Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22245 del 26/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 26/10/2011, (ud. 27/05/2011, dep. 26/10/2011), n.22245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale sono domiciliati in Roma in via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

COMMERCIALE VERBENA DI CAMBIUZZI G. sas, rappresentata e difesa

dall’avv. MARTINUZZI GINO ed elettivamente domiciliata in Roma presso

l’avv. Lucia Zaccagnini al lungotevere Mellini n. 7;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 4/6/06, depositata il 15 febbraio 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

maggio 2011 dal Relatore Cons. Antonio Greco;

udite l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per la ricorrente e l’avv.

Lucia Zaccagnini per la controricorrente e ricorrente incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna che ne ha rigettato l’appello, accogliendo parzialmente l’appello incidentale della sas Commerciale Verbena di Cambiuzzi Giacomo, nel giudizio introdotto da quest’ultima con l’impugnazione di un avviso di rettifica dell’IVA per l’anno 1994, emesso sulla base di un verbale di constatazione della Guardia di finanza del maggio 1999, dal quale era tra l’altro emersa la mancata istituzione di alcune scritture contabili obbligatorie.

Il giudice d’appello ha rilevato infatti che la società contribuente, benchè priva di alcuni registri IVA, era comunque in possesso delle fatture di acquisto e di vendita, debitamente memorizzate nel terminale aziendale: ciò aveva consentito ai verbalizzanti di confrontare le fatture con le registrazioni informatiche tenute, con la conseguenza che, non essendo emerso un fine evasivo o elusivo, poteva essere confermata sul punto la decisione di primo grado che aveva riconosciuto il diritto, negato dall’ufficio, alla detrazione dell’IVA sugli acquisti per lire 145.527.000.

Ha invece accolto, per quanto ancora rileva, l’appello incidentale della contribuente concernente la contestata mancata autofatturazione di maggiori canoni di locazione per il 1994, sui rilievo che non era stato provato o chiarito all’immobile di quale numero civico della (OMISSIS) essi fossero relativi, e che non vi era prova che la conduttrice avesse versato, ed il locatore incassato, un canone superiore, ed ha perciò dichiarato non dovuta l’IVA a tale titolo pretesa.

La sas Commerciale Verbena resiste con controricorso, articolando un motivo di ricorso incidentale – cui replica con controricorso l’amministrazione -, illustrato con successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsa, siccome proposti nei confronti della medesima decisione, vanno riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia.

Con il primo motivo del ricorso principale, concernente il mancato riconoscimento della detrazione in relazione alle fatture d’acquisto, l’amministrazione, denunciando “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 25 e 39; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54; art. 2697 c.c. e ss., art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5″, deduce che la contribuente aveva omesso la tenuta di registri obbligatori IVA, quello delle fatture emesse e quello delle fatture d’acquisto, e censura la sentenza per aver affermato che l’inadempimento non avrebbe assunto i caratteri della gravità e della sostanza, alla luce del disposto del D.L. 10 giugno 1994, n. 357, convertito nella L. 8 agosto 1994, n. 489, laddove la circostanza che i dati fossero memorizzati sui computer aziendali avrebbe potuto essere sufficiente solo per l’anno in corso, e non per il periodo d’imposta 1994,, considerato le dette inadempienze erano state rilevate con la verifica del 1999. Soltanto dopo aver assolto agli oneri sui di esso incombenti il contribuente potrebbe utilmente invocare l’esistenza di un costo detraibile ai fini dell’IVA. Con il secondo motivo, denunciando Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e ss.; art. 2697 c.c. e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, l’amministrazione ricorrente censura la sentenza per aver ritenuto non dovuta l’IVA per la pretesa mancata autofatturazione di (maggiori) canoni di locazione per non esservi prova che essi erano stati versati. E deduce che, posto che la parte che intende avvalersi di una deduzione ha l’onere di dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti, nessuna prova in proposito era stata fornita, essendosi difesa la contribuente sostenendo che i canoni si riferivano ad un diverso immobile, laddove essa risultava non aver mai cambiato sede, e sostenendo che il prezzo quantificato, condiviso dal giudice di primo grado, era quello di mercato praticato dalla medesima locatrice per altri analoghi immobili.

Con il ricorso incidentale la sas Commerciale Verbena censura la sentenza per non aver ritenuto inammissibile l’appello dell’amministrazione, come eccepito, nel quale non era specificato l’oggetto determinato della domanda.

