Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22254 del 04/08/2021

Cassazione civile sez. lav., 04/08/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 04/08/2021), n.22254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniele – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12360/2015 proposto da:

I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI

ITALIANI “GIOVANNI AMENDOLA”, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato PAOLO BOER, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RAI – RADIO TELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante p o tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25/B, presso lo studio degli avvocati ROBERTO PESSI, MAURIZIO

SANTORI, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (già

E.N.P.A.L.S.), in persona legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE

DE ROSE, ESTER ADA SCIPLINO, GIUSEPPE MATANO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3024/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/05/2014 R.G.N. 9789/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/02/2021 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1.La Corte d’appello di Roma, in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 16457/2012 di questa Corte, ha dichiarato non dovuti i contributi INPGI oggetto del verbale ispettivo (per il periodo 1/3/1993-31/10/1998) in relazione ad alcuni giornalisti praticanti e professionisti, dipendenti della RAI inquadrati con la qualifica di programmisti registi o assistenti ai programmi.

La Corte territoriale, premesso di essere tenuta, in virtù della sentenza rescindente, a rivalutare le istanze istruttorie già avanzate dall’istituto di previdenza, ha in proposito affermato che l’INPGI non aveva offerto univoci elementi probatori a sostegno della natura giornalistica dell’attività dei lavoratori indicati nei verbali di accertamento ispettivo. Sempre i giudici di merito hanno poi dichiarato che i capitoli di prova erano stati articolati con riferimento ad attività genericamente indicate, senza alcuna menzione degli elementi che, secondo costante giurisprudenza, connotavano e qualificavano l’attività giornalistica, tanto più che le mansioni svolte dai dipendenti erano correlate a programmi che si ponevano al confine tra. informazione e intrattenimento.

La Corte territoriale ha altresì asserito, riguardo ai documenti prodotti dall’INPGI (cassette audiovisive, pregressa sentenza relativa alla dipendente R., fascicoletti contenenti le dichiarazioni rese agli ispettori), che non ne era sufficiente la mera allegazione nell’indice non accompagnata dalle ragioni – omesse dall’INPGI – che li rendevano rilevanti.

Infine, in ordine ai documenti attestanti il possesso del titolo professionale di giornalista, ha affermato trattarsi di circostanza non decisiva.

2. Avverso la sentenza ricorre l’INPGI con sei motivi.

Resiste la RAI con controricorso. L’INPS ha rilasciato procura in calce al ricorso notificato.

L’INPGI e la RAI hanno poi depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3. Con il primo motivo l’INPGI denuncia violazione della L. n. 1564 del 1951, art. 1, della L. n. 67 del 1987, art. 26, del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 17, comma 3, degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c.: censura la sentenza impugnata per non aver dato rilievo al titolo professionale (di giornalista o di praticante) nonostante che essa determinasse una presunzione iuris tantum dello svolgimento di attività giornalistica, con conseguente inversione dell’onere probatorio (ravvisata nel precedente di questa Corte n. 11944/2004).

4. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 421,437,115,210 e 231 c.p.c.: sostiene che la Corte territoriale non doveva limitarsi ad una valutazione atomistica delle prove, ma era tenuta a valutare complessivamente l’iscrizione agli albi e la prova per testi e documentale, tenuto conto che nel giudizio del lavoro va ricercata la verità materiale, senza eccessivo formalismo.

5. Con il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 244 e 253 c.p.c., degli artt. 2,24 e 11Cost., degli artt. 6,13 e 17CEDU anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., e all’art. 2697 c.c.: osserva parte ricorrente che la Corte territoriale aveva negato la rilevanza dei singoli capitoli di prova non correlandoli (anche) alla documentazione e alle allegazioni di parte già presenti nel materiale di causa.

6. Con il quarto motivo denuncia omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, consistente nell’attività lavorativa svolta nell’ambito di programmi di informazione e non di spettacolo, tanto che la RAI collocava per alcuni periodi dell’anno i programmi di rete, di cui al verbale ispettivo, all’interno delle testate giornalistiche proprio per il loro contenuto strettamente giornalistico, di informazione e di divulgazione di notizie, con ogni conseguenza circa la natura del lavoro di coloro che vi erano addetti.

7. Con il quinto motivo denuncia omesso esame d’un fatto decisivo consistente in una sentenza che aveva accertato, per il medesimo periodo oggetto di accertamento ispettivo, la natura giornalistica dell’attività svolta dalla dipendente R.L.; nello stesso motivo parte ricorrente censura altresì l’affermazione della Corte secondo la quale, ai fini della valutazione di un documento, non sarebbe sufficiente la mera allegazione nell’indice se non accompagnata dalla specificazione delle ragioni della sua rilevanza. Osserva, poi, che la sentenza concernente la R. era stata emessa in epoca successiva (sicché nel proprio atto introduttivo l’istituto non avrebbe potuto svolgere alcuna allegazione a riguardo) e, comunque, che detta sentenza dimostrava la natura giornalistica dell’attività, la non corrispondenza tra inquadramento formale e mansioni svolte, nonché lo status di giornalista della predetta dipendente.

