Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2224 del 02/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 02/02/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 02/02/2021), n.2224

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23546/2014 R.G. proposto da:

Centro Aktis – Diagnostica e Terapia s.p.a. (già Centro

Aktis-Diagnostica e Terapia di S.G. s.a.s.), in persona

del legale rappresentante pro tempore, S.V., rappresentata

e difesa dall’Avv. Sabrina Varricchio e dall’Avv. Domenico Parrella,

elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, in Roma, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 252/33/2013 depositata 11 luglio 2013.

nonchè sul ricorso iscritto al n. 23549/2014 proposto da:

S.V., rappresentato e difeso dall’Avv. Sabrina Varricchio e

dall’Avv. Domenico Parrella, elettivamente domiciliata presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, in Roma, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 250/33/2013 depositata 11 luglio 2013.

nonchè sul ricorso iscritto al n. 23551/2014 proposto da:

Centro Aktis – Diagnostica e Terapia s.p.a., quale società

incorporante la cessata Immobil Service Rad s.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, S.V., rappresentata e

difesa dall’Avv. Sabrina Varricchio e dall’Avv. Domenico Parrella,

elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, in Roma, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 251/33/2013 depositata 11 luglio 2013.

nonchè sul ricorso iscritto al n. 23552/2014 proposto da:

Centro Aktis – Diagnostica e Terapia s.p.a., quale società

incorporante la cessata Immobil Service Rad s.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, S.V., rappresentata e

difesa dall’Avv. Sabrina Varricchio e dall’Avv. Domenico Parrella,

elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, in Roma, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 249/33/2013 depositata 11 luglio 2013.

nonchè sul ricorso iscritto al n. 23555/14 proposto da:

S.V., quale erede di S.G., rappresentato e

difeso dall’Avv. Sabrina Varricchio e dall’Avv. Domenico Parrella,

elettivamente domiciliata presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, in Roma, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 248/33/2013 depositata 11 luglio 2013.

nonchè sul ricorso n. 23557/14 proposto da:

Società OFFMEC s.r.l. (già Centro Aktis s.r.l.), S.V., in

proprio, S.V., quale erede di S.G.,

rappresentati e difesi dall’Avv. Sabrina Varricchio e dall’Avv.

Domenico Parrella, elettivamente domiciliata presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, in Roma, giusta procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui Uffici domicilia in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 253/33/2013 depositata l’1 luglio 2013;

nonchè sul ricorso n. 29059/2014 proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso icui Uffici domicilia in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

S.V., rappresentato e difeso dall’Avv. Sabrina Varricchio e

dall’Avv. Domenico Parrella, elettivamente domiciliata presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, in Roma, giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, n. 301/33/2013 depositata il 3 dicembre 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 dicembre 2020

dal Consigliere Luigi D’Orazio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Tommaso Basile, che ha concluso chiedendo il rigetto

dei ricorsi nn. 23546/2014; 23549/2014, 23551/2014, 23552/2014,

23555/2014 e 23557/2014, e l’accoglimento del ricorso n. 29059/2014;

Udito l’Avv. Alessia Urbani Neri per l’Avvocatura Generale dello

Stato, per l’Agenzia delle entrate.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.L’Agenzia delle entrate emetteva un avviso di accertamento nei confronti della Centro Aktis-Diagnostica e Terapia di S.G. s.a.s., ora Centro Aktis s.p.a., per l’anno 2003, ai fini Irpef ((OMISSIS)), Iva ed Irap, per la somma di Euro 1.422.339,46, con maggior reddito Irpef da imputare ai soci, per il principio di trasparenza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 in relazione a costi ritenuti indeducibili per l’acquisto di n. 60.700 copie di un opuscolo informativo in data 13-3-2003 da una società estera (Lda Callidus Consultores e Servicios) con sede in (OMISSIS), al prezzo di Euro 1.214.000,00.

Soci della Aktis s.a.s. erano la Aktis s.r.l., per il 90%, la Immobil Service s.a.s. per il 9%, S.V. per lo 0,49% e S.G. per lo 0,51 h.

1.1.Poichè la Aktis s.r.l. era società a ristretta partecipazione, i suoi maggiori redditi venivano imputati ai soci della stessa, e quindi, alla Immobil Service s.a.s., socia al 40%, ed a S.V., socio al 60%, con emissione dei relativi avvisi di accertamento nei loro confronti.

1.2.Soci della Immobil Service s.a.s. erano, poi, S.G. nella misura del 51% e S.V. nella misura del 49%.

2.Tutte le società ed i soci venivano colpiti da avvisi di accertamento, alcuni per il principio di trasparenza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 (i soci della società di persone Aktis s.a.s.) ed altri per la presunzione di distribuzione di utili extracontabili nelle società a ristretta partecipazione (i soci della Aktis s.r.l.).

3.La Commissione tributaria provinciale accoglieva i ricorsi dei contribuenti. 4.La Commissione tributaria regionale della Campania (sezione 33), pur non riunendo i giudizi, li trattava tutti, con eccezione del procedimento relativo a S.V., in relazione alla sua partecipazione per il 60% della Aktis s.r.l. (n. 29059/2014 nel giudizio di Cassazione), società a ristretta base, all’udienza del 31-1-2012 dinanzi al medesimo collegio, accogliendo tutti gli appelli proposti dalla Agenzia delle entrate.

5.Nel giudizio di appello relativo alla posizione di S.V. (proc. n. 29059/14 in Cassazione) veniva, invece, rigettato l’appello della Agenzia delle entrate.

6.11 giudice di appello nel procedimento relativo alla Aktis s.a.s. (procedimento 23546/14 in cassazione), accogliendo il gravame della Agenzia delle entrate rilevava che non vi era “alcun nesso di causalità” tra gli opuscoli acquistati e la specifica attività svolta dalla società, anche per l’antieconomicità della condotta della contribuente, che aveva pagato, peraltro, solo una piccola parte del prezzo concordato, configurando la sua condotta un “chiaro intento elusivo”.

Neppure l’aumento dei ricavi negli anni poteva superare l’irragionevolezza della condotta della contribuente.

7.11 giudice di appello (sezione 33 della CTR) nel procedimento relativo alla Immobil Service s.a.s., socia di Aktis s.a.s. per il 9% e socia al 40% di Aktis s.r.l., a sua volta socia al 90% di Aktis s.a.s. (procedimento n. 23552/14 in cassazione), in ordine all’avviso di accertamento n. (OMISSIS), accoglieva l’appello dell’Ufficio, in quanto la CTR della Campania (sezione 33), con “sentenza resa nella medesima udienza” aveva accolto l’appello della Agenzia per l’accertamento ricevuto da Aktis s.a.s., con imputazione alla socia dei redditi della società per il principio di trasparenza, D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 5.

8.Il giudice di appello (sezione 33 della CTR) nel procedimento relativo alla Aktis s.r.l. (proc. n. 23557 in cassazione), socia al 90% della Aktis s..a.s., oltre che relativo ai soci della Aktis s.r.l., società a ristretta partecipazione, S.G. (poi i suoi eredi), quest’ultimo per il tramite della quota del 51% della Immobil Service s.a.s. (socia al 40% della Aktis s.r.l.) e S.V. (nella misura del 60%), rilevava che con “sentenza resa nella medesima udienza” aveva accolto l’appello della Agenzia per l’accertamento ricevuto da Aktis s.a.s., con imputazione alla socia dei redditi della società per il principio di trasparenza, D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 5.

9.Stessa decisione veniva adottata dalla CTR (sezione n. 33) nel procedimento n. 23551/2014 in cassazione, con riguardo alla Immobile Service s.a.s., in relazione all’avviso di accertamento n. (OMISSIS).

