Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22244 del 04/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/08/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 04/08/2021), n.22244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15166-2020 proposto da:

W.H., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA AMERICO

CAPPONI, 16, presso lo studio dell’avvocato CARLO STACCIOLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 11203/2018 del TRIBUNALE di LECCE,

depositato il 30/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa TRICOMI

LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

W.H., nato in Pakistan, impugnava la decisione della Commissione Territoriale, con cui era stata respinta la sua domanda di protezione internazionale.

Il ricorrente aveva narrato di essere di fede mussulmana sunnita, di essere sposato, di avere due figli e di avere lasciato il proprio Paese perché in due occasioni era stato percosso da persone di religione sciita ed in un’occasione minacciato per indurlo alla conversione.

Con il decreto in epigrafe indicato, il Tribunale di Lecce ha rigettato il ricorso avverso tale decisione.

Il Tribunale ha ritenuto che il racconto non era rappresentativo di una fattispecie di persecuzione di carattere religioso, attesa la occasionalità ed episodicità dei fatti esposti; che non emergeva il rischio effettivo di subire un grave danno nell’area di provenienza del richiedente in Pakistan in ragione dell’accertamento compiuto sulle fonti accreditate (Human Rights Watch 2019; Amnesty International 2017/2018; Report MAE valido fino al febbraio 2020), che non ricorreva una condizione di personale vulnerabilità individualizzata, né un compiuto percorso di integrazione sociale in Italia.

Il richiedente propone ricorso per cassazione con due mezzi. Il Ministero dell’Interno ha depositato mero atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il ricorso verte sul diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) e va dichiarato inammissibile.

2.1. Il primo motivo, con cui il ricorrente denuncia la motivazione apparente in merito al mancato riconoscimento dello status di rifugiato e sostiene che i fatti narrati integravano gli estremi della persecuzione di tipo religioso, è inammissibile.

2.2. Va qui confermato il principio secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez,. U. n. 34476 del 27/12/2019) così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 04/04/2017). Con il ricorso per cassazione – anche se proposto con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404 del 07/12/2017; Cass. n. 19547 del 04/08/2017; Cass. n. 16056 del 02/08/2016).

2.3. Nel caso in esame, il Tribunale, pur non avendo escluso la credibilità del racconto del richiedente, ha accertato l’assenza di atti persecutori sufficientemente gravi per natura e frequenza del D.Lgs. n. 25 del 2007, ex art. 7, comma 1, nei suoi confronti, sulla scorta di quanto dallo stesso narrato da cui si evinceva la occasionalità degli episodi (tre) denunciati risultati non particolarmente allarmanti e la censura si traduce in una impropria sollecitazione del merito, senza neppure dedurre il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.1. E’ inammissibile anche il secondo motivo, con il quale il ricorrente denuncia la motivazione apparente in merito al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), sostenendo che il Tribunale nel compiere la valutazione circa la non ricorrenza di una minaccia grave ed individuale per la vita di un civile nell’area di provenienza del ricorrente (la zona di Mandi Bahauddin, all’interno del Punjab) non aveva riportato le fonti internazionali specifiche.

3.2. Ricorre anche nel presente caso l’applicazione dei principi enunciati sub 2.2.

Invero, il Tribunale ha esaminato le fonti internazionali e ne ha tratto una serie di informazioni che hanno evidenziato come, all’interno del vasto territorio del Punjab, le zone connotate da conflitto e rischio generalizzato erano Le Federally Administrated Tribal Areas (FATA) e il Khyber Paktunkwa, e ha, quindi, motivatamente escluso che tale condizione riguardasse anche la zona di provenienza del ricorrente; questi, peraltro, sul punto non deduce nulla di specifico, ma si limita a contestare – erroneamente – la apparenza della motivazione.

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva del resistente.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021

 

 

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