Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22241 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/09/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 05/09/2019), n.22241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7769-2018 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GARIGLIANO

11, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DEFONTE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROBERTO PAOLILLO;

– ricorrente –

contro

V.V. & C. SNC, in persona dei legali rappresentanti

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGOSTINO

DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato PIETRO CAVASOLA, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FEDERICO LEVONI, GIAN

VITO CALIFANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3055/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 29/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 29 dicembre 2017, n. 3055, la Corte di appello di Bologna dichiarò inammissibile il gravame proposto da V.G. contro l’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., pubblicata il 20 gennaio 2011 dal Tribunale di Modena, che aveva ritenuto prescritto il suo diritto alla liquidazione della propria quota della V.V. & C. s.n.c., dalla quale era stato già escluso con delibera del 10 luglio 1997.

1.1. La corte felsinea, previo esame della parte cartacea del fascicolo di primo grado trasmessole dalla cancelleria del tribunale, constatò che sull’originale e sulla copia dell’ordinanza predetta si rinveniva l’annotazione “F.A. telematico” (dove “F.A” stava, evidentemente, per “fatto avviso”), datata 24 gennaio 2011 e sottoscritta dal personale di cancelleria: ritenne, pertanto, provato documentalmente che quel provvedimento fosse stato comunicato il 24 gennaio 2011, ciò riscontrando anche nei registri di cancelleria, posto che l’esecuzione di tale formalità emergeva pure dalla consultazione telematica del menzionato fascicolo, n. r.g. 5672/2010, da cui risultava che quell’ordinanza era stata comunicata il 24 gennaio 2011, in forma integrale, all’Avv. Roberto Paolillo, difensore dell’appellante. L’appello era stato, poi, proposto dal V. con citazione consegnata per la notifica il 16 marzo 2011, quando, allora, il termine di trenta giorni ex art. 702-quater c.p.c. (fatto decorrere dalla comunicazione del 24 gennaio 2011) era ormai scaduto.

2. Avverso questa sentenza, V.G. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c.. Resiste, con controricorso, la V.V. & C. s.n.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 327 c.p.c., dell’art. 45 disp. att. c.p.c., in allora vigente, dell’art. 702-quater c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5: violazione del principio tempus regit actum, violazione del principio di irretroattività delle norme a carattere processuale, dei principi regolatori del giusto processo (diritto di difesa: art. 24 Cost., e principio del contraddittorio: artt. 111 Cost.)”. Si ascrive alla corte distrettuale: z) di non aver tenuto conto dell’assenza di prova del fatto che fossero state rispettate le modalità di comunicazione dei provvedimenti sancite dall’art. 45 disp. att. c.p.c., nel testo, da applicarsi ratione temporis, anteriore alle modifiche apportategli dal D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, e della mancanza di dimostrazione che, nella specie, l’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., resa dal tribunale modenese il 20 gennaio 2011 fosse stata comunicata in forma integrale; iz) di aver attribuito alla sigla “F.A.”, apposta dal cancelliere, interpretata come acronimo di “fatto avviso”, la valenza di comunicazione a mezzo PEC in forma integrale del provvedimento decisorio di primo grado, cosa che non era avvenuta;

di aver affermato, in termini assoluti, che la trasmissione del testo integrale della citata ordinanza all’archivio informatico valesse quale notifica/comunicazione a mezzo PEC dell’intero testo del medesimo provvedimento, assunto confliggente con l’art. 45 disp. att. c.p.c.;

II) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al combinato disposto degli artt. 91 e 92 c.p.c., in punto di liquidazione delle spese di lite”. Si critica il giudice di appello perchè, malgrado il rilievo officioso della inammissibilità del gravame, della sussistenza di una soccombenza reciproca in relazione all’adottata pronuncia sull’appello incidentale della V.V. & C. s.n.c., e dell’assoluta novità della questione trattata, non aveva proceduto alla compensazione delle spese del grado;

III) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al combinato disposto degli artt. 2943,2944,2945 e 2949 c.c., in punto di rilevanza di atti interruttivi della prescrizione anche in relazione al dictum dell’art. 2943 c.c., u.c.”. Posto che la corte distrettuale, decidendo in punto di inammissibilità del gravame, non ne aveva esaminato il merito, omettendo, così, di stabilire se, nello specifico, fosse fondato l’appello avverso la decisione di primo grado, il ricorrente argomenta il proprio convincimento circa la non condivisibilità di quest’ultima.

