Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22239 del 25/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/09/2017, (ud. 16/03/2017, dep.25/09/2017),  n. 22239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14682-2016 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIA TERESA CICCARELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 10736/1/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 02/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/03/2017 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso in Cassazione affidato a tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, nei cui confronti l’Agenzia delle Entrate non ha spiegato difese scritte, il ricorrente impugnava la sentenza della CTR della Campania, relativa a un avviso d’accertamento per maggiori ricavi per l’anno 2008 di un esercente l’attività artigianale di conceria, lamentando, la violazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 329c.p.c., comma 2 e art. 324 c.p.c. (per omessa rilevazione di giudicato interno), nonchè dell’art. 112 c.p.c., per essersi il giudice d’appello pronunciato ultra petita, e ciò, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè per violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c. ed al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la ricostruzione dei presunti maggiori ricavi, non sarebbe stata sorretta dai requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione, in forma semplificata.

I primi due motivi denunciati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 sono fondati, con assorbimento del terzo.

E’, infatti, insegnamento di questa Corte, quello secondo cui “Allorchè la sentenza di primo grado pronunci sulla domanda in base ad una pluralità di autonome ragioni, ciascuna di per