10.Stessa decisione veniva presa dalla CTR (sezione n. 33) nel procedimento 23549/14 in ordine alla posizione di S.V., quale socio al 49% della Immobil Service s.a.s. (avviso di accertamento (OMISSIS)), che era in possesso del 40% delle quote di Aktis s.r.l..

11.Stessa decisione veniva presa dalla CTR (sezione n. 33) nel procedimento n. 23555/2014 in cassazione, in ordine alla posizione di S.G., deceduto, quale socio al 51% della Immobile Service s.a.s, a sua volta partecipe al 40% della Centro Aktis s.r.l., a sua volta socia al 90% della Aktis s.a.s. (avviso di accertamento n. (OMISSIS)).

12.Decisione diversa, stavolta favorevole al contribuente S.V., veniva adotta da diverso collegio della CTR (sezione n. 34) nel proc. 29059/14 in cassazione, in quanto si ritenevano non sussistenti gli utili extracontabili della Aktis s.r.l., società a ristretta partecipazione, nel caso in cui il maggior reddito avesse ad oggetto non ricavi occultati, ma costi non deducibili. 13.Avverso tali sentenze propongono ricorso per cassazione i contribuenti, tranne che per il procedimento n. 29059/14 in cui ricorre l’Agenzia delle entrate.

14.Resistono i contribuenti con controricorso.

15.Resiste con controricorso l’Agenzia nel procedimento n. 29059/14.

16.Tutte le parte hanno depositato memoria scritta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Anzitutto, deve disporsi la riunione di tutti i procedimenti (nn. 23552/14; 23557/14; 23551/14; 23549/14; 23555/14; 29059/14) a quello numero 23546/2014, per strette ragioni di connessione, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., sussistendo, peraltro, il litisconsorzio necessario per i soci di società di persone.

Costituisce insegnamento costante di questa Corte quello per cui l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., in quanto volto a garantire l’economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, ed in conformità dal ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè l’unità del diritto oggettivo nazionale (Cass., sez. un., 13 settembre 2005, n. 18125).

Quanto ai procedimenti per i quali non sussiste una ipotesi di litisconsorzio necessario, attinenti ai soci della Aktis s.r.l., società a ristretta partecipazione, si rileva che per questa Corte, a sezioni unite, la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (Cass., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521). Infatti, dalle disposizioni del codice di rito prescriventi l’obbligatorietà della riunione, in fase di impugnazione, di procedimenti formalmente distinti, in presenza di cause esplicitamente ritenute dal legislatore idonee a giustificare la trattazione congiunta (art. 335 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c.), è desumibile un principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto (Cass., sez. un., 4 agosto 2010, n. 18050).

2.Va deciso in via prioritaria il procedimento n. 23546/2014 relativo ai maggiori redditi determinati per la società Aktis s.a.s., in quanto ove tali redditi maggiori non fossero esistenti, è chiaro che non vi sarebbe l’imputazione degli stessi per “trasparenza” ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 nei confronti dei soci, costituiti dalla Aktis s.r.l. (socia al 90% della Aktis s.a.s.), dalla Immobil Service s.a.s., socia al 9% della Aktis s.a.s., da S.V. allo 0,49% e da S.G. allo 0,51%, ora deceduto.

2.1.Con il primo motivo di impugnazione (rubricati sub lettera A.a., a pagina 6 del ricorso per cassazione), la società Centro Aktis s.p.a., già Aktis s.a.s., deduce la “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 e dell’art. 5 Tuir, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Mancanza assoluta di motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 (ancora applicabile in questa materia)”, in quanto il rapporto tra il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 e l’art. 5 del Tuir avrebbe dovuto provocare il litisconsorzio necessario nei confronti di tutti i soggetti interessati “a cascata” dall’accertamento nei confronti della Aktis s.a.s.. Inoltre, per la ricorrente l’Agenza delle entrate avrebbe dovuto notificare ai soci illimitatamente responsabili l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società.

2.2.Tale motivo è infondato.

2.3.Invero, i soci della Aktis s.a.s. sono la Aktis s.r.l., socia al 90% della prima, e la Immobil Service s.a.s, socia al 9% della prima, oltre alle persone S.V. (0,49%) e S.G. (0,51%), deceduto. Pertanto, il litisconsorzio necessario attiene esclusivamente a tali compagini societarie ed ai due soci Valerio e S.G..

La Aktis s.r.l., società a ristretta partecipazione, è poi partecipata al 40% dalla Immobil Service s.a.s. ed al 60% da S.V..

La immobil Service s.a.s. ha come soci S.G., deceduto, al 51 e S.V. al 49%.

2.4.Va evidenziato che tutti i processi, tranne il procedimento n. 29059 del 2014, relativo a S.V., in relazione alla sua partecipazione al 60 alla Aktis s.r.l., sono stati trattati e decisi in modo uniforme dallo stesso collegio della Commissione tributaria regionale della Campania (sezione 33).

2.5.Può, quindi, applicarsi il principio giurisprudenziale di legittimità per cui, in tema di rettifica del reddito di una società di persone e di quello di partecipazione dei soci, le pronunce riguardanti la società ed i soci adottate dallo stesso collegio in identica composizione, nella medesima circostanza e nel contesto di una trattazione sostanzialmente unitaria, implicano la presunzione che si sia realizzata una vicenda sostanzialmente esonerativa del litisconsorzio formale, sicchè la parte ricorrente per cassazione, che lamenti la violazione del principio del necessario contraddittorio con riferimento al giudizio di primo grado, ha l’onere – in conformità al principio di autosufficienza del ricorso – di descrivere lo sviluppo delle procedure nel corso di quel grado (Cass., sez. 6-5, 15 giugno 2016, n. 12375).

Infatti, nel processo di cassazione, in presenza di cause decise separatamente nel merito e relative, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, non va dichiarata la nullità per essere stati i giudizi celebrati senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) in violazione del principio del contraddittorio, ma va disposta la riunione quando la complessiva fattispecie, oltre che dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse, sia caratterizzata da: (1) identità oggettiva quanto a “causa petendi” dei ricorsi; (2) simultanea proposizione degli stessi avverso il sostanzialmente unitario avviso di accertamento costituente il fondamento della rettifica delle dichiarazioni sia della società che di tutti i suoi soci e, quindi, identità di difese; (3) simultanea trattazione degli afferenti processi innanzi ad entrambi i giudici del merito; (4) identità sostanziale delle decisioni adottate da tali giudici. In tal caso, la ricomposizione dell’unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2, e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), evitando che con la (altrimenti necessaria) declaratoria di nullità ed il conseguente rinvio al giudice di merito, si determini un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l’osservanza di formalità superflue, perchè non giustificate dalla necessità di salvaguardare il rispetto effettivo del principio del contraddittorio (Cass., 18 febbraio 2010, n. 3830; Cass., 13 dicembre 2017, n. 29843).

2.6.Inoltre, nel processo tributario sussiste un litisconsorzio necessario tra società di persone e soci, compresi gli accomandanti, stante l’unitarietà dell’accertamento dei relativi redditi ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 senza che assuma per tale ragione rilevanza la trasformazione, in corso di causa, dell’ente in società di capitali (Cass., 21 marzo 2018, n. 7026).

2.7.11 procedimento n. 29059/14, riguardante S.V., deciso in modo differente in appello, da altro collegio (sezione 34), non comporta la violazione del principio del contraddittorio, in quanto S.V., in quel procedimento è stato attinto da avviso di accertamento (n. (OMISSIS)), quale socio al 60% della società Aktis s.r.l., a ristretta base partecipativa, quindi non sussistendo tra società e soci il litisconsorzio necessario.

2.8.Quanto alla dedotta mancata notificazione ai soci dell’avviso di accertamento relativo alla società di perone, si rileva che non sussiste un simile obbligo per l’Agenza delle entrate.

