Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22247 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 03/11/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 03/11/2016), n.22247

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17966-2015 proposto da:

N.T.C., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

CAVOUR PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato ROCCO GIANCRISTOFARO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE ORTONA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato

LAURA ROSA, rappresentato e difeso dagli avvocati VALERIA D’ILIO,

LORENZO DEL FEDERICO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 208/7/2015 della CONIMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI L’AQUILA SEZIONE DISTACCATA di PESCARA del 2/2/2015,

depositata il 02/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue:

Con sentenza n. 208, depositata il 2 marzo 2015, notificata il 7 maggio 2015, la CTR dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara – ha respinto l’appello proposto dal sig. N.T.C. nei confronti del Comune di Ortona per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Chieti, che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso avvisi di accertamento ICI per gli anni 2008, 2009 e 2010 relativamente ad alcuni terreni ritenuti aree fabbricabili.

Avverso detta pronuncia il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso il Comune.

Con il primo motivo parte ricorrente denuncia erronea applicazione e/o interpretazione della L.R. Abruzzo 12 aprile 1983, artt. 10 e 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la decisione impugnata ha escluso che l’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento di approvazione del Piano Regolatore Generale (di seguito PRG) del Comune di Ortona avesse comportato l’automatica caducazione della delibera di adozione del piano stesso da parte del Comune, di modo che le aree oggetto degli atti impositivi non potessero essere più ritenute fabbricabili secondo la previsione di piano, senza che quindi potessero nella fattispecie trovare applicazione i principi di cui alle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte n. 25505 e 25506 del 2006, richiamate dalla decisione impugnata. Il motivo è inammissibile e, in ogni caso, manifestamente infondato. Premesso che sono incontroversi i fatti storici posti a base della decisione impugnata e che possono riassumersi nell’intervenuto annullamento, con sentenze del TAR Abruzzo n. 550 e n. 557 del 2014 della delibera di approvazione del PRG per vizi propri del procedimento di approvazione, non essendo stato preceduto l’atto di approvazione dal procedimento di valutazione ambientale strategica (VAS) e dagli studi di micro zonizzazione sismica di cui alla L.R. Abruzzo n. 28 del 2011, art. 5 il motivo – che si limita a prospettare come conseguenza automatica ex se dell’annullamento dell’atto di approvazione la caducazione del piano regolatore, quale atto presupposto – non coglie l’effettiva ratio decidendi della decisione impugnata e, in ogni caso, non dimostra l’erroneità in diritto delle conclusioni affermate rispetto alle circostanze fattuali dalle quali trae origine il relativo assunto, che, d’altronde, appare in linea con i principi espressi in materia dal giudice amministrativo.

Se, infatti, può affermarsi che necessariamente l’annullamento della delibera comunale di adozione del piano determini effetti automaticamente caducanti sul successivo provvedimento di approvazione (cfr., ad esempio, Cons. Stato sez. 4, 14 luglio 2014, n. 3654; Cons. Stato, sez. 4, 28 dicembre 2012, n. 6703) non è altrettanto valida in assoluto la proposizione inversa, proprio in ragione dell’autonomia dei relativi procedimenti.

L’impugnazione del provvedimento di approvazione può, dunque, anche prescindere dalla prospettazione dei vizi propri dell’adozione del piano, e ciò è proprio quanto, come in fatto non è controverso, accaduto nella fattispecie in esame, dove l’annullamento della delibera di approvazione è avvenuta per l’omissione della c.d. VAS, che può intervenire sino all’approvazione del PRG, e della predisposizione degli studi di micro zonizzazione sismica di cui alla L.R. Abruzzo n. 28 del 2011, art. 5.

Deve, quindi, darsi atto della correttezza in diritto dell’affermazione del giudice tributario d’appello, laddove ha statuito che l’annullamento del provvedimento di approvazione per vizi propri di quest’ultimo lascia in vigore il piano adottato, col solo obbligo per il Comune di completare il procedimento di pianificazione secondo quanto già determinato nella delibera di adozione, emendandolo dei vizi che ne hanno inficiato l’approvazione.

Ed invero, nei casi nei quali si è ritenuto che l’annullamento giurisdizionale dell’approvazione spiegasse i propri effetti anche sulla delibera di adozione, ciò è avvenuto per un giudizio di sostanziale disfavore delle previsioni del piano adottato (cfr. Cons. Stato sez. 5, 2 agosto 2013, n. 4054; Cons. Stato sez. 5, 12 dicembre 2003, n. 8198), come in maniera pertinente evidenziato dall’amministrazione controricorrente.