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1. Il procedimento sommario di cognizione è stato introdotto mediante novellazione del c.p.c. ed inserimento in esso del capo costituito dagli artt. 702-bis e ss., in virtù della L. n. 69 del 2009, art. 51, comma 1, al fine tra l’altro – in parallelo ad esperienze di altri ordinamenti ed in adempimento a raccomandazioni sul piano sovranazionale – di dotare l’ordinamento processuale italiano di un rito accelerato.

2.1.1. Per quanto qui di effettivo interesse ai fini di ciò che si dirà in prosieguo, esso è definito con ordinanza (” i giudice… provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande” – art. 702-ter c.p.c., comma 5), quale provvedimento più “succintamente motivato” (art. 134 c.p.c., comma 1), coerentemente con la ratio perseguita dalla legge, e tale “ordinanza… produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c., se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificaione” (art. 702-quater c.p.c.), e ciò sia in ipotesi di accoglimento che di rigetto (cfr. Cass. n. 5840 del 2017).

2.1.2. In particolare, quanto all’appello, e sempre limitatamente a quanto qui ancora di rilievo, dal confronto dell’art. 325 c.p.c., comma 1, e art. 326 c.p.c., comma 1, da un lato, e dell’art. 702-quater c.p.c., d’altro lato, si desume una sostanziale sovrapponibilità di disciplina quanto al termine (di trenta giorni in entrambe le sedes materiae), mentre le regole in tema di decorrenza fanno emergere un’antinomia: secondo l’art. 326 c.p.c., comma 1, il termine decorre “dalla notificazione della sentenza”, tranne che in casi specifici, mentre secondo l’art. 702-quater c.p.c., esso decorre dalla “comunicazione o notificazione dell’ordinanza”. Deve, dunque, affermarsi l’impossibilità di operare, quanto alla disciplina del solo appello (non rilevando, nella presente sede, le regole relative alle impugnazioni non aventi carattere di gravame, per le quali – stante la mancanza di una disciplina ad hoc per il rito sommario di cui trattasi – potrebbe pervenirsi a diverse soluzioni), un coordinamento o un’integrazione tra le due discipline appena individuate, dovendo ritenersi l’esclusiva applicabilità di quella contenute nell’art. 702-quater c.p.c., in virtù del principio di specialità.

2.2. Appare, allora, decisivo considerare in dettaglio il dato dell’estensione, nella disposizione speciale, del riferimento per la decorrenza del termine, in via alternativa, alla notificazione (art. 137 c.p.c.) su istanza di parte o alla comunicazione (art. 136 c.p.c.) quale atto d’ufficio del cancelliere.

2.2.1. A ben vedere, in tal modo la legge ha introdotto un ulteriore fattore di speditezza del rito, prevedendosi, in sostanza, che, quand’anche una parte o entrambe non manifestino interesse al sollecito conseguimento degli “effetti di cui all’art. 2909 c.c.” e si astengano dalla notificazione, gli effetti medesimi (direttamente o indirettamente, mediante stimolo dell’avversario a proporre prontamente gravame) conseguano alla comunicazione del cancelliere, adempimento in ogni caso effettuato per le ordinanze fuori udienza (cfr. art. 134 c.p.c., comma 2). In altri termini, ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni, occorre far riferimento alla data della notificazione del provvedimento ad istanza di parte ovvero, se anteriore, della sua comunicazione di cancelleria, comunicazione che deve avere ad oggetto il testo integrale della decisione, comprensivo del dispositivo e della motivazione, in maniera da consentirne alla parte destinataria la piena conoscenza (0-. Cass. n. 14478 del 2018, in motivazione; Cass. n. 7401 del 2017; Cass. n. 11331 del 2017; Cass. n. 22674 del 2017).