E’ sufficiente osservare che per costante giurisprudenza di questa Corte la responsabilità solidale ed illimitata dei soci per i debiti della società di persone, prevista dall’art. 2291 c.c., è operante anche nei rapporti tributari, con la conseguenza che il socio di una società in nome collettivo può essere destinatario della pretesa tributaria anche quando questa si riferisca alla società, individuata dalle norme tributare quale unico “soggetto passivo d’imposta”, rispondendo il socio solidalmente dei debiti tributari di quest’ultima, a nulla rilevando che sia rimasto estraneo agli atti di accertamento ed impositivi finalizzati alla formazione del ruolo (Cass., sez. 5, 25 maggio 2018, n. 13113). Pertanto, è stata ritenuta legittima la notifica ai soci della cartella di pagamento, anche in difetto di previa notifica agli stessi dell’avviso di accertamento (Cass., sez. 5, 25 maggio 2018, n. 13113, cit.; Cass., 11 maggio 2017, n. 11615; Cass., sez. 5, 28 luglio 2006, n. 17225).

Si è, quindi, chiarito (Cass., 11 aprile 2011, n. 8166) che in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è a base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta la configurabilità di un’ipotesi di litisconsorzio necessario originario; tuttavia ciò non esclude che sia la società che i soci, ciascuno in relazione alla pretesa vantata nei loro confronti dal fisco, siano destinatari di avvisi autonomi (ancorchè riferentisi ad un accertamento unitario) e debbano essere posti in condizione di esercitare compiutamente e tempestivamente il proprio diritto di difesa in relazione ad essi. L’accertamento del rispetto del diritto di difesa anche del socio di una società di persone deve, pertanto, essere effettuato con riguardo ai tempi della notifica, al contenuto e alla motivazione dell’avviso impugnato, verificando che esso sia ben motivato, ossia contenga tutte le informazioni necessarie a consentirgli di difendersi (anche riportando, ad esempio, i passi rilevanti dell’accertamento nei confronti della società, sulla base del quale è stato calcolato il suo reddito di partecipazione), a prescindere dall’unitarietà dell’accertamento rispetto alla società e dai tempi di notifica dell’avviso riguardante il reddito della stessa.

L’unitarietà dell’accertamento ai fini delle imposte sui redditi dei singoli soci, prescritta dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40 non comporta che l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società debba essere, a pena di nullità, notificato ai singoli soci. Per questi ultimi, quindi, la predetta notifica non è necessaria in funzione dell’accertamento del reddito di partecipazione, automaticamente imputato al socio, ai sensi del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 5 (poi art. 5 TUIR), ai fini IRPEF in relazione alla sua quota di partecipazione (Cass., 3 ottobre 2007, n. 20707).

3.Con il secondo motivo di impugnazione, rubricato sub A.b, a pagina 8 del ricorso per cassazione, nel procedimento n. 23546/14, la società deduce la “nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c. e per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 Ultrapetizione”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto indeducibili i costi per l’acquisto dell’opuscolo facendo riferimento alla nozione di “inerenza”, sebbene l’appellante Agenzia delle entrate non abbia mai fatto riferimento a tale questione. Nel secondo e ultimo motivo di impugnazione l’Agenzia ha dedotto la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis sicchè il motivo di gravame sarebbe stato limitato esclusivamente al mancato accoglimento da parte del primo giudice del rilievo in ordine alla “antieconomicità” ed alla presunta “elusività” delle operazioni contestate, “senza alcun riferimento alla presunta non inerenza delle stesse”, che sarebbe principio diverso.

3.1.Il motivo è infondato.

3.2.Invero, la stessa ricorrente ammette che l’Agenzia delle entrate in sede di appello ha dedotto, comunque, oltre alla elusività dell’operazione, anche l’antieconomicità della stessa, mentre non sarebbe stato fatto alcun riferimento al difetto di “inerenza”.

In realtà, si rileva che, da un lato, nella motivazione della sentenza di appello si riportano i motivi della Agenzia delle entrate, da cui risulta la “mancata inerenza, antieconomicità e scopo elusivo, del costo di Euro 1.214.000,00 per acquisto opuscoli informativi; dall’altro, che il concetto di antieconomicità è strettamente connesso con quello di “inerenza”, rappresentando l’antieconomicità proprio un indizio del difetto di inerenza.

3.3.Anzitutto, si rileva che questa Corte (Cass., sez. 5, 11 gennaio 2018, n. 450) ha affermato di recente che il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 ora art. 109, comma 5, del medesimo D.P.R., riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime “la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale”, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perchè il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo. In particolare, la Corte ha precisato che, comunque, “l’antieconomicità e l’incongruità della spesa sono indici rivelatori della mancanza di inerenza, pur non identificandosi con essa”.

La giurisprudenza successiva si è sostanzialmente adeguata a tale principio di diritto, evidenziando che “l’impostazione da ultimo riferita è ben meno lontana dalla tradizionale interpretazione”, proprio tenendo conto della argomentazione per cui l’antieconomicità e l’incongruità della spesa sono indici rivelatori della mancanza di inerenza (Cass., sez. 5, 6 giugno 2018, n. 14579; Cass., sez. 5, 26 settembre 2018, n. 22938).

La nozione di inerenza, dunque, implica quella di congruità, sicchè deve escludersi la deducibilità di costi sproporzionati o eccessivi, in quanto non inerenti (Cass., sez. 5, 30 maggio 2018, n. 13596), attenendo alla compatibilità, coerenza e correlazione dei costi non ai ricavi in sè, ma all’attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi (Cass., sez. 5, 17 gennaio 2020, n. 902; Cass., sez. 5, 12 novembre 2019, n. 29179; anche Cass., sez. 5, 23 maggio 2018, n. 12738).

3.4.Più di recente, questa Corte ha descritto compiutamente il riparto dell’onere della prova in materia di inerenza ed il contenuto della stessa, condividendo il nuovo orientamento aperto dalla sentenza 450/2018, ma con alcune precisazioni (Cass., sez. 5, 17 luglio 2018, n. 18904).

Pertanto, si è sottolineato che l’inerenza integra un giudizio sulla riferibilità del costo all’attività d’impresa, quindi con natura qualititativa. Spetta, però, al contribuente l’onere della prova “originario”, che quindi si articola ancora prima dell’esigenza di contrastare la maggiore pretesa erariale, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perchè in correlazione con l’attività di impresa.

3.5.Solo quando l’Amministrazione ritenga gli elementi dedotti dal contribuente mancanti, insufficienti od inadeguati oppure riscontri ulteriori circostanze di fatto tali da inficiare gli elementi allegati, può contestare l’inerenza con due modalità. Da un lato, può contestare la carenza degli elementi di fatto portati dal contribuente e quindi la loro insufficienza a dimostrare l’inerenza, mentre dall’altro può addurre l’esistenza di ulteriori elementi tali da far ritenere che il costo non è correlato all’impresa.

3.6.Nella specie, l’Agenzia delle entrate ha contestato l’antieconomicità e la non congruità del costo per l’acquisto degli opuscoli pubblicitari nella misura di n. 60.450 con un costo complessivo di Euro 1.234.286,67, ordinati ad una società con sede in (OMISSIS), stampati peraltro presso una tipografia dello Stato Città del Vaticano per un importo di Euro 5.100,00, senza il pagamento dell’intero prezzo alla prima società.

3.7.Di fronte a tali importanti allegazioni dell’Amministrazione e, quindi, ad argomentate e puntuali contestazioni, la società, cui incombeva l’onere della prova della inerenza dei costi per smentire le contestazioni dell’Ufficio (Cass., 16 novembre 2011, n. 24065; Cass., 9 agosto 2006, n. 18000; Cass., 25 febbraio 2010, n. 4554; Cass., 26 aprile 2017, n. 10269; Cass., 5 maggio 2011, n. 9892; Cass., 16 maggio 2007, n. 11205; Cass., 30 maggio 2018, n. 13588, che valorizza il principio di “vicinanza alla prova”), non ha dimostrato in alcun modo l’inerenza di tali costi.

