicabile, ratione temporis alla fattispecie) – nè ricavi (art. 53), nè plusvalenze patrimoniali (art. 54), nè sopravvenienze attive (art. 55). Ed invero, tali versamenti, se integrano prestiti con obbligo di restituzione, non comportano un profitto per la società, ma si risolvono in un aumento di liquidità, e se siano effettuati a fondo perduto – come nel caso concreto – benchè aumentino il patrimonio sociale, non sono, tuttavia, computabili fra le sopravvenienze attive, stante l’espressa previsione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, comma 4 (cfr. Cass. 11655/01, 21511/10).

Per di più, per quanto concerne le associazioni – ipotesi ricorrente nella fattispecie concreta – l’esclusione della tassabilità dei contributi a fondo perduto si desume, altresì, a contrario, dal disposto della norma da ultimo menzionata (art. 55, comma 4) che, regolando la materia con riferimento alle società in nome collettivo ed in accomandita semplice, non menziona in alcun modo i versamenti operati dai soci di associazioni.

Del pari, vertendosi in materia di contributi a fondo perduto, è di palese evidenza la non applicabilità, al caso di specie, del disposto dell’art. 3, comma 1 e art. 4, comma 2 n. 2, laddove assoggettano ad IVA i corrispettivi delle prestazioni di servizi effettuate in adempimento di contratti di prestazione d’opera, e nell’esercizio di attività commerciali o agricole da parte delle associazioni.

5.2. Ma neppure, ad avviso della Corte, potrebbe pervenirsi all’accoglimento delle censure in esame sotto il profilo del dedotto vizio di difetto di motivazione.

5.2.1. Va osservato, infatti, che la deduzione di un vizio di motivazione della decisione impugnata con ricorso per cassazione conferisce alla Corte, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, al fine di rivedere il ragionamento decisorio poichè non conforme alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sui significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi presi in considerazione. E’, per vero, fin troppo evidente che, in siffatta ipotesi, il motivo di ricorso si tradurrebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dei giudice stesso, volta ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, estranea, alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.

La denuncia del vizio di motivazione può comportare, dunque, soltanto una verifica, da parte del giudice di legittimità, della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo – dopo avere valutato l’attendibilità e la concludenza delle prove assunte – tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a comprovare i fatti in discussione (cfr, ex plurimis, Cass. 2272/07, 27162/09, 6694/09, 6288/11).

5.2.2. Ebbene, nel caso di specie, la CTR è pervenuta alla conclusione di escludere la tassabilità dei conferimenti dei soci, ai sensi delle disposizioni summenzionate, sulla base della ricostruzione della fattispecie concreta operata alla stregua delle risultanze documentali in atti e delle allegazioni delle parti, che hanno indotto il giudice di appello ad escludere che fossero ravvisabili, nel caso di specie, prestazioni contrattuali di sorta, poste in essere dall’associazione Armunia, e costituenti, pertanto, operazioni imponibili ai fini IRPEG ed IVA. Ne discende che la deduzione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della pretesa erroneità di tali valutazioni operate in fatto dal giudice di appello, si traduce in un’istanza di riesame del merito della controversia, del tutto inammissibile in questa sede.

6. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate non può che essere rigettato, con conseguente condanna dell’amministrazione ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dall’ intimata.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate; condanna l’amministrazione ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dall’intimata nel presente giudizio, che liquida in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2011

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