Il motivo di ricorso incidentale, che per ragioni di priorità logica va anzitutto esaminato, è infondato.

Questa Corte ha affermato che “il principio della specificità dei motivi di impugnazione – richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c., per la individuazione dell’oggetto della domanda d’appello e per stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata – impone all’appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza di primo grado, accompagnandole con argomentazioni che confutino e contrastino le ragioni addotte dai primo giudice, così da incrinarne il fondamento logico-giuridico. Peraltro, la verifica dell’osservanza dell’onere di specificazione non è direttamente effettuabile dal giudice di legittimità, dacchè interpretare la domanda – e, dunque, anche la domanda di appello – è compito del giudice di merito e implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione – così come; avviene per ogni operazione ermeneutica – ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito” (Cass. n. 2217 del 2007).

E la disamina compiuta dal giudice d’appello per pervenire alla reiezione dell’eccezione sollevata in proposito dalla contribuente è articolata e convincente sul piano logico.

Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

Secondo la disciplina dell’IVA, il diritto alla detrazione dell’imposta pagata per l’acquisizione di beni o servizi inerenti all’esercizio dell’impresa, prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, postula che il contribuente sia in possesso delle relative fatture, le annoti nell’apposito registro (art. 25), e conservi le une e l’altro, gravando su esso contribuente l’onere di produrre la documentazione contabile legittimante la detrazione (Cass. n. 28333 del 2005).

L’affermazione del giudice d’appello, secondo cui, ancorchè “priva di alcuni registri IVA”, in quanto in possesso delle fatture relative al 1994, risultate, nel corso della verifica del 1999, “debitamente memorizzate nel terminale aziendale”, la contribuente aveva diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti, non essendo emerso “un fine evasivo o elusivo”, è erronea in diritto.

Il D.L. 10 giugno 1994, n. 357, art. 7, comma 4 ter, convertito nella L. 8 agosto 1994, n. 489, nella versione, applicabile alla specie ratione temporis, anteriore alla riforma introdotta dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, prevede infatti, come questa Corte ha chiarito, che “a tutti gli effetti di legge la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi meccanografici è considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei, nei termini di legge, dei dati relativi all’esercizio corrente, quando anche in sede di controlli ed ispezioni gli stessi risultino aggiornati sugli appositi supporti magnetici e vengano stampati contestualmente alla richiesta avanzata dagli organi competenti ed in loro presenza”. Ne consegue che la regola è la tenuta dei registri contabili su supporti cartacei, anche se a tutti gli effetti di legge è li considerata regolare anche la tenuta di essi con sistemi meccanografici in assenza di trascrizione su supporto cartaceo, ma solo limitatamente ai dati relativi all’esercizio corrente e purchè in sede di controlli i registri su supporti magnetici risultino aggiornati e vengano immediatamente stampati su richiesta degli organi competenti. Pertanto ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione non è irrilevante la scelta della modalità di registrazione (meccanografica o cartacea) dei dati, in quanto la scelta della registrazione meccanografica prevede sempre e comunque la trascrizione su supporto cartaceo, mentre la parificazione degli effetti dalla registrazione meccanografica non trascritta a quelli della registrazione cartacea è espressamente limitata nel tempo (ai dati relativi all’esercizio e condizionata alla stampa immediata a richiesta), non essendo pertanto neppure necessaria alcuna espressa previsione normativa per escludere il diritto alla detrazione in relazione a dati emergenti da registri la cui tenuta, sulla base di quanto sopra esposto, non può essere considerata regolare (Cass. n. 22851 del 2010).

E’ invece privo di pregio il secondo motivo del ricorso principale, atteso che alla ritenuta – dal giudice d’appello – mancanza di ogni elemento di prova in ordine al versamento, da parte della conduttrice, ed all’incasso, da parte della locatrice SICI srl, di un canone di locazione, per il 1994, superiore a quello risultante – “ipotesi non confermata da alcun elemento oggettivo” -, l’amministrazione oppone argomenti inidonei ad integrare una critica efficace all’accertamento compiuto.

In conclusione, il ricorso incidentale ed il secondo motivo del ricorso principale devono essere rigettati, mentre va accolto il primo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale ed il secondo motivo del ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2011

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