4.Con il terzo motivo di impugnazione, rubricato sub A.c., a pagina 10 del ricorso per cassazione, la ricorrente deduce la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 111 Cost., comma 6, per assoluta carenza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto la sentenza sarebbe nulla per mancanza assoluta di motivazione. Il giudice di appello, infatti, ha ritenuto insussistente l’inerenza dei costi solo per la circostanza che la Aktis s.a.s. svolgeva “attività di radiologia diagnostica per immagini e radioterapia” sicchè non si ravvisava “alcun nesso di causalità tra gli opuscoli acquistati e la specifica attività svolta dalla società”.

4.1.Tale motivo è infondato.

Invero, la motivazione non solo è presente graficamente, ma risulta anche congrua, illustrando tutti i necessari passaggi argomentativi. Infatti, vengono messi in evidenza tutti gli elementi che inducono a ritenere insussistente il requisito della inerenza dei costi. Anzitutto, l’importo enorme degli stessi, pari ad Euro 1.214.000,00, per n. 60.700 opuscoli. Poi, l’acquisto da una società con sede in (OMISSIS), priva di struttura aziendale. La stampa degli stessi presso lo Stato del Vaticano ad un costo di Euro 5.100,00. Entrambe le società godevano della extraterritorialità, quindi non potevano essere assoggettate a verifiche fiscali. V’è stato il pagamento della sola somma di Euro 168.000,00, essendo sorto contrasto tra le parti. E’ stata, poi, sottolineata la circostanza che il concetto di inerenza è svincolato dai ricavi dell’impresa.

5.Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “nullità della sentenza per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c. e per la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto il giudice di appello ha accolto il gravame proposto dalla Agenzia delle entrate sulla base di due circostanze mai rappresentate dall’appellante, e cioè che sia la società estera venditrice che lo Stato del Vaticano che aveva stampato gli opuscoli si trovavano in regime di extraterritorialità.

5.1.Il motivo è infondato.

Invero, il vizio di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., attiene alla pronuncia del giudice sulle domande e sulle eccezioni delle parti, non di certo alla valutazione delle risultanze istruttorie, come accaduto nella specie.

Infatti, il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre soltanto quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che egli è libero non solo di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma pure di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge (Cass., sez. 2, 5 agosto 2019, n. 20932).

Ben poteva, dunque, il giudice di appello valorizzare circostanze emergenti dagli atti per sostenere la propria decisione in ordine alla assenza del requisito di inerenza dei costi di acquisto degli opuscoli.

6.Con il quinto motivo di impugnazione, rubricato sub A.e. del ricorso per cassazione (pagina 13) la ricorrente si duole della “nullità della sentenza per omessa o insufficiente motivazione, su un punto decisivo della controversia e per omesso esame dello stesso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto che la Aktis s.a.s. aveva pagato tutto il prezzo convenuto per l’acquisto degli opuscoli e che, a seguito delle contestazioni, aveva solo ottenuto una dilazione nei pagamenti. Tale circostanza non sarebbe stata contestata dalla Amministrazione finanziaria nel corso del giudizio di appello. Inoltre, la motivazione della Commissione regionale, in ordine alla circostanza che la extraterritorialità delle società che avevano fornito gli opuscoli non avrebbe consentito verifiche documentali, era insufficiente. Il ruolo della società Callidus, poi, sarebbe stato quello di consigliare alla contribuente la strategia commerciale di una campagna pubblicitaria.

6.1.Tale motivo è inammissibile.

Invero, la sentenza della Commissione regionale è stata depositata l’1-7-2013, sicchè trova applicazione il motivo di censura della motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modulato dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze depositate a decorrere dall’11-9-2012.

Il vizio di motivazione della sentenza non può, quindi, essere dedotto come insufficiente motivazione su un “punto decisivo” della controversia.

Nè l’asserito pagamento per intero del prezzo risulta come fatto pacifico tra le parti, avendo l’Agenzia contestato proprio il pagamento di una parte modesta del prezzo pattuito.

Inoltre, il fatto non è neppure decisivo, scolorando dinanzi a tutti gli altri elementi di fatto indicati dal giudice di appello in motivazione.

7.Con il sesto motivo di impugnazione, rubricato sub B.a. a pagina 14 del ricorso per cassazione, la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del Tuirn. 917 del 1986, art. 75 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il concetto di inerenza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 in vigore fino al dicembre 2003, è legato non ai ricavi dell’impresa, ma all’attività della stessa e quindi all’oggetto dell’impresa. La Commissione regionale non ha tenuto conto che il fatturato della Aktis s.a.s., nel 2003, aveva superato Euro 8.600.000,00. Nell’opuscolo, distribuito gratuitamente agli utenti, si fornivano tutte le informazioni utili per la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie, oltre alle notizie sulla attività del centro, al fine di promozione e di fidelizzazione della clientela. Non rileva, dunque, l’incongruità della spesa, ma esclusivamente che il costo sostenuto sia proiettato ad utilità future. V’è stato, comunque, un incremento dei ricavi, passati da Euro 8.615.000 nel 2003, ad Euro 8.850.000,00 nel 2004, fino ad Euro 9.282.000,00 nel 2005.

7.1.Il motivo è infondato.

Invero, come si è già evidenziato, l’incongruenza dei costi rispetto alla attività di impresa, come pure l’antieconomicità, sono parametri utilizzabili per ravvisare il difetto di inerenza dei costi. L’incongruenza è stata rilevata dal giudice di appello, che ha valorizzato tutti gli elementi di fatto presenti in atti. Peraltro, a fronte di una spesa di Euro 1.214.000 nel 2003, l’aumento dei ricavi nel 2005 è stato di appena Euro 667.000,00 (Euro 9.282.000 – 8.615.000).

Nè la società ha prodotto in atti uno studio o un piano industriale da cui potesse emergere l’utilità in futuro dell’acquisto degli opuscoli, in relazione ai ricavi iniziali della società ed a quelli futuri eventualmente previsti.

8.Con il settimo motivo di impugnazione, rubricato sub B.b., a pagina 17 del ricorso per cassazione, la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis – Violazione dell’art. 23 Cost.-Violazione dell’art. 3 dello Statuto del contribuente e dell’art. 11 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il giudice di appello ha fondato la sua motivazione su una interpretazione dell’abuso del diritto ormai superata dalla giurisprudenza di legittimità. Infatti, secondo la ricorrente il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis non conterrebbe una clausola antielusiva generale, mentre sarebbero opponibili solo taluni specifici fatti espressamente indicati in tale norma. L’operazione di acquisto degli opuscoli non rientrerebbe tra le ipotesi previste e tipizzate nella norma citata.

8.1.Tale motivo è infondato.

8.2.Invero, il giudice di appello ha ritenuto l’intera operazione, costituita dall’ordine di acquisto alla Callidus, la stampa degli opuscoli presso una tipografia dello Stato del Vaticano, la contestazione tra le società, il pagamento di una parte minima del prezzo, come operazione antielusiva. La società, invece, non ha dato la prova della sussistenza di “valide ragioni economiche”.

8.3.E’ errata, invece, l’affermazione della ricorrente, laddove ritiene che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis contenga una elencazione tassativa delle fattispecie abusive, sì da non poterne ricomprendere altre, diverse da quelle indicate. In realtà, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis ora sostituito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 bis ricomprende tutta una serie di condotte del contribuente anche non specificamente indicate nella norma in esame.

8.4.Invero, per questa Corte (Cass., sez. 5, 16 marzo 2016, n. 5155, in motivazione, poi richiamata dalle recenti Cass., sez. 5, 5 dicembre 2019, n. 31772; Cass., sez. 5, 2 marzo 2020, n. 5644; Cass., sez. 5, 23 novembre 2018, n. 30404) integra gli estremi del comportamento abusivo quell’operazione economica che – tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, sia del contesto fattuale e giuridico – ponga quale elemento predominante e assorbente della transazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale se quelle operazioni possono spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta (Cass., 10 dicembre 2014, n. 25972, in motivazione, paragrafo 9.1.).

