Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22241 del 04/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/08/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 04/08/2021), n.22241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12058-2019 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANGELA CHIMENTO;

contro

– ricorrente –

M.N.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2188/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella carriera di consiglio non

partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Con la sentenza depositata il 22/10/2018 la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di assegno divorzile proposta da B.L. nei confronti di M.N., accolta in primo grado nella misura di Euro 200,00= mensili, oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT.

B.L. ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi; M. è rimasto intimato.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

La ricorrente si duole che la Corte catanese abbia revocato l’assegno divorzile, avendo ritenuto insussistente il divario o la sproporzione tra le condizioni reddituali delle parti, con decisione di stile, scollegata da quelli che sono i presupposti per il riconoscimento dell’assegno, che ha natura non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa.

Nel prosieguo della doglianza la B. sostiene di essere il coniuge più debole e contesta la statuizione con cui è stata ravvisata una sostanziale parità reddituale tra i coniugi, ricondotta alle proprietà immobiliari; lamenta che la decisione sarebbe errata per l’omessa valutazione delle ben più cospicue proprietà del M., oltre che dei suoi redditi. Si duole che non si sia tenuto conto del fatto che era andata in pensione, con contrazione del reddito, e che era indebitata.

Si duole quindi che non si sia tenuto conto della durata del matrimonio (27 anni) e dei sacrifici e delle scelte compiute durante il matrimonio per la famiglia che avevano reso possibile la progressione professionale e l’incremento dei guadagni del M..

1.2. Il motivo è inammissibile.

1.3. Appare opportuno premettere, che, con la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 11490 del 1990, era stato affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, il cui presupposto è stato individuato nell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, ed il cui ammontare da liquidare in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. Tale orientamento, rimasto fermo per un trentennio, è stato modificato con la menzionata sentenza n. 11504 del 2017 di questa Corte, che, muovendo anch’essa dalla premessa sistematica relativa alla distinzione tra il criterio attributivo e quello determinativo, ha affermato che il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato al lume del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai “persona singola”, ed all’esito dell’accertamento della condizione di non autosufficienza economica, da determinare in base ai criteri indicati nella prima parte della norma. Con la recente sentenza n. 18287 del 2018 le Sezioni Unite di questa Corte sono nuovamente intervenute, e, nell’ambito di una complessiva riconsiderazione della materia, hanno ritenuto che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

1.4. Tuttavia la doglianza con cui è denunciata la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, non considera che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, viceversa, quando, come nella specie, si alleghi un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa il vizio è esterno all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, nei limiti previsti dal nuovo testo del numero 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, che, da una parte, ha circoscritto il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza qui non ricorrenti, e, dall’altra, ha introdotto il vizio di omesso esame di un fatto che sia decisivo ed oggetto di discussione tra le parti.

A tale stregua, la censura non considera che i fatti in essa dedotti sono stati puntualmente oggetto di specifica disamina da parte della Corte distrettuale, come si evince dalla sentenza (fol. 3 e ss).

1.5. La Corte di appello, applicando i criteri come elaborati dalla pronuncia a Sezioni Unite del 2018, ha dato conto delle emergenze istruttorie, valorizzando la circostanza che entrambe le parti sono titolari di propri redditi da lavoro senza che, nella complessiva valutazione, appaia decisivo l’intervenuto trattamento di quiescenza della B. – ed economicamente indipendenti già nel corso del matrimonio, che entrambi sono titolari di proprietà immobiliari, che vengono comparate anche considerando la possibilità di metterle a frutto, che la B. continua a fruire della casa familiare, in comproprietà tra gli ex coniugi, che la B. non aveva dimostrato di avere rinunciato alla propria carriera per sopperire alle esigenze del nucleo familiare, che i maggiori e più recenti redditi percepiti da M., erano frutto di scelte lavorative intervenute dopo la conclusione del rapporto con la ex moglie, essendo cessata la convivenza già dal 2005.

Orbene le critiche svolte riguardano sostanzialmente la valutazione che dei molteplici fatti ha compiuto la Corte distrettuale sulla scorta dei plurimi criteri enucleabili dalla lettura della L. n. 898 del 1970, art. 5, come valorizzati nelle ultime decisioni di legittimità, e si traducono in una impropria sollecitazione del riesame del merito secondo le aspettative della ricorrente, posto che non emergono fatti tempestivamente dedotti non esaminati.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, la ricorrente sostiene che la Corte di appello si sia fondata sulle dichiarazioni rese dal M. ed abbia omesso di esaminare alcuni fatti storici decisivi, desumibili dai documenti depositati, che avrebbero condotto ad una decisione di segno opposto. La censura sembra riguardare anche il rigetto delle richieste istruttorie, che tuttavia non vengono indicate in maniera specifica. La ricorrente sostiene inoltre che non si sia tenuto conto delle ulteriori possidenze immobiliare del M., come dimostrate in primo grado ed ignorate in secondo grado.

2.2. Il motivo è inammissibile perché generico ed aspecifico ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

2.3. La ricorrente non illustra con la dovuta specificità quali siano i fatti di cui sia stato omesso l’esame, se siano stati tempestivamente dedotti e provati, se gli stessi siano stati oggetto di discussione tra le parti, né quale contenuto e rilievo avrebbero potuto avere i documenti a cui si riferisce in maniera molto generica, insistendo invece nella prospettazione delle sue personali conclusioni in relazione alla condizione economica e patrimoniale dell’ex marito. Lo stesso è a dirsi delle deduzioni istruttorie e delle prove testimoniali richieste, rispetto alle quali, fermo il principio secondo il quale il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 19985 del 10/8/2017), nulla è detto circa l’oggetto e la decisività delle stesse.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva dell’intimato.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021

 

 

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