Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22258 del 13/09/2018

Cassazione civile sez. III, 13/09/2018, (ud. 01/03/2018, dep. 13/09/2018), n.22258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. . Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3402/2016 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO ANGELINI

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI

4, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMILIANO DEBIASI,

ANDREA DEBIASI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 208/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 25/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/03/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

Dato atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata.

Fatto

RILEVATO

che:

F.G. esercitò il riscatto agrario in relazione ad un fondo rustico, confinante con altro di sua proprietà, che era stato venduto a G.N. da Gr.An., Ro. e Ma., in difetto di preventiva denuntiatio;

la convenuta G. resistette alla domanda e chiese, in subordine, il rimborso del prezzo versato e il pagamento delle migliorie apportate al fondo;

il Tribunale di Trento accolse la domanda di riscatto, dichiarando il subentro del F. nella posizione della acquirente, previo rimborso del prezzo alla retrattata; rigettò, invece, la domanda di pagamento delle migliorie;

la Corte di Appello ha riformato la sentenza, respingendo la domanda del F., sul rilievo che difettava la prova in ordine al requisito della mancata vendita di fondi nel biennio antecedente e in merito all’ulteriore requisito del possesso di adeguata capacità lavorativa per la coltivazione del fondo posseduto e di quello oggetto di riscatto;

ha proposto ricorso per cassazione il F., affidandosi a otto motivi; ha resistito, con controricorso, la G.; entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con gli otto motivi, vengono svolte censure relative al profilo della mancata vendita di fondi nel biennio precedente la vendita (motivi da 1 a 5) e a quello della forza lavorativa (motivi da 6 a 8);

il primo motivo (“violazione per erronea applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 1 e della L. n. 817 del 1971, art. 7”) censura la Corte per avere erroneamente ritenuto non sussistente il requisito della mancata vendita infrabiennale; il secondo (“violazione per omessa applicazione dell’art. 115 c.p.c.”) lamenta la mancata applicazione del principio di non contestazione in relazione al medesimo requisito della mancata vendita; il terzo (“violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., per omessa considerazione di materiale probatorio”) contesta alla Corte di non aver adeguatamente valutato le risultanze delle dichiarazioni testimoniali e della documentazione allegata alla c.t.u.; il quarto (violazione dell’art. 2727 c.c.) censura la Corte per non avere desunto elementi di natura presuntiva dalle prove testimoniali e dalla relazione di c.t.u.; il quinto (“contraddittoria, erronea e illogica motivazione”) contesta l’affermazione della Corte secondo cui il requisito della mancata vendita avrebbe potuto essere provato mediante la produzione di visure tavolari o di certificazioni dei registri immobiliari;

i cinque motivi – esaminati congiuntamente – risultano inammissibili, in quanto:

sono svolti senza osservare la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dato che non sono stati trascritti i passaggi salienti delle dichiarazioni testimoniali e della relazione di c.t.u. la cui valutazione è oggetto delle censure, come pure i passaggi rilevanti degli atti processuali da cui – secondo l’assunto del ricorrente – si desumerebbe la non avvenuta contestazione della sussistenza del requisito e, con essa, la sua esclusione dal thema probandum;

le censure attinenti alla violazione di norme di diritto sono dedotte in modo generico, senza individuare specificamente i termini in cui le norme richiamate sarebbero state erroneamente applicate;

tutte le censure risultano volte – a ben vedere – a contestare l’apprezzamento complessivo del materiale probatorio (che la Corte ha ritenuto inidoneo a fornire la prova del requisito della mancata vendita), sollecitandone una lettura opposta, funzionale all’accoglimento della tesi attorea, e a richiedere pertanto un nuovo apprezzamento di merito, precluso in sede di legittimità;

l’inammissibilità dei motivi attinenti al requisito della mancata vendita infrabiennale comporta la definitività dell’accertamento dell’insussistenza del diritto ad esercitare il riscatto, esimendo dalla necessità di affrontare i motivi dal sesto all’ottavo (attinenti al requisito della capacità lavorativa) giacchè la loro eventuale fondatezza non consentirebbe comunque di riconoscere il diritto al riscatto, le spese di lite seguono la soccombenza.

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 1 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2018

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