Pertanto, per questa Corte, in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo – rinvenibile negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano oltre che nei principi comunitari (Cass., 19 febbraio 2014, n. 3938; Cass., 5155/2016) e rilevabile d’ufficio (Cass., 25 novembre 2015, n. 24024) – che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente (Cass., 5 dicembre 2019, n. 31772; Cass., 6 giugno 2019, n. 15321; Cass., 23 novembre 2018, n. 30404; Cass., 7 novembre 2012, n. 19234).

8.5.Incombe, dunque, sulla amministrazione l’onere di dimostrare sia l’esistenza del disegno elusivo, sia le modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire ad un determinato risultato fiscale (Cass., sez. 5, 26 febbraio 2014, n. 4603; Cass., n. 1465/2009).

8.6.Grava, invece, sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino operazioni in tal modo strutturate (Cass., 5 dicembre 2019, n. 31772, cit.; Cass., 5090/2017; Cass. 3938/2014; Cass., 19234/2012; Cass., 20029/2010).

In tal senso, si è affermato che, al fine di escludere il contestato carattere elusivo di un’operazione, il contribuente deve dimostrare che la stessa è giustificata da “valide ragioni economiche”, aventi carattere non meramente marginale o teorico, sebbene dette ragioni non debbano assumere una rilevanza predominante per il compimento dell’operazione nè dovendosi, per altro verso, provare che l’obiettivo non sarebbe stato altrimenti perseguibile, ma soltanto che la strada prescelta è più conveniente rispetto ad altre soluzioni (Cass., sez. 5, 30 gennaio 2018, n. 2240).

8.7.Non è, poi, configurabile l’abuso del diritto se non sia stato provato dall’ufficio il vantaggio fiscale che sarebbe derivato al contribuente accertato dalla manipolazione degli schemi contrattuali classici (Cass., n. 20029/2010).

Il carattere abusivo, ai fini fiscali, di una determinata operazione, nel fondarsi normativamente sul difetto di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale (Cass., sez. un., 30055/08 e 30057/2008; Corte giustizia, nei casi 3M Italia, Halifax, Part. Service), presuppone quantomeno l’esistenza di un adeguato strumento giuridico che, pur se alternativo a quello scelto dei contraenti, sia comunque funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito (Cass., n. 21390/2012 in motivazione) e si deve indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dal fisco (Cass., n. 26 febbraio 2014, n. 4604).

8.8.La Raccomandazione UE 2012/772 prevede che gli Stati membri debbano intervenire ogniqualvolta vi sia “una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale” (montages articiels; artificial arrengement; mecanismo artificial nella varie versioni linguistiche). A tal fine precisa che “una costruzione una serie di costruzioni e artificiosa se manca di sostanza commerciale” (p.4.4), o più esattamente di “sostanza economica” (p.4.2), e ” consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali”, mentre “una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso” (Cass., n. 438/2015; Cass., n. 439/2015, p. 8.3; Cass., n. 5155/2016, paragrafi 7, 8, 9 e 10).

8.9.Il legislatore nazionale, con la L. 11 marzo 2014, n. 23, art. 5 ha raccolto la citata Raccomandazione dell’Ue, delegando al Governo l’attuazione della “revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione Europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012:

a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio di imposta, ancorchè tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione;

b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale e, a tal fine:

1.considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva;

2.escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extra fiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extra fiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente;

c)prevedere l’inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lett. a) all’amministrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio di imposta;

d)disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonchè la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extra fiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti;

e)prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso;

f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario”.

8.10.Si è anche osservato che le disposizioni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10 bis pur non applicandosi ratione temporis (D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 1, comma 5) rilevano in chiave interpretativa nel definire una linea evolutiva già indiscutibilmente tracciata nell’ordinamento tributaria dalla giurisprudenza e dalle fonti nazionali e comunitarie (Cass., n. 30404 del 23 novembre 2018, in motivazione).

La L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, comma 1 prevede che “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”. Inoltre, ai sensi del comma 2, lett. a) “si considerano: a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”. Si aggiunge che “sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato”.

Ai sensi del comma 2, lett. b) “si considerano vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”. Si chiarisce che, “ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale” (comma 4), “non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono alla finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente” (comma 3).

8.11.E’ evidente alla luce della giurisprudenza richiamata, anche unionale, che non può essere condivisa l’affermazione della ricorrente, per cui il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis costituirebbe una fattispecie “chiusa”, con indicazione tassativa delle condotte cui potrebbe essere applicato il divieto dell’abuso del diritto. Al contrario, anche la L. n. 212 del 2000, art. 10 bis pur non applicabile ratione temporis, svolge una fondamentale opera di interpretazione del disposto della vecchia norma (art. 37 bis cit.), che ha un perimetro che va ben al di là delle condotte ivi indicate, costituendo una sorta di principio generale che avvolge in sè tutte le condotte abusive, ove vengano riscontrata la sussistenza dei precisi parametri normativi.

Della L. n. 212 del 2000, il nuovo art. 10 bis dunque, è intervenuto a mettere ordine in quel vasto mondo dell’abuso “atipico” di derivazione costituzionale e comunitaria.

Come detto, del D.P.R. n. 600 del 1973, l’art. 37 bis poi sostituito dalla L. n. 212 del 2000, art. 10 bis rappresenta una norma “aperta” volta a ricomprendere tutte quelle fattispecie di abuso del diritto “atipico” di derivazione costituzionale ed unionale.

9.Con l’ottavo motivo, rubricato sub B.c. del ricorso per cassazione a pagina 21, la ricorrente lamenta la “violazione del principio dell’abuso del diritto e dell’art. 41 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il giudice di appello avrebbe “malamente applicato alla fattispecie” il principio del c.d. “abuso del diritto”. L’operazione posta in essere dalla società, invero, non avrebbe avuto come scopo il risparmio di imposta, ma avrebbe rappresentato una iniziativa di carattere pubblicitario, rientrante nella ordinaria logica delle strategie promozionali di mercato che spettano all’imprenditore commerciale. Le scelte dell’imprenditore non sarebbero sindacabili alla stregua dell’art. 41 Cost..

9.1.Tale motivo è infondato.

9.2.Invero, va precisato che le “scelte imprenditoriali” non possono essere sindacate nel merito, tranne che in ipotesi di evidente incoerenza delle spese sostenute con l’attività di impresa. Il principio di inerenza esclude la deducibilità di costi che sono estranei alla vita dell’impresa.

L’inerenza è, infatti, un nesso funzionale che lega il costo alla vita dell’impresa. Se, dunque, un costo non è sostenuto in funzione della produzione dei ricavi, allora non è deducibile.

Pertanto, non sono deducibili le spese che l’imprenditore sostiene per sè o le spese che una società si accolli in assenza di connessione tra le spese stesse e l’attività economica della società.

L’agenzia delle entrate può, allora, disconoscere la deducibilità di spese che non sono sostenute in funzione dell’impresa.

L’inerenza di una spesa non può essere negata per il solo fatto che appaia eccessiva, tranne il caso in cui la misura non sia tale da fondare una valutazione di estraneità alla sfera economica dell’impresa. La macroscopica irrazionalità e sproporzione di una operazione consente, dunque, di ravvisare indici sintomatici di “spessore” in ordine alla non inerenza del costo sopportato, con conseguente censurabilità, ai fini fiscali, della condotta dei soggetti che tali operazioni hanno effettuato.

