Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22244 del 26/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 26/10/2011, (ud. 27/05/2011, dep. 26/10/2011), n.22244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14964-2008 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

MICROMAINT SRL in persona dell’Amministratore Unico pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA PANAMA 68, presso lo studio

dell’avvocato PUOTI GIOVANNI, che lo rappresenta e difende, giusta

delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 74/2007 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 12/04/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/05/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il resistente l’Avvocato LO MONACO, delega Avvocato PUOTI,

che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI MASSIMO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della Micromaint s.r.l. (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Irpeg e Irap in relazione all’anno 1998, la C.T.R. Campania, per quel che in questa sede ancora rileva, rigettava l’appello incidentale dell’Agenzia confermando la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso introduttivo della contribuente.

2. Col primo motivo, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c., la ricorrente si duole che i giudici d’appello abbiano integralmente annullato la rettifica fondata su tre verbali di contestazione per la mancata produzione di in sede contenziosa di due di essi, senza pronunciarsi sui rilievi contenuti nell’unico verbale prodotto.

Col secondo motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 111 Cost., la ricorrente precisa che, ove si volesse ritenere implicitamente resa una pronuncia anche con riguardo ai fatti di cui al verbale prodotto, detta pronuncia sarebbe totalmente immotivata e perciò illegittima per carenza assoluta di un requisito imposto dalla legge e dalla costituzione.

Giova innanzitutto evidenziare che si ritiene di poter prescindere dalla inadeguata formulazione dei quesiti di diritto relativi ad entrambi i motivi sopra esposti in considerazione del minor rigore col quale parte della giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha valutato la formulazione del quesito di diritto concernenti errores in procedendo.

Tanto premesso, la prima censura è infondata. I giudici d’appello hanno affermato che la mancata produzione di due dei tre p.v.c. sui quali era basato l’avviso opposto aveva impedito di rendere intelleggibile “la portata delle contestazioni” contenute in detto avviso. E’ pertanto evidente che i suddetti giudici si sono pronunciati su tutte le contestazioni contenute nell’avviso opposto.

Ed è altrettanto evidente che hanno anche motivato la propria decisione (ciò a prescindere dalla correttezza, sufficienza e/o condivisibilità di tale motivazione). Non sussiste pertanto l’omessa pronuncia e neppure il difetto assoluto di motivazione denunciato (in via gradata) nel secondo motivo, essendo peraltro a tale proposito appena il caso di rilevare che il difetto assoluto di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 4 (cui è parificabile la mera apparenza della medesima) deve essere totale, posto che, in ipotesi di difetto parziale, ossia limitato ad una o più questioni, ove tali questioni riguardano “fatti” decisivi, è configurabile non l’error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 bensì eventualmente il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 e che pertanto la ricorrente avrebbe potuto eventualmente dolersi della insufficiente motivazione della decisione in relazione alla ritenuta inintelleggibilità anche delle contestazioni riferibili al p.v.c. prodotto, denunciando il vizio di motivazione e riportando in ricorso passi significativi del suddetto p.v.c. per evidenziare che una adeguata valutazione di esso avrebbe condotto ad una decisione diversa in relazione almeno ad alcune delle contestazioni di cui all’avviso opposto.

Col terzo motivo, deducendo violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 lett. c) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, nonchè degli artt. 2697, 2727 e 2730 c.c., la ricorrente chiede a questo giudice di dire se “abbia violato le norme sull’accertamento e la rettifica nonchè quelle sulla prova il giudice che, a fronte di prova presuntiva incontrastata (e comunque a fronte di sostanziale non contestazione, con valore anche confessorio) circa l’inesistenza di un fornitore, non abbia considerato necessariamente inesistenti, in senso soggettivo, anche le operazioni che si pretendevano con lui intercorse, ma invece le abbia ritenute dimostrate, con prova sufficiente a vincere le presunzioni dell’Ufficio, dalla mera documentazione dell’intervenuto pagamento”.

La censura è, prima che infondata, inammissibile sotto diversi profili.

Giova innanzitutto evidenziare che il quesito di diritto (e a fortiori il motivo che lo precede) si fonda su presupposti che non trovano riscontro nella sentenza impugnata.

In tale sentenza i giudici d’appello hanno affermato: che l’avviso opposto risultava carente per difetto di supporto documentale e inadeguata esplicitazione degli addebiti mossi, cosi violando il diritto di difesa del contribuente; che l’amministrazione, oltre a non allegare all’avviso due dei tre p.v.c. in esso richiamati, non li aveva neppure prodotti in sede contenziosa, impedendo cosi di rendere intelligibile la portata delle contestazioni; che, al contrario, la società aveva provato con ampia documentazione contabile che le supposte operazioni inesistenti erano state oggetto di puntuali pagamenti a mezzo di bonifici bancari intestati ai fornitori beneficiari.

Appare evidente pertanto che la motivazione della sentenza impugnata si fonda su due rationes decidendi concorrenti (mancata allegazione di due p.v.c. – quindi violazione del diritto di difesa del contribuente; mancata produzione in sede contenziosa di due p.v.c. – quindi non intelleggibilità delle contestazioni-) nonchè su di un argomento ad abundantiam (prova da parte della società degli intervenuti pagamenti). Prescindendo dall’ulteriore motivo di inammissibilità costituito dal difetto di interesse alla impugnazione di una soltanto delle suddette rationes decidendi, è evidente che da tale sentenza non risulta in alcun modo accertato che l’amministrazione aveva fornito la prova presuntiva della inesistenza del fornitore nè tanto meno che tale fatto non fosse stato contestato dalla società (risultando invece che l’amministrazione non aveva provato in alcun modo – quindi neppure per presunzioni e/o mancata contestazione – nessuna delle contestazioni mosse alla contribuente nell’avviso opposto, essendo esse non “intelleggibili” a causa della mancata produzione di alcuni dei p.v.c. sui quali detto avviso era fondato). E’ peraltro da evidenziare che, ove la ricorrente avesse invece inteso censurare proprio il fatto che i giudici d’appello non avevano ritenuto fornita la prova della inesistenza del fornitore (non quindi il fatto che i suddetti giudici non avevano tratto da tale prova la conseguenza della inesistenza delle operazione che si affermavano con lui intercorse) ben diversi avrebbero dovuto essere il quesito di diritto proposto (ma innanzitutto il vizio denunciato).

E’ infine appena il caso di aggiungere che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, grava sull’Amministrazione che la deduca l’onere di provare l’inesistenza (soggettiva e/ o oggettiva) di operazioni contestate, mentre grava sul contribuente solo l’onere della prova contraria (v. tra le altre cass. n. 15395 del 2008). Ne consegue che, una volta affermato che per la mancata, produzione di due dei p.v.c. l’Amministrazione non aveva fornito la prova delle contestazioni contenute nell’avviso opposto – che erano rimaste “inintelleggibili”-, nell’economia della sentenza l’accenno alla prova documentale fornita dalla contribuente circa i pagamenti effettuati doveva considerarsi (come già sopra rilevato) alla stregua di un argomento ad abundantiam e pertanto anche sotto questo profilo deve ritenersi che il quesito di diritto (e il relativo motivo) non colga la ratio decidendi della decisione impugnata laddove afferma che i giudici d’appello avrebbero ritenuto di poter superare la prova presuntiva fornita dall’Amministrazione sulla base della produzione documentale della contribuente in ordine agli intervenuti pagamenti.

3. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.100,00 di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2011

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