Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22251 del 25/09/2017


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Cassazione civile, sez. un., 25/09/2017, (ud. 12/09/2017, dep.25/09/2017),  n. 22251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1707-2015 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in Roma, via G.

Mercalli 13, presso lo studio dell’avvocato Arturo Cancrini,

rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Savino;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DEI CONTI, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Baiamonti 25;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 397/2014 della CORTE DEI CONTI – 2^ SEZIONE

GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il 10/06/2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2017 dal Consigliere LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale SGROI CARMELO, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

Udito l’Avvocato Vincenzo Savino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Procura Regionale presso la Corte dei Conti per la Regione Basilicata convenne in giudizio C.F. – ingegnere funzionario del Comune di Marsicovetere – chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 64.446,98 (oltre rivalutazione ed interessi) in favore di detto ente, per il danno indiretto da quest’ultimo patito in relazione alla somma che – in forza di lodo arbitrale – aveva dovuto versare, a titolo di risarcimento del danno, alla ditta appaltatrice dei lavori di costruzione della strada di collegamento tra il locale Ospedale e la strada statale (OMISSIS). Venne contestato al C. di avere espresso, quale responsabile del servizio, parere favorevole all’approvazione del progetto esecutivo della detta opera e di aver certificato, quale direttore dei lavori, la regolare esecuzione delle indagini geologiche, nonostante le carenze e le incongruenze che presentavano gli elaborati progettuali e benchè le indagini geologiche e geognostiche eseguite risultassero del tutto inadeguate.

Nella resistenza del convenuto, che negò ogni propria responsabilità ed eccepì comunque l’intervenuta prescrizione dell’azione, la Corte dei Conti, Sezione Basilicata, condannò il C. al pagamento della somma di Euro 25.000,00, comprensivi di rivalutazione, oltre agli interessi dalla pronuncia al soddisfo.

2. – Sul gravame proposto dal C., la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello, con sentenza del 10 giugno 2014, confermò la pronuncia di primo grado.

3. – Avverso la sentenza di appello, C.F. ha proposto ricorso per cassazione, denunciando l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore.

Il Procuratore generale presso la Corte dei Conti ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 20 del 1994, art. 1 e D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 230 per avere la Corte dei conti invaso la sfera di attribuzioni riservata al legislatore. Si deduce, in particolare, che il giudice contabile di appello, affermando che il dies a quo di decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dell’azione di responsabilità per il risarcimento del danno c.d. indiretto va individuato nella data di emissione del titolo di pagamento in favore del terzo danneggiato, avrebbe invaso la sfera di attribuzioni riservata al legislatore, creando una norma inesistente e disapplicando la norma posta dal legislatore, poichè – secondo il ricorrente – la data di decorrenza del termine prescrizionale dovrebbe individuarsi in quella in cui è stata adottata la delibera del consiglio comunale che – a seguito del passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello di Potenza confermativa del lodo arbitrale – ha riconosciuto il debito fuori bilancio.

2. La doglianza è inammissibile.

Va premesso che il danno oggetto del presente giudizio è riconducibile alla fattispecie del danno erariale c.d. indiretto, che è quel danno che amministratori o dipendenti della pubblica amministrazione hanno cagionato a “terzi” e che l’amministrazione ha dovuto risarcire in esecuzione di un accordo transattivo o in ottemperanza ad una sentenza di condanna.

In particolare, secondo la giurisprudenza dei giudici contabili, ricorre il danno erariale c.d. “diretto” quando la condotta del funzionario o del dipendente pubblico abbia cagionato nocumento direttamente al patrimonio dell’ente pubblico; ricorre invece il danno erariale c.d. “indiretto” quando il pregiudizio patrimoniale sia stato arrecato ad un privato che l’amministrazione ha dovuto risarcire, così sopportandone il relativo onere (cfr., tra le tante, Corte dei conti, sez. giur. app., n. 271 del 27/05/2015).

Premesso quanto sopra, va osservato che, nel caso di specie, il ricorrente – funzionario comunale chiamato a rispondere del danno indiretto patito dalla pubblica amministrazione – si duole del fatto che il giudice contabile abbia erroneamente individuato il decorso del termine quinquennale di prescrizione dell’azione promossa nei suoi confronti, male interpretando – a suo dire – la L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 2, comma 2 (“Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti”), a tenore del quale, in tema di azione di responsabilità nei confronti del personale degli enti pubblici soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti, “Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”.