Il controllo del fisco, però, non può interferire nel merito delle scelte imprenditoriali, tranne in ipotesi in cui la sproporzione tra le prestazioni sia rilevante ed evidente ictu oculi.

Questa Corte (Cass., 24 luglio 2002, n. 10802) ha chiarito che la libertà delle scelte imprenditoriali in taluni casi sono sindacabili. Infatti, un imprenditore cerca di ridurre i costi. Pertanto, in presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso e in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è legittimo il fondato sospetto che la incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi una diversa realtà. Le varie operazioni poste in essere dall’imprenditore devono avere un fine logico e devono rispondere a criteri di logica economica, funzionale a meccanismi di mercato.

Pertanto, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la “ragione e la coerenza economica della stessa”, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21184).

L’inerenza è una relazione tra due concetti – la spesa e l’impresa – che implica un accostamento concettuale tra due circostanze per cui il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, ma in virtù della sua correlazione con una attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cass., 27 febbraio 2015, n. 4041).

Il giudice di appello ha chiarito ampiamente le ragioni della incongruenza del costo enorme sostenuto, seppure solo in parte, per l’acquisto degli opuscoli, sicchè si rientra proprio in una delle ipotesi in cui sono sindacabili le scelte dell’imprenditore.

10.Con il nono motivo di impugnazione, rubricato sub B.e., a pagina 23 del ricorso per cassazione, la ricorrente deduce la “violazione dei principi in materia di onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto l’onere della prova della esistenza del disegno elusivo grava sull’Amministrazione, mentre nella specie la sentenza del giudice di appello non ha rilevato che l’antieconomicità non è stata dimostrata dalla Agenzia delle entrate, avendo questa solo dedotto che il costo di Euro 20,00 ad opuscolo sarebbe stato “gonfiato”. Al contrario, la contribuente avrebbe provato il pregio ed il valore dell’opuscolo, oltre che la convenienza della operazione economica.

10.1.Tale motivo è infondato.

10.2.Invero, il giudice di appello ha descritto tutta l’operazione, che si è dipanata attraverso l’acquisto di 60.700 copie di un “opuscolo” al prezzo esorbitante di Euro 20,00 ciascuno, per un totale di Euro 1.214.000,00, da una società con sede in (OMISSIS), successivamente stampate presso lo Stato del Vaticano al prezzo di Euro 5.100,00.

L’Amministrazione ha, dunque, secondo la corretta valutazione del giudice di merito, fornito la prova della sussistenza di una operazione elusiva, oltre che della non inerenza dei costi. La società contribuente, invece, non ha fornito la prova contraria, in ordine alla sussistenza delle “valide ragioni economiche” e della inerenza.

11.Una volta accertata la sussistenza del maggior reddito della Aktis s.a.s., trattandosi di società di persone, e facendosi applicazione del principio di trasparenza di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 tali maggiori redditi vanno attribuiti ai soci della società contribuente, e quindi alla Aktis s.r.l. (società a ristretta partecipazione, con soci la Immobil Service s.a.s. al 40% e S.V. al 60%), alla Immobil Service s.a.s., a sua volta partecipata da S.G., deceduto, al 51%, e da S.V., al 49%, oltre che ai due soci S.V. (0,49%),e S.G. (0,51%), deceduto. 11.1.Va anche chiarito che sussiste la società a ristretta base partecipativa anche quando il capitale della s.r.l. è posseduto da una società di persone (Cass., sez. 5, n. 14006/2003; Cass., sez. 5, 21415/2007, ove una società “tra eredi” era socia di una società cooperativa) ed anche da una società per azioni, nel caso in cui le quote di quest’ultima siano possedute da persone fisiche facenti parte del medesimo nucleo familiare.

Infatti, si è ritenuto che la presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa, non è neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica, ma estende la sua efficacia a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si riscontri la ristrettezza della compagine sociale, operando il principio generale del divieto dell’abuso del diritto, che trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di eguaglianza, nonchè nella tendenza all’oggettivazione del diritto commerciale ed all’attribuzione di rilevanza giuridica all’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica assunta dal suo titolare – la S.C. si è così pronunciata in fattispecie relativa a società a responsabilità limitata partecipata per il 10 per cento da un socio e per il 90 per cento da una società per azioni, della quale erano soci, al 5 per cento, la persona fisica già socia della società a responsabilità limitata e, per il 95 per cento, il coniuge – (Cass., sez. 5, 10 giugno 2009, n. 13338). Non si può, quindi, opporre l’esistenza di un socio intermedio, avente la natura di personalità giuridica, per sottrarre i pochi soci effettivi dell’impresa alla presunzione di essersi ripartiti gli utili non contabilizzati.

12.A questo punto, possono essere affrontati i motivi sub 1 dei procedimenti 23555/14 (ricorrente S.V. quale erede di S.G.) e 23549/14 (ricorrente S.V.), in quanto in entrambi i ricorsi si deduce la “violazione dell’art. 329 c.p.c. (come richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, poichè il giudice di appello non ha rilevato l’acquiescenza prestata dalla Agenzia delle entrate alle sentenze della CTP n. 484727/09 e 483/27/09, che avevano accolto i ricorsi dei contribuenti per l’inesistenza di utili extracontabili nel caso di mancato riconoscimento di costi in deduzione, ma non per maggiori ricavi, essendo necessario dimostrare la reale percezione dei dividendi.

L’Agenzia delle entrate, con l’atto di appello, si sarebbe limitata a dedurre un vizio di motivazione, con la mera richiesta di “disporre la riunificazione” del giudizio con quello relativo alla società.

12.2.Tale motivo, relativo ad entrambi i processi, è infondato.

12.3.Invero, come emerge dall’esame diretto degli appelli, presenti nel fascicolo d’ufficio, consultabili da parte del Collegio, in quanto la censura attiene ad error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’Agenzia delle entrate non si è limitata a chiedere la riunione dei ricorsi relativi alle persone fisiche socie al processo riguardante la Aktis s.a.s., ma ha anche citato la giurisprudenza di legittimità in tema di ristretta base partecipativa e di presunzione di distribuzione di utili extracontabili (Cass. 2606/2003).

In particolare, nei due appelli (relativi ai procedimenti 23549/2014 e 23555/2014) vi è una precisa contestazione alle due sentenze della CTP che avevano accolto i ricorsi dei contribuenti ((sentenze CTP nn. 484/2009 e 483/2009). In particolare, con specifico riferimento alla presunzione di distribuzione di utili extracontabili, si confuta il ragionamento del primo giudice, in quanto tali utili possono derivare sia da maggiori ricavi che da costi inesistenti o indeducibili. Si deduce, quindi, nei due atti di appello articolati dalla Agenzia delle entrate che “nel merito della seconda eccezione, l’Ufficio ha specificato che ai fini del reddito le due voci: costi indebitamente detratti ed utili si equivalgono in quanto il risparmio illecito di imposta si risolve in un indebito arricchimento sempre sulla scorta della legittima presunzione di distribuzione ai soci degli utili realizzati anche nel caso di società di capitali quando la base azionaria è a ristretta compagine sociale. I primi giudici, senza rispondere alle eccezioni avanzate dall’Ufficio, accolgono il ricorso di controparte con l’unica motivazione che quello della Sas Aktis “è stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale con sentenza numero 458/22/2009”. Non v’è stata, dunque, alcuna acquiescenza alla due sentenze pronunciate dalla CTP.

Del resto, nelle conclusioni dell’atto di appello, l’Agenzia delle entrate chiede l’accoglimento del gravame, la riforma integrale della impugnata sentenza, con pronuncia della “legittimità dell’operato dell’Ufficio”.

13.Vanno, poi, decisi i motivi indicati con il numero 2 nei procedimenti 23555/14 e 23549/14, e con il numero 1, nei procedimenti 23551/14, 23552/14 e 23557/14.