2.3. Fermo quanto precede, costituisce, nella specie, chiaro accertamento fattuale quello compiuto dalla corte distrettuale secondo cui, alla stregua di quanto desumibile dalla parte cartacea del fascicolo di primo grado ad essa trasmesso dal Tribunale di Modena, nonchè dalla consultazione telematica del medesimo fascicolo, n. 5672/2010, l’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., resa da quel tribunale il 20 gennaio 2011, tra le odierne parti in causa, era stata comunicata il successivo 24 gennaio 2011, in forma integrale, all’Avv. Roberto Paolillo, difensore dell’appellante, e che il gravame avverso la stessa era stato poi proposto dal V. con citazione consegnata per la notifica il 16 marzo 2011, quando, cioè, il termine di trenta giorni ex art. 702-quater c.p.c., fatto decorrere da detta comunicazione del 24 gennaio 2011, era ormai scaduto.

2.3.1. Il descritto, complessivo accertamento afferente l’avvenuta comunicazione integrale dell’ordinanza predetta non è stato adeguatamente censurato, mediante specifiche e pertinenti argomentazioni, dall’odierno ricorrente, il quale si è sostanzialmente limitato a contrapporvi il proprio, contrario convincimento, peraltro nemmeno indicandone eventuali ed appropriati riscontri (eventualmente anche) documentali.

2.4. Avuto riguardo, pertanto, al rilievo che la comunicazione della ordinanza de qua era avvenuta nel vigore del previgente testo dell’art. 45 disp. att. c.p.c., che non contemplava la comunicazione integrale del provvedimento, occorre qui stabilire se quest’ultima, ove comunque eseguita (come accaduto nella specie), fosse idonea a far decorre il termine di trenta giorni per l’impugnazione di quell’ordinanza giusta l’art. 702-quater c.p.c., comma 1.

2.4.1. Ad avviso del Collegio la risposta a tale interrogativo deve essere positiva.

2.4.2. Atteso che l’ordinamento conosce, già da prima della modifica dell’art. 45 disp. att. c.p.c. (attuata dal D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, con previsione di comunicazione integrale del testo dell’ordinanza ai sensi dell’art. 136 c.p.c.), ipotesi in cui la previsione della decorrenza di termini perentori per impugnare è ancorata alla mera comunicazione del provvedimento che ne è oggetto (cfr., ad esempio: art. 47 c.p.c., per il regolamento di competenza; art. 72 c.p.c., per le impugnazioni del Pubblico Ministero; art. 669-terdecies c.p.c., per il reclamo cautelare; art. 391 c.p.c., per l’impugnazione del decreto di estinzione per rinuncia del giudizio di legittimità. Cfr. Cass. n. 23526 del 2014), questa Corte ha già avuto modo di osservare che, allorquando la legge prevede per l’impugnazione della pronunzia il termine di 30 giorni “dalla sua comunicazione o notfflcazione”, stabilendo – in deroga al disposto di cui all’art. 326 c.p.c. – l’equipollenza all’uopo tra la comunicazione (che è atto del cancelliere dell’ufficio giudiziario: art. 136 c.p.c.) e la notificazione (che l’ufficiale giudiziario effettua a richiesta di parte) della decisione del tribunale, la comunicazione deve avere ad oggetto il testo integrale della decisione, comprensivo del dispositivo e della motivazione, non potendo farsi decorrere il termine breve d’impugnazione dalla sola notizia del dispositivo, per evidenti esigenze di difesa della parte soccombente (cfr.- Cass. n. 15698 del 2002; Cass. n. 21477 del 2013, con riferimento a pronunzia resa in materia elettorale con sentenza, secondo il rito di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82 e art. 82, comma 2, anzichè con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., giusta il disposto di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 22, applicabile ratione temporis), essendo per quest’ultima necessaria la conoscenza della motivazione al fine di correlare ad essa i motivi a sostegno del gravame (cfr., con riferimento all’impugnazione ex art. 429 c.p.c., Cass. n. 6196 del 1983; Cass. n. 2072 del 1983), anche sotto il profilo della relativa specificità ((fr. Cass. n. 18932 del 2016; Cass. n. 9244 del 2007; Cass. n. 12984 del 2006; Cass. n. 5445 del 2006).

2.4.3. 11 principio appena riportato, peraltro, è stato già affermato dalla giurisprudenza di legittimità anche nell’ipotesi, come quella di cui si discute, di impugnazione ex art. 702-quater c.p.c., dell’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., resa con riferimento ad una vicenda processuale anteriore alla modifica dell’art. 45 disp. att. c.p.c. (cfr. Cass. n. 7401 del 2017).

