Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22244 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/09/2019, (ud. 05/03/2019, dep. 05/09/2019), n.22244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2485-2018 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SABATINO 2,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTINO ORLANDO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIULIO TARSITANO;

– ricorrente –

Contro

AUTOSERVIZI PREITE SRL, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso

lo studio dell’avvocato FABRIZIO IMBARDELLI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI CUOZZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1434/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Catanzaro con la sentenza n. 1434/17 aveva rigettato l’appello di C.A. avverso la decisione con la quale il tribunale di Cosenza aveva rigettato la domanda dallo stesso proposta diretta ad ottenere l’indennità di agente unico asseritamente già percepita ed a lui spettante anche successivamente al passaggio dalla Autoservizi Fiorino Preite srl alla Autoservizi Preite srl in data 31.12.2015, in ragione del trasferimento di ramo di azienda tra le due società.

La corte territoriale aveva ritenuto non provata la circostanza che il ricorrente percepisse la suddetta indennità al momento del trasferimento anche risultando accertato che nell’assegno ad personami che aveva ricompreso l’indennità di agente unico, erano confluite diverse voci retributive la cui singola fruizione non era stata provata dal C., non essendo ipotizzabile, nel caso di specie, l’operatività del principio di non contestazione invocata dal lavoratore.

Peraltro la sentenza impugnata dava atto della corresponsione, da parte della azienda cessionaria, dell’ERI (elemento retributivo individuale) di cui ai contratto integrativo aziendale del 5.4.2004, in quanto il C. era stato assunto successivamente a tale data. Tale emolumento risultava maggiore rispetto a quello percepito presso il datore di lavoro cedente, risultando così assicurato al dipendente un trattamento migliorativo successivamente alla cessione. Soggiungeva infine la Corte di merito che l’assegno ad personam era stato istituito con il contratto integrativo stipulato presso la ditta cessionaria (5.4.04) e dunque non poteva essere conservato al momento della cessione attesa la sua istituzione successiva. Avverso detta decisione il C. aveva proposto ricorso affidato ad un solo motivo, anche coltivato da successiva memoria, cui aveva resistito la società autoservizi Preite con controricorso.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) con unico motivo di censura è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del CCNL 27 novembre 2000″, art. 8 dell’accordo aziendale del 5.4.2004,e del punto 3, secondo alinea dell’accordo preliminare del 2.3.2000, violazione dell’art. 2112 c.c., tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo risulta inammissibile.

Deve preliminarmente rilevarsi che la corte territoriale ha statuito che, non soltanto il ricorrente non aveva provato di aver percepito prima del trasferimento l’indennità di agente unico in questione, ma anche che comunque la società aveva allegato e dimostrato che nell’assegno ad personam (di cui il ricorrente chiede il riconoscimento) erano confluite diverse voci stipendiali, oltre quella di agente unico, la cui spettanza e fruizione, antecedentemente alla cessione, non era stata dimostrata dal lavoratore.

Il giudice d’appello soggiungeva inoltre che la cessionaria aveva corrispostò al dipendente l’ERI (elemento retributivo individuale) in quanto assunto successivamente alla data della sua istituzione. Tale istituto risultava peraltro più cospicuo rispetto all’indennità pretesa. Infine osservava che comunque non era invocabile dal lavoratore l’attribuzione dell’assegno ad personam in conseguenza della cessione, in quanto questo era stato istituito solo con il contratto aziendale stipulato dalla cessionaria e dunque non era istituto retributivo presente al momento della cessione e, in quanto tale, oggetto di conservazione da parte del lavoratore ceduto.

La decisione della corte di appello è evidentemente incentrata su più rationes decidendi, una afferente alla mancata dimostrazione da parte del ricorrente di percepire, al momento del trasferimento, l’indennità richiesta nonchè la spettanza delle ulteriori voci retributive confluite nell’assegno ad personam, l’altra che dà atto dell’attribuzione al lavoratore, dal momento del trasferimento, di altra voce retributiva (ERI) prevista e dovuta in ragione della sua data di assunzione dal ccnl vigente, più cospicua della indennità rivendicata ed infine una ulteriore ratio dimostrativa della istituzione dell’assegno ad personam successivamente alla cessione d’azienda che aveva interessato il ricorrente.

Rispetto a tale differenziate ragioni il motivo di ricorso proposto in questa sede di legittimità risulta essere rivolto, come si evince anche dalla rubrica riportata, a censurare l’interpretazione data dal giudice d’appello alle disposizioni contrattuali relative alla pretesa indennità. Peraltro, anche nel corpo del motivo di doglianza proposto, il ricorrente non ha confutato la valutazione del giudice di merito relativamente alla mancata prova della percezione della indennità rivendicata e della spettanza delle ulteriori voci retributive presenti nell’assegno ad personam, essendosi limitato a sottolineare che fosse “pacifico che l’indennità di agente unico venisse percepita in passato dal C.”(pg.6 ricorso). La statuizione relativa alla carenza di prova risulta quindi non sufficientemente e specificamente censurata in questa sede, non risultando a ciò utile la mera allegazione di “pacificità” della circostanza. Già tale rilievo rende inammissibile il motivo. Peraltro non risultano specificamente attaccati gli ulteriori punti del convincimento del giudice d’appello.

In merito alla doppia ratio decidendi questa Corte ha chiarito che “Il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima ” ratio decidendi”, esamini ed accolga anche una seconda “ratio”, al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della “potestas iudicandi”, atteso che l’art. 276 c.p.c., distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno di quest’ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due diverse “rationes decidendi”, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicchè l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile”(Cass.n. 15399/2018).

Il ricorso risulta pertanto inammissibile.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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