In tutti questi i procedimenti la società ricorrente deduce la “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto il giudice di appello non ha rilevato l’inammissibilità dell’appello proposto dalla Agenzia delle entrate. L’Agenzia delle entrate si sarebbe limitata a dolersi della mancata riunione dei processi.

13.1.Tale motivo è infondato.

Invero, per questa Corte, nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza. E’ pertanto irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purchè in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass., sez. 5, 21 novembre 2019, n. 30341).

Inoltre, si ritiene che, nel processo tributario, anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado, deve ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica richiesto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 che costituisce norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c. (Cass., sez. 5, 5 ottobre 2018, n. 24641).

Negli appelli della Agenzia delle entrate, relativi alle sentenze della CTP che avevano accolto i ricorsi dei contribuenti (n. 77 del 25-11-2009; n. 674 del 2009 e n. 23 del 2009), si fa riferimento agli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate ed al ricorso presentato dai contribuenti, secondo i quali la normativa tributaria limitava la possibilità di distribuzione degli utili ad apposita Delib.. L’Agenzia riporta nell’appello le difese dell’Ufficio in primo grado, in base alle quali contestava tali affermazioni “sulla scorta della sentenza di Cass. N. 2600/2000 che legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili realizzati anche nel caso di società di capitali quando la base azionaria è a ristretta compagine sociale”.

Nell’appello della Agenzia delle entrate relativo alla sentenza n. 23/2009 della CTP (procedimento 23557/2014), si riporta che i ricorrenti avevano eccepito che “nessun maggior reddito potesse venir loro imputato fintanto non si fosse reso definitivo l’accertamento emesso nei confronti della Sas, accertamento peraltro annullato dalla Commissione tributaria provinciale con sentenza numero 458/22/2009”. Nei motivi di impugnazione, infatti, l’Agenzia delle entrate oltre a chiedere la riunificazione di tutti i procedimenti, ha espressamente dedotto che “lo scrivente ufficio ha infatti impugnato la sentenza numero 458/22/2009 con cui la CTP ha annullato l’avviso di accertamento afferente la rettifica del reddito societario da cui è scaturito l’accertamento per il reddito di partecipazione”. Vi è, quindi, una critica specifica alla sentenza pronunciata dai giudici di prime cure.

L’Agenzia delle entrate, dunque, non si è limitata a chiedere la riunificazione di tutti i ricorsi, ma ha dedotto in modo specifico la censura avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale.

14.Si passa ad esaminare il motivo n. 3 dei procedimenti nn. 23555/14 e 23559/14 ed il motivo n. 2 nei procedimenti nn. 23551/14, 23552/14 3 23557/14.

Si sostiene con tali censure, tutte identiche tra loro, che la sentenza della CTR avrebbe violato l’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto non avrebbe esaminato i motivi di appello della Agenzia delle entrate ed avrebbe adottato una decisione fuori dai confini della domanda dell’Erario. Secondo i ricorrenti la Commissione regionale avrebbe individuato il contenuto dell’appello nel modo seguente: “mancata riunificazione dei ricorsi – riforma totale dell’impugnata sentenza”. Tuttavia, la riforma totale della sentenza è un’aspirazione, ma non un motivo di ricorso, sicchè l’unico motivo di ricorso proposto sarebbe quello della “mancata riunificazione dei ricorsi”. La CTR, però, ha affermato che la stessa Commissione, nella medesima udienza, aveva accolto l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate per l’accertamento ricevuto dal Centro Aktis s.a.s. e sulla base di tale accertamento ha determinato il reddito di partecipazione dei contribuenti. Tale decisione esulerebbe dal perimetro dei motivi di appello, che si era doluto solo della mancata riunificazione dei ricorsi.

14.1.Tale motivo è infondato.

14.2.Invero, la CTR (sezione 33), in data 31-1-2012, ha accolto gli appelli della Agenzia delle entrate, in quanto la medesima Commissione regionale (“La Commissione tributaria regionale di Napoli, sez. 33), “con sentenza resa nella medesima udienza”, “ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate di Napoli per l’accertamento ricevuto dal centro Aktis Diagnostica e Terapia di S.G. e C. s.a.s., anno d’imposta 2003”.

Da tale premessa, poi, la CTR ha dedotto che “Ai sensi del TUIRD.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 i redditi della società in accomandita semplice, sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”; si è aggiunto che “ne consegue che il reddito di partecipazione degli eredi S.G. è consequenziale al reddito definito per il Centro Aktis di S.G. e C. s.a.s.”.

Pertanto, deve evidenziarsi che non v’è stata violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ai sensi dell’art. 112 c.p.c.., nè la CTR è incorsa nel vizio di extrapetizione, in quanto l’Agenzia delle entrate ha chiesto con l’appello la riforma integrale della decisione di prime cure che era stata favorevole ai contribuenti.

Nell’appello l’Ufficio, come sopra evidenziato, ha sottolineato di avere impugnato la sentenza n. 458/22/2009 con cui la CTP aveva annullato l’avviso di accertamento.

Nè v’è stata deduzione della violazione dell’art. 2909 c.c., per avere la CTR deciso le controversie sulla base di una decisione adottata in altro giudizio (quello relativo alla Aktis s.a.s.), non ancora passata in giudicato.

Anche negli altri appelli della Agenzia delle entrate relativi alle sentenze nn. 77 del 2009 della CTP e 674 del 2009 della CTP, si è chiesto espressamente di “riformare totalmente l’impugnata sentenza e pronunciare la legittimità dell’operato dell’ufficio con vittoria di spese, diritti ed onorari”.

15.Il motivo n. 4 dei procedimenti nn. 23549/14 e 23555/14, come pure il motivo n. 3 dei procedimenti nn. 23557/14, 23552/14 e 23551/14, attiene alla “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 e violazione dell’art. 5 Tuir, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto il giudice di appello ha fatto discendere l’accoglimento del gravame della Agenzia delle entrate dall’avvenuto accoglimento di altro appello, proposto sempre dalla Agenzia delle entrate, in ordine all’avviso di accertamento emesso nei confronti della Aktis s.a.s. Si tratterebbe di una decisione in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che si è formata in tema di società di persone. Tuttavia, è pacifico in causa che i contribuenti non hanno ricevuto l’accertamento effettuato dall’Agenzia nei confronti della Aktis s.a.s. Le norme invocate nel motivo di ricorso, però, impongono la presenza di tutti gli interessati nel procedimento di impugnazione dell’accertamento emesso nei confronti della società ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40. Del D.Lgs. n. 546 del 1992, l’art. 14 poi, impone la necessaria partecipazione al giudizio di tutti gli interessati. La decisione emessa nel giudizio riguardante la società non è allora opponibile ai contribuenti perchè nulla.

15.1.Tale motivo è infondato.

15.2.Invero, tutti i giudizi, sia quello che riguardava la società Aktis s.a.s., sia quello dei soci Aktis s.r.l. (90%) e Immobil Service s.a.s. (9%), sia quello relativo ai soci S.V. (0,49%) ed a S.G. (0,51%), sono stati trattati nella medesima udienza dal medesimo collegio, con esito conforme, sicchè non v’è stata violazione del contraddittorio, secondo i principi giurisprudenziali di legittimità, già indicati nel paragrafo 2.5.

16.Nel procedimento 29059/14, riferito a S.V., quale socio al 60% della Aktis s.r.l., società a ristretta base, l’Agenzia delle entrate, con il primo motivo di impugnazione, deduce la “violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 secondo l’interpretazione fornita dalla Suprema Corte per cui i redditi della società a ristretta base sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla sua percezione proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, sicchè i redditi della società a ristretta base partecipativa sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla sua percezione proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili.

