Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2224 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/01/2019, (ud. 18/10/2018, dep. 25/01/2019), n.2224

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8344/2014 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., ((OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO

BOCCIA, ENZO MORRICO, ROBERTO ROMEI;

– ricorrente –

contro

L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172,

presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, che lo rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10244/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/10/2013 R.G.N. 2853/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

1.1. con ricorso al Tribunale di Roma L.A., assunta da Telecom S.p.A. con plurimi contratti a termine, chiedeva che, previa declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti, fosse riconosciuta la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal 18/4/2001;

1.2. il Tribunale accoglieva il ricorso e condannava la società al ripristino del rapporto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni dalla data del 30/12/2007 fino all’effettivo ripristino del rapporto:

1.3. la decisione era confermata dalla Corte d’appello di Roma;

la Corte territoriale, condividendo sul punto quanto affermato dal giudice di prime cure, escludeva che fosse stata integrata una risoluzione del rapporto per mutuo consenso;

confermava, altresì, la valutazione di illegittimità del termine apposto al contratto interinale per essere mancata la prova dell’esistenza del contratto di fornitura tra la Telecom e l’impresa fornitrice, considerando inutilizzabili i poteri d’ufficio a fronte di carenze probatorie della parte;

in ogni caso riteneva non condivisibile la tesi della società circa la non applicabilità del limite di contingentamento per essere stata prevista da accordi aziendali l’assunzione in cifra fissa (600 unità);

2. avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale la Telecom Italia S.p.A. propone ricorso per cassazione fondato su due motivi;

3. L.A. resiste con controricorso;

4. la società ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1372 c.c., lamentando che la Corte territoriale abbia erroneamente disatteso il rilievo dell’appellante circa l’intervenuta risoluzione per mutuo consenso a fronte di indici rivelatori significativi del disinteresse della lavoratrice al ripristino del rapporto;

1.2. il motivo è infondato;

la Corte territoriale ha considerato inidoneo il decorso del tempo dalla cessazione del contratto a termine alla contestazione della legittimità dello stesso attraverso l’espletamento del tentativo di conciliazione a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, in assenza di circostanze significative di una chiara e comune volontà delle parti contraenti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

questa Corte più volte chiarito (cfr., ex aliis, Cass. 17 marzo 2015, n. 5240; Cass. 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass. 11 marzo 2011, n. 5887) che ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso non è di per sè sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, il cui apprezzamento è rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito (cfr. Cass., Sez. U., 5 luglio 2016, n. 21691, in motivazione punto 57);

da ultimo questa Corte (cfr. Cass. Cass. 12 dicembre 2017, n. 29781) ha affermato, in linea con il più recente arresto delle sezioni unite, che tale valutazione attiene al merito sicchè, se congruamente motivata, è sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo la rigorosa interpretazione fornita dalle sezioni unite di questa Corte (Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, nn. 8052 e 8053);

nella specie il giudice di merito ha congruamente motivato escludendo che il solo decorso di un certo lasso temporale, in assenza di condotte chiaramente incompatibili con la volontà di avvalersi di tale illegittimità ed indicative di una intenzione risolutoria, potesse concretare un comportamento concludente al fine di uno scioglimento del rapporto per mutuo consenso;

2.1. con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6, 7, nonchè omessa motivazione lamentando che la Corte territoriale, confermando la pronuncia di primo grado anche sul punto del risarcimento, non abbia tenuto conto dell’ius superveniens e rilevando che in sede di ricorso in appello (depositato prima dell’entrata in vigore dell’indicata normativa) era stata anche chiesta la restituzione delle somme corrisposte in forza della sentenza di primo grado;

2.2. il motivo è fondato;

l’ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, è applicabile a tutti i giudizi pendenti all’entrata in vigore della legge (v. fra le altre in motivazione, Cass. 12 agosto 2015, n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati) e dunque anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto dal giudice l’accertamento della nullità di un contratto di lavoro temporaneo con conversione in rapporto a tempo indeterminato tra lavoratore ed utilizzatore della prestazione (per tutte v. Cass. 23 aprile 2015, n. 8286; Cass. 26 aprile 2017, n. 10317);

le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza in data 27 ottobre 2016, n. 21691, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”.

3. conclusivamente va respinto il primo motivo di ricorso ed accolto il secondo, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte d’appello designata in dispositivo, che dovrà quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. 10 luglio 2015, n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr. per tutte Cass. 17 febbraio 2016, n. 3062), provvedendo altresì sulla richiesta restitutoria della società e sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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