D’altronde la stessa impugnativa della delibera di adozione di piano non è suscettibile sempre e comunque di comportare l’annullamento in toto dell’adozione del piano impugnato, ma varia in ragione dei motivi prospettati, sicchè la valutazione dell’ambito degli effetti caducatori deve essere verificata caso per caso.

Nella fattispecie in esame, date le circostanze sopra riportate in fatto, la censura è infondata nella sua premessa maggiore, la cui infondatezza finisce con il travolgere l’argomento consequenziale della pretesa, da parte ricorrente, non riferibilità alla fattispecie in esame del principio, espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con le note sentenze 30 novembre 2006, n. 25505 e n. 25506, secondo cui l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicazione del criterio di determinazione della base imponibile, fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita dal piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione di esso da parte della Regione e dell’adozione di strumenti urbanistici attuativi, principio di seguito costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le molte Cass. Cass. sez. 5, 27 luglio 2007, n. 16174; Cass. sez. 5, 16 novembre 2012, n. 20137; Cass. sez. 5, 5 marzo 2014, n. 5161; Cass. sez. 5, 27 febbraio 2015, n. 4091), in un quadro di riferimento segnato anche da pronuncia della Corte costituzionale (ord. 27 febbraio 2008, n. 41), che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma d’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, lett. b) rappresentata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2 come convertito nella L. n. 248 del 2006, secondo cui “un’area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”, che aveva fatto seguito al D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni, nella L. n. 248 del 2005.

Resta salva, infatti, nella fattispecie in esame, la qualificazione delle aree in oggetto come fabbricabili, secondo la previsione di piano, non travolta dall’annullamento della delibera di approvazione per motivi afferenti al procedimento stesso di approvazione.

Del pari è inammissibile il secondo motivo, col quale il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b). In realtà – anche a prescindere dalla non pertinenza della norma denunciata con la statuizione oggetto di censura, che attiene alla determinazione della base imponibile dell’ICI, segnatamente, con riferimento al valore delle aree fabbricabili, prevista dall’art. 5, comma 5 del citato decreto – nella censura parte ricorrente fa confluire considerazioni che, per un verso, ripropongono il motivo originario d’impugnazione con il quale il ricorrente aveva dedotto il difetto di motivazione dell’atto impositivo, per l’altro, senza il riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua attuale formulazione, neppure invocato, sollecitano alla Corte una diversa valutazione rispetto al giudice di merito quanto alla congruità del valore di stima ricavato da relazione (allegata) di stima dell’Agenzia del Territorio, ciò che in questa sede è precluso (cfr., tra le molte, Cass. sez. 6-5, ord. 7 gennaio 2014, n. 91; Cass. sez. 6-5, ord. 28 marzo 2012, n. 5024).

Ugualmente è inammissibile il terzo motivo, con il quale il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1973, art. 74 e della L. n. 296 del 2006, art. 1.

Con detta censura, in effetti, il ricorrente finisce con il riproporre in sede di legittimità questione involgente non l’illegittimità della sentenza impugnata, ma l’eccezione, ritenuta dal giudice di merito assorbita, di nullità dell’atto impositivo per carenza di sottoscrizione da parte del funzionario comunale cui sono attribuiti i poteri gestionali per il tributo in oggetto e per carenza della comunicazione al Ministero dell’economia e delle finanze della relativa nomina.

Ne consegue che è inammissibile l’articolazione della censura sub specie del vizio di violazione di norma di diritto sostanziale, non essendo stata affrontata la questione dal giudice tributario d’appello, la cui decisione avrebbe dovuto quindi essere censurata, in subordine per l’ipotesi di mancato accoglimento dei precedenti motivi di ricorso, attraverso la deduzione del vizio di omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (cfr. Cass. sez. 6 – L 12 gennaio 2016, n. 329; Cass. sez. 5, 18 maggio 2012, n. 7871), avuto riguardo al carattere improprio del ritenuto assorbimento, avendo in realtà la CTR deciso direttamente in punto di fondatezza della pretesa impositiva del Comune di Ortona in ragione del criterio della ragione più liquida. Il ricorso va pertanto rigettato per manifesta infondatezza.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va infine dato atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore del Comune controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro, 510,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori, se dovuti. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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