Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2224 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/01/2020, (ud. 26/09/2019, dep. 30/01/2020), n.2224

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23669/2018 R.G. proposto da:

FRIGOGEO s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

C.G., rappresentata e difesa, per procura speciale in

calce al ricorso, dall’avv. Daniela TRIBUZIO, ed elettivamente

domiciliata in Roma, alla via G. B. Martini, n. 14, presso lo studio

legale dell’avv. Emanuele DEL DUCA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 38/03/2018 della Commissione tributaria

regionale della CALABRIA, depositata il 23/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/09/2019 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP emesso a carico della Frigogeo s.r.l. con riferimento all’anno di imposta 2007, a seguito del disconoscimento della deducibilità dei costi e della detraibilità dell’IVA risultanti da tre fatture che l’amministrazione finanziaria riteneva essere state emesse dalla Mida Costruzioni di M.V. per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo che, a fronte di “evidenze, che costituiscono prova presuntiva ma piena dell’assunto dell’Ufficio”, la società contribuente non aveva fornito “dimostrazione concreta della propria buona fede” e che i ricavi, anche solo “formali”, accertati dall’Ufficio, concorrevano alla determinazione del reddito d’impresa.

2. Avverso tale statuizione la società contribuente ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

2. Il motivo è fondato e va accolto.

3. La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che “ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017).

3.1. Nel caso in esame la CTR non ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto che le operazioni commerciali sottese alle tre fatture emesse dalla Mida Costruzioni di M.V. nei confronti della società ricorrente si inserissero nell’ambito di operazioni soggettivamente inesistenti, essendosi limitata a rilevare la carenza di prova circa la buona fede della contribuente, che però è indagine che si pone in un momento successivo all’accertamento della sussistenza di quella frode fiscale, in relazione al quale l’affermazione dei giudici di appello si risolve nel richiamare “evidenze, che costituiscono prova presuntiva ma piena dell’assunto dell’Ufficio” di cui non dà conto, in quanto la restante parte dell’impianto motivazionale della statuizione impugnata è costituita da citazioni giurisprudenziali sicuramente pertinenti ma non accompagnate da uno sviluppo argomentativo riferibile al caso concreto.

3.2. Su tale aspetto della vicenda processuale la motivazione della sentenza impugnata è, quindi, meramente apparente che, com’è noto, è ipotesi che ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonchè la giurisprudenza ivi richiamata).

4. Restano assorbiti gli altri due motivi. Il secondo, con cui la società ricorrente ha dedotto la mancata applicazione, da parte dei giudici di appello, della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, così come modificato dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 44 del 2012, in base al quale, in tema di imposte sui redditi, ai soggetti già coinvolti nelle “frodi carosello” non è più contestabile la deducibilità dei costi, poichè i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente al fine di commettere il reato ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti (in tal senso, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 13800 del 18/06/2014, Rv. 631533), restando esclusa la detraibilità dell’IVA. Il terzo motivo, con cui ha invece dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sostenendo che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di appello, là dove avevano affermato che “nel caso di specie la contribuente non fornisce a supporto della propria posizione alcun elemento fondamentale”, essa società contribuente aveva depositato in atti la sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante della società da cui emergeva l’insussistenza dei fatti contestati.

5. Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR perchè rivaluti la vicenda processuale fornendo adeguata motivazione e perchè provveda alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2020

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