8. Con il sesto motivo denuncia violazione degli artt. 244 e 253 c.p.c., degli artt. 2,24 e 11Cost., degli artt. 6,13 e 17CEDU anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., e all’art. 2697 c.c.: in proposito lamenta la violazione delle norme che impongono di analizzare specificità e rilevanza del capitolato, trascritto integralmente nel ricorso per cassazione unitamente alle relative sintesi integrative.

9. Il ricorso va accolto nei sensi qui di seguito chiariti (e che assorbono l’esame di quella porzione del quinto motivo che si riferisce all’omesso esame della sentenza inerente alla suddetta R.).

10. In primo luogo risulta inappropriato il richiamo ad una violazione dell’art. 2697 c.c., ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non, invece, quando oggetto di censura sia la valutazione del giudice circa le prove offerte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018).

Nella specie, la citata sentenza n. 16457/2012 di questa Corte aveva già evidenziato che “Nella situazione processuale in esame formalmente la RAI è attrice, perché ha proposto il ricorso, ma sostanzialmente la domanda costituisce difesa rispetto a quanto paventato dall’INPGI con il verbale ispettivo (v., Cass. n. 19354 del 2010). Dunque, spetta all’INPGI provare la pretesa oggetto del verbale di accertamento”. In sede di rinvio i giudici di merito non hanno assunto, quanto alla ripartizione dell’onere probatorio, una decisione contrastante con l’irretrattabile regula iuris contenuta nella sentenza rescindente.

11. Premesso quanto sopra, va rilevato che i motivi, in molte parti sovrapponibili, censurano, sotto vari punti di vista, la decisione della Corte territoriale in ordine alla ritenuta inammissibilità della prova testimoniale, che ad avviso dell’INPGI si sarebbe dovuta, invece, valutare congiuntamente alla documentazione prodotta (iscrizione degli interessati all’albo dei giornalisti, dichiarazioni rese agli ispettori, sentenza concernente la giornalista R., videocassette con alcuni servizi filmati andati in onda nelle trasmissioni); l’istituto ricorrente invoca, dunque, il proprio diritto allo svolgimento della prova testimoniale e insiste affinché la relativa istanza sia valutata anche alla luce della documentazione già prodotta, che invece la Corte d’appello ha tralasciato ritenendo che non ne fosse sufficiente la mera allegazione nell’indice in quanto non accompagnata dalla specificazione delle ragioni che rendevano rilevanti i documenti.

12. Osserva il Collegio che l’affermazione dell’impugnata sentenza, secondo cui la valutazione dei documenti prodotti necessiterebbe della previa allegazione, negli scritti difensivi, delle ragioni della loro rilevanza o idoneità dimostrativa, è errata: al contrario, il giudice di merito deve valutare d’ufficio la rilevanza e l’idoneità dimostrativa delle prove documentali offerte dalle parti, senza onerarle di previe apposite spiegazioni od allegazioni.

D’altronde, l’onere di allegazione gravante sulle parti concerne unicamente i fatti, non le prove o il loro significato: per esse gli artt. 414 e 416 c.p.c. (nel rito speciale) richiedono solo l’indicazione specifica, non anche una spiegazione in termini di significatività e valenza probatoria che, invece, sono oggetto di autonoma valutazione cui il giudice deve provvedere d’ufficio.

Ciò è indirettamente confermato anche dalla costante giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. n. 3306/2020; Cass. n. 13027/17; Cass. n. 12748/16; Cass. n. 6606/16; Cass. n. 18046/14) che, proprio perché la valutazione delle prove (e delle relative istanze) è riservata ad un’autonoma e officiosa iniziativa del giudice, esclude che rispetto ad esse si possa ipotizzare a carico delle parti un onere di contestazione (diverso, per quelle documentali, dall’eventuale disconoscimento ex art. 214 c.p.c., o dalla proposizione della querela di falso).

D’altronde, è da sempre pacifico in dottrina e in giurisprudenza che l’onere di allegazione gravante sulle parti concerne, proprio perché l’allegazione consiste in una narrazione, soltanto i fatti (primari o secondari), non già le mere argomentazioni o spiegazioni atte a lumeggiare il valore dimostrativo delle prove (documentali, testimoniali, periziali) offerte.

