Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22255 del 26/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 26/10/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 26/10/2011), n.22255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20646/2006 proposto da:

ALMER ALLUMINIO MEDITERRANEO RAGUSA SPA (ora METRA RAGUSA SPA), in

persona dell’Amministratore e legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliato in ROMA VIA ORTI DELLA FARNESINA 126,

presso lo studio dell’avvocato STELLA RICHTER Giorgio, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DI PAOLA CARMELO,

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI RAGUSA;

– intimato –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende

ope legis;

– resistente –

avverso la decisione n. 247/2006 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

ROMA, depositata il 24/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito per il ricorrente l’Avvocato STELLA RICHTER, che deposita

cartolina verde del ricorso diretta all’Agenzia delle Entrate, come

prova dell’avvenuta notifica e chiede l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società AL.ME.R. Alluminio Mediterraneo Ragusa spa ricorre contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Centrale, riformando la sentenza della commissione Tributaria di secondo grado di Ragusa, ha respinto il ricorso della contribuente avverso l’atto dell’Ufficio IVA di Ragusa tendente al recupero dell’IVA rimborsata alla AL.ME.R per l’anno di imposta 1975.

Secondo la Commissione Tributaria Centrale, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 31 (nel testo ratione temporis vigente), la contribuente non poteva far valere il credito di imposta maturato nel 1975, in quanto in quell’anno, non avendo realizzato un volume di affari superiore a L. due milioni, era assoggettata al regime forfettario; regime al quale si sarebbe potuta sottrarre (passando a quello ordinario e, così, potendo chiedere il rimborso dei crediti IVA) solo presentando tempestivamente la dichiarazione di rinuncia al regime di esonero di cui all’u.c., del citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 31.

IL ricorso della AL.ME.R. si fonda su un unico ma complesso motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 31, nel testo sostituito dal D.P.R. n. 687 del 1974, nonchè il difetto di motivazione in ordine al fatto che la contribuente abbia osservato le modalità ordinarie di tenuta della contabilità e di presentazione delle dichiarazioni IVA. L’Agenzia delle Entrate non si è costituita in sede di legittimità ed il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 5.7.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va precisato che, poichè l’importo del tributo (IVA) preteso con l’atto impositivo impugnato ammonta a L. 125.295.719, deve escludersi che la presente causa sia suscettibile di definizione D.L. n. 98 del 2011, ex art. 39, comma 12, convertito con la L. n. 111 del 2011. Tale modalità di definizione opera infatti solo in relazione alle liti di valore non superiore a 20.000,00 Euro, intendendosi per valore della lite, a mente della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. c), (richiamato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12), l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni collegate al tributo.

Passando all’esame del ricorso, si osserva che la sentenza gravata afferma che la dichiarazione di rinuncia al regime forfettario IVA di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 31, u.c. (nel testo, applicabile ratione temporis, introdotto dal D.P.R. 687/74) soggiace ad un rigido formalismo; cosicchè, in mancanza di tale espressa dichiarazione, il contribuente che non abbia realizzato nell’anno solare un volume di affari superiore a L. due milioni è ipso jure assoggettato al regime forfettario di cui al comma 1 del medesimo art. 31.

La ricorrente censura tale affermazione, sostenendo che la formale dichiarazione di rinuncia al regime forfettario non sarebbe necessaria allorquando, come nella specie, il contribuente, dopo aver dichiarato nella denuncia di attività che il proprio un volume di affari annuale sarebbe stato superiore alla soglia del regime forfettario, abbia poi tenuto la contabilità e le dichiarazioni mensili ed annuali in maniera conforme alle prescrizioni relative al regime ordinario.

Il motivo è fondato e va accolto, con le precisazioni che seguono.

Il principio di diritto affermato nella sentenza gravata, secondo cui ai fini della rinuncia al regime forfettario IVA sarebbe indispensabile una dichiarazione formale D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 31, u.c. (nel testo introdotto dal D.P.R. n. 687 del 1974), è errato, perchè trascura il disposto del D.P.R. n. 442 del 1997, art. 1, il quale – con disposizione applicabile anche ai comportamenti tenuti dal contribuente anteriormente all’entrata in vigore del D.P.R. n. 442 del 1997 (come espressamente stabilito dalla L. n. 342 del 2000, art. 4) – stabilisce che i comportamenti concludenti tenuti dal contribuente o le modalità di tenuta della contabilità costituiscono elementi da cui desumere il regime IVA applicabile in concreto. In forza di tale principio questa Corte ha già avuto modo di precisare – con le sentenze n. 10599 del 2003 e 22684 del 2008, a cui il Collegio intende dare conferma e seguito – che, in tema di IVA, la dichiarazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 31, u.c., di opzione per l’applicazione dell’imposta nel modo ordinario, può essere surrogata da comportamenti concludenti del contribuente e, in particolare, dalle modalità di tenuta delle scritture contabili.

La sentenza impugnata va quindi cassata e la causa va rinviata alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che si atterrà al principio di diritto ora enunciato e, a tal fine, verificherà se la contribuente abbia offerto prova del proprio assunto di aver presentato sin dall’inizio della propria attività le dichiarazioni IVA mensili e di aver tenuto la contabilità secondo le modalità del regime ordinario (non potendosi, per contro, considerare comportamento concludente equivalente alla dichiarazione espressa D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 31, u.c., la mera indicazione del presumibile volume di affari contenuta nella dichiarazione di inizio di attività).

Il giudice di rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che regolerà anche le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2011

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