2.4.4. Lo stesso è pienamente condiviso anche questo Collegio, atteso, da un lato, che la scelta del legislatore di far decorrere il termine breve per l’appello dalla comunicazione dell’ordinanza è espressione della discrezionalità del primo ed è ragionevolmente in linea con la natura celere del procedimento al termine del quale è emessa l’ordinanza soggetta ad appello; dall’altro, che non risulta essere stato menomato il diritto di difesa dell’odierno ricorrente, posto che il termine di trenta giorni per notificare l’atto introduttivo del suo gravame aveva cominciato a decorrere dalla piena conoscenza, da parte del medesimo, dell’ordinanza nel suo testo integrale, avutasi, come si è detto, con la comunicazione della cancelleria.

2.4.5. Non rinvenendosi, allora, come si è già detto, nelle odierne argomentazioni del V., puntuali e specifiche censure idonee a scalfire l’avvenuto accertamento fattuale, operato dalla corte di merito, quanto alla verificata, ad opera di quest’ultima, comunicazione del testo integrale dell’ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., resa il 20 gennaio 2011 dal Tribunale di Modena, la doglianza in esame non può che essere considerata inammissibile.

3. Analoga sorte merita il secondo motivo.

3.1. Il V. si duole del fatto che il giudice di appello, malgrado il rilievo officioso della inammissibilità del gravame, della sussistenza – a dire del medesimo ricorrente – di una soccombenza reciproca in relazione all’adottata pronuncia sull’appello incidentale della V.V. & C. s.n.c., e dell’assoluta novità della questione trattata, non abbia proceduto alla compensazione delle spese del grado.

3.2. Un siffatto assunto, però, mostra di non tenere in alcun conto che – pur volendosi sottacere l’insussistenza, nella fattispecie de qua, della reciproca soccombenza (atteso che la corte distrettuale ha sancito la mera inefficacia, ex art. 334 c.p.c., comma 2, del gravame incidentale della menzionata società) – la giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte, secondo la quale la compensazione totale o parziale delle spese di causa, prevista dal dall’art. 92 c.p.c., comma 2, deve essere motivata nel caso in cui il giudice la disponga, come emerge chiaramente dalla norma stessa. “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare…”: così recita il suo testo ratione temporis applicabile alla presente causa. A contrario, l’obbligo motivazionale non sussiste laddove il giudice non si avvalga di tale potere discrezionale, ovvero non si distolga, nel caso concreto, dall’automatismo delle conseguenze della soccombenza. La condanna per soccombenza, infatti, non richiede giustificazioni, essendo intrinsecamente avvinta al principio di causazione del processo e, pertanto, giammai può essere ricondotta ad uno squilibrio di trattamento tra le parti – come sostanzialmente prospetta il ricorrente -, rappresentando, invece, la completa restaurazione della sfera giuridica del soggetto che ha dovuto avvalersi dello strumento processuale, qualunque parte vi abbia rivestito, per tutelarla. La motivazione, in altri termini, è necessaria per giustificare l’eccezione a tale principio, eccezione che discende dalla concretezza del caso e che, dunque, deve essere specificamente illustrata ed altresì supportata secondo i canoni logico-giuridici di una congrua motivazione (sulla necessità di motivazione esclusivamente per la concessione della compensazione, e non per l’applicazione della regola della soccombenza, cfr., ex aliis, Cass. n. 16893 del 2018, in motivazione; Cass. n. 2730 del 2012. Sulla compatibilità con l’principi costituzionali della mancanza di obbligo motivazionale in caso di diniego di compensazione cfr. Cass. n. 19151 del 2005; Cass. n. 2974 del 2005; Cass. n. 23460 del 2004; Cass. n. 14239 del 2004; Cass. n. 17692 del 2003).

4. Il terzo motivo, infine, è inammissibile, atteso che, a tacer d’altro, il rigetto della prima delle odierne doglianze del V. ha comportato il definitivo passaggio in giudicato, in parte qua, della decisione di primo grado, le cui statuizioni sul punto sono, pertanto, divenute irretrattabili.

5. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate da principio di soccombenza, altresì rilevandosi che sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna V.G. al pagamento, in favore di parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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