13. Risulta in contrasto con costante giurisprudenza di questa Suprema Corte anche il giudizio di inammissibilità delle prove testimoniali emesso dalla sentenza impugnata. Essa ha affermato che, ove pure tali prove fossero state ammesse, ad ogni modo non avrebbero offerto univoci elementi probatori a sostegno della dedotta natura giornalistica del lavoro dei dipendenti in questione, perché i capitoli sarebbero stati riferiti ad attività genericamente indicate (servizi, inchieste, interviste), senza esposizione degli elementi qualificanti l’attività giornalistica anche perché le mansioni de quibus sarebbero state correlate a programmi di confine fra l’intrattenimento e l’informazione, ossia si sarebbe trattato di prestazioni lavorative “di frontiera”.

Si premetta che il capitolato, riportato integralmente in ricorso, ne rispetta la doverosa autosufficienza e mette in rilievo prove testimoniali che investono punti decisivi della controversia, potenzialmente idonei a confutare la ratio decidendi della sentenza impugnata, di guisa che le censure risultano dedotte conformemente a quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità: cfr. Cass. n. 16214/2019; Cass. n. 6554/2017; Cass. n. 8357/2005.

Ora, secondo la giurisprudenza di questa S.C. (cui va data continuità anche nella presente sede), la specificazione dei fatti oggetto di richiesta di prova testimoniale è soddisfatta quando, sebbene non definiti in tutti i loro minuti dettagli, essi vengano esposti (come avvenuto nel caso di specie) nei loro elementi essenziali per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e mettere in grado l’altra parte di proporre istanza di prova contraria, giacché la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli va condotta non soltanto alla stregua della loro letterale formulazione, ma anche in relazione agli altri atti di causa e a tutte le deduzioni delle parti, nonché tenendo conto della facoltà del giudice di domandare ex art. 253 c.p.p., comma 1, chiarimenti e precisazioni ai testi (v. Cass. n. 2149/21; Cass. n. 17981/2020; Cass. n. 11765/19; Cass. n. 12642/03; Cass. n. 10371/95; Cass. n. 3716/83; Cass. n. 4143/81; Cass. n. 5784/79; Cass. n. 3685/79; Cass. n. 1330/79; Cass. n. 2071/78). A ciò si aggiunga che la prova di determinate mansioni deve vertere sui nudi fatti del loro svolgimento e non sui connotati valutativi che costituiranno l’esito dell’istruttoria e che, in una controversia come quella in discorso, consentiranno poi di orientare la qualificazione dell’attività lavorativa come di natura giornalistica o meno, operazione quest’ultima – interpretativa e, in quanto tale, demandata non certo ai testi, ma al giudice nel contraddittorio fra le parti.

A maggior ragione ciò valga in un caso in cui la stessa sentenza impugnata dà atto che le mansioni dei lavoratori (in relazione ai quali l’INPGI vanta un credito contributivo), essendo correlate a programmi di confine fra l’intrattenimento e l’informazione, si collocano in un ambito che la Corte territoriale definisce come “di frontiera” (tra la qualifiche di programmista – regista o di assistente ai programmi – da un lato – e, dall’altro, quella di giornalista), così implicitamente riconoscendo la necessità di approfondimenti istruttori.

14. In virtù e nei sensi di cui alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, che dovrà attenersi ai seguenti principi di diritto:

“l’onere di allegazione concerne unicamente i fatti, non le prove (documentali e non), delle quali basta la specifica indicazione prevista, nel rito speciale, dagli artt. 414 e 416 c.p.c., senza che le parti siano gravate dall’onere ulteriore di spiegarne rilevanza e idoneità dimostrativa, che invece vanno valutate d’ufficio dal giudice”;

“la specificazione dei fatti oggetto di richiesta di prova testimoniale è soddisfatta quando, sebbene non definiti in tutti i loro minuti dettagli, essi vengano esposti nei loro elementi essenziali per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e mettere in grado l’altra parte di proporre istanza di prova contraria, giacché la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli di prova va condotta non soltanto alla stregua della loro letterale formulazione, ma anche in relazione agli altri atti di causa e a tutte le deduzioni delle parti, nonché tenendo conto della facoltà del giudice di domandare ex art. 253 c.p.c., comma 1, chiarimenti e precisazioni ai testi”; “la prova di determinate mansioni deve vertere sui nudi fatti del loro svolgimento e non sui connotati valutativi che, all’esito di un’istruttoria, consentono di ricavare la natura delle mansioni stesse, operazione – quest’ultima – interpretativa e, in quanto tale, demandata non ai testi, ma al giudice nel contraddittorio fra le parti”.

Sempre il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021

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