Si duole in particolare il ricorrente del fatto che i giudici contabili abbiano ritenuto di aderire alla più recente giurisprudenza delle Sezioni riunite della Corte dei conti, secondo cui “La prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa per il danno che lo Stato o l’ente pubblico ha dovuto risarcire ad altri per colpa del suo dipendente (c. d. danno indiretto) decorre dalla data di emissione del titolo di pagamento a favore del terzo danneggiato” (Corte dei conti, sez. riun., n. 14 05/09/2011; adesivamente, Corte dei conti, sez. giur. app., n. 271 del 27/05/2015), ed abbiano invece dissentito dal precedente orientamento giurisprudenziale, che faceva decorrere il termine di prescrizione, in materia di danno amministrativo-contabile c.d. “indiretto”, “dal momento in cui il debito dell’amministrazione nei confronti del terzo danneggiato è divenuto certo, liquido ed esigibile a seguito del passaggio in giudicato della pronuncia giudiziale di condanna ovvero per l’esecutività della transazione tra terzo danneggiato e amministrazione” (Corte dei conti, sez. riun., n. 3 del 15/01/2003).

Trattasi, com’è evidente, di una questione di interpretazione della norma giuridica, in quanto il ricorrente denuncia, nella sostanza, l’errore di interpretazione della disposizione della L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 2, nel quale sarebbe incorso il giudice contabile di appello.

In proposito, va ricordato che, in tema di eccesso di potere giurisdizionale e di limiti del sindacato della Corte di cassazione sui ricorsi contro le sentenze dei giudici speciali ai sensi dell’art. 111 Cost. e art. 362 cod. proc. civ., questa Suprema Corte ha costantemente statuito che le Sezioni unite della Corte di Cassazione, dinanzi alle quali siano impugnate decisioni di un giudice speciale per motivi attinenti alla giurisdizione, possono sindacare unicamente l’eventuale superamento dei limiti esterni della giurisdizione medesima, non essendo loro consentito di estendere il proprio controllo anche al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, in rapporto a quanto denunciato dalle parti; sicchè rientrano nei limiti interni della giurisdizione e restano perciò estranei al sindacato delle Sezioni unite gli eventuali errori “in iudicando” o “in procedendo” che il ricorrente imputi al giudice amministrativo o al giudice contabile” (da ultimo, Cass., Sez. Un., n. 7157 del 21 marzo 2017).

Quanto poi alla nozione giuridica di “eccesso di potere giurisdizionale”, questa Corte ha precisato che l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete; ipotesi – questa – che non ricorre quando il giudice speciale si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, tale operazione ermeneutica potendo dare luogo, tutt’al più, ad un error in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (Cass., Sez. Un., n. 22784 del 12/12/2012; Cass., Sez. Un., n. 11091 del 15/07/2003).

Orbene, nel caso di specie, la Corte dei conti, nell’individuare il momento del decorso del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità contabile nei casi di danno indiretto causato da un dipendente della pubblica amministrazione, ha svolto un’attività ermeneutica interna al raggio d’azione che la legge assegna al giudice contabile, senza travalicare i limiti esterni della giurisdizione e senza invadere la sfera di attribuzioni del legislatore.

Non rileva che l’interpretazione della norma svolta al riguardo dal giudice speciale – purchè di vera attività ermeneutica si tratti (anche se volta a colmare le c.d. “lacune del diritto” esistenti nella materia affidata alla sua giurisdizione) e non di attività creativa del diritto in un ambito riservato al legislatore – sia condivisibile o meno; in ogni caso, l’interpretazione della norma non può dar luogo ad altro che ad un error iuris (in iudicando o in procedendo), come tale insindacabile dalla Corte suprema ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c., ove sia assuma essere stato compiuto dal Consiglio di Stato o dalla Corte dei conti.

3. – Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Nulla va statuito sulle spese, in ragione della qualità di parte solo “in senso formale” del Procuratore generale presso la Corte dei conti (ex plurimis, Cass., Sez. Un., 08/05/2017, n. 11139; Cass., Sez. Un., 27/02/2017, n. 4879; Cass., Sez. Un., 27/12/2016, n. 26995).

4. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 12 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2017

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