17.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, in quanto la sentenza di appello non descrive in alcun modo lo svolgimento del processo, nè indica i motivi di fatto, basandosi sulla condivisione del punto di diritto affermato in primo grado. Nell’atto di appello, invece, l’Agenzia aveva chiarito che erroneamente il primo giudice aveva ritenuto che i maggiori utili non contabilizzati della società a ristretta base potevano presumersi distribuiti ai soci solo in presenza di maggiori ricavi, ma non a causa di indebite deduzioni di imposta. Il giudice di appello, invece, si è limitato ad affermare che il maggior reddito della società si riferiva non a maggiori ricavi occultati ma a costi indeducibili, a fronte dei quali non vi era stata alcuna provvista finanziaria occultata da poter distribuire.

17.1.Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo.

17.2.Invero, si rileva che, in caso di società a ristretta base partecipativa, per questa Corte è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass., 5076 del 2011; Cass., n. 9519 del 2009; Cass., 7564 del 2003; Cass., 18 ottobre 2017, n. 24534), non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cass., 22 novembre 2017, n. 27778).

17.3.11 fondamento logico della costruzione giurisprudenziale si rinviene nella “complicità” che normalmente avvince un gruppo societario composto da poche persone, in genere da due fino ad un massimo di sei (ma non v’è alcun dato numerico preciso, trattandosi di una presunzione semplice), sicchè vi è la presunzione che gli utili extracontabili siano stati distribuiti ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, salva la prova contraria a carico del contribuente (Cass., sez. 5, 26 maggio 2008, n. 13485). Non è, poi, in alcun modo necessaria l’esistenza di un rapporto di parentela stante l’esiguità del numero dei soci (Cass.,12 novembre 2012, n. 19680).

Nella presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili il fatto noto, che sorregge la distribuzione degli utili extracontabili, non è costituito dalla sussistenza di questi ultimi, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass., 19 marzo 2015, n. 5581). 17.4.Tali principi sono stati completati precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio può essere vinta dal contribuente fornendo la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass., n. 1932/2016; Cass., 17461/2017; Cass., 26873/2016; Cass., 9 luglio 2018, n. 18042; Cass., 27 settembre 2018, n. 23247).

17.5.11 giudice di appello si è però discostato dai principi giurisprudenziali sopra indicati. Infatti, con motivazione lapidaria ha affermato che la presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili da parte di società di capitali a ristretta base azionaria si applica solo se il maggior reddito accertato tragga origine da ricavi occultati o da costi fittizi, ma non nell’ipotesi di costi indeducibili “a fronte dei quali non c’è stata la costituzione di alcuna provvista finanziaria occultata da poter distribuire”.

17.6.Tale ragionamento non costituisce una corretta applicazione delle norme, e segnatamente del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e si scontra con vari precedenti di questa Corte.

Infatti, per questa Corte (Cass., sez. 5, nn. 17959 e 17960 del 2012) i costi costituiscono un elemento rilevante ai fini della determinazione del reddito d’impresa, sicchè quando essi siano “fittizi” o “indeducibili”, scatta la presunzione che il medesimo è maggiore di quanto dichiarato o indicato in bilancio, con la conseguenza che non può riscontrarsi alcuna differenza tra la percezione di maggiori ricavi e l’indeducibilità o inesistenza di costi.

Tale principio, invero, trova applicazione nelle società a ristretta base partecipativa quando la società abbia indicato in bilancio dei costi inesistenti, quindi indeducibili perchè non documentati. In tale ipotesi, infatti, i costi non sono stati in alcun modo sostenuti dalla società, sicchè il reddito di impresa effettivo conseguito nel corso dell’esercizio è costituito da quello dichiarato con l’aggiunta però dei costi inesistenti. Tale reddito maggiorato, quindi, si presume sia stato distribuito nel corso del medesimo esercizio ai soci.

La situazione è analoga anche nel caso in cui il costo è indeducibile, per le più variegate ragioni (magari perchè è stato violato il principio di competenza D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 109 sicchè la somma doveva essere versata in altro esercizio, o per mancata inerenza o per violazione di norme fiscali, come il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 99), ma è stato effettivamente sostenuto, con somme erogate in concreto dalla società.

Anche in tali casi la società matura un reddito di impresa di importo maggiore a quello dichiarato, con presunzione di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione della quota posseduta. In tali ipotesi, infatti, la società ha erogato tutte le somme presenti nel passivo del conto economico tra i costi, ma si tratta di costi indeducibili che vanno ad alterare il conto economico, che, una volta emendato da tale errore, comporta inevitabilmente ricavi maggiori e, quindi, un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato. Anche in questo caso si genera un maggiore reddito che si presume distribuito ai soci delle società a ristretta partecipazione.

In un caso simile a quello in esame, il giudice di appello aveva accolto in parte il gravame del contribuente escludendo dal calcolo degli utili da partecipazione attribuiti dall’ufficio al socio la componente di costi “ritenuti indeducibili”. La Cassazione ha accolto il motivo di ricorso dell’Agenzia delle entrate in quanto il giudice di appello ha omesso di esaminare il documento da cui risultava che in realtà quei costi non erano deducibili perchè “non documentati” e quindi inesistenti (Cass., sez. 5, 24 luglio 2020, n. 15895). In motivazione ha anche chiarito che “la CTR correttamente non ha escluso in sè che anche i costi, come i maggiori ricavi non dichiarati, possano essere assunti nella determinazione del quantum degli utili extracontabili presunto come distribuiti tra i soci della società a ristretta base partecipativa”.

Inoltre, si è recentemente affermato (Cass., 18 febbraio 2020, n. 3980) che anche i costi non deducibili portano ad un aumento del reddito di impresa e ad una conseguente distribuzione dei maggiori utili tra i soci di società a ristretta partecipazione. In particolare, in una fattispecie analoga a quella in esame, il contribuente socio riteneva illegittima la ripresa dell’Ufficio in quanto erano stati accertati costi indeducibili, i quali, però, avrebbero pur sempre determinato un flusso finanziario in uscita, sì che non sarebbe stato consentito presumere l’esistenza di maggiori ricavi non contabilizzati e, quindi, di utili extracontabili, distribuiti ai soci in nero. Questa Corte ha confutato la tesi del socio, rilevando che “i costi fiscalmente non deducibili sono per loro natura costi neutrali ai fini fiscali, nel senso che di essi non è dato tener conto ai fini della determinazione della base imponibile, la cui quantificazione è quindi da ritenere essere stata comunque alterata, con conseguente inevitabile ricaduta sulla quantificazione delle imposte”.

Tale orientamento giurisprudenziale deve, quindi, essere seguito, proprio in ragione del fatto che i costi indeducibili, quale che sia la ragione di tale indeducibilità, comunque, non possono essere considerati nel passivo del conto economico del bilancio, che, per il principio di derivazione di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83 è alla base del bilancio fiscale. Pertanto, eliminate le poste indeducibili dal passivo del conto economico, ne scaturisce, a parità dei ricavi già contabilizzati, un aumento del reddito di impresa e maggiori imposte alla società e, quindi, ai soci.

18.La sentenza della CTR 301/34/2013, di cui al procedimento 29059/14, va cassata ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso originario del ricorrente S.V., quale socio al 60% della Aktis s.r.l., società a ristretta partecipazione. 19.Le spese di legittimità dei giudizi riuniti vanno poste a carico dei contribuenti in solido tra loro, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

20.Le spese delle fasi di merito del giudizio n. 29059/14 vanno compensate interamente, in ragione delle divergenti decisioni dei giudizi di merito.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi; rigetta i ricorsi di cui ai procedimenti nn. 23546/14, 23549/14, 23551/14, 23552/14, 23557/14 e 23555/14; accoglie il primo motivo del ricorso relativo al procedimento n. 29059/14; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente.

Condanna i ricorrenti, oltre che il controricorrente S.V., nel procedimento n. 29059/14, a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 37.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Compensa le spese delle fasi di merito nel procedimento n. 29059/14.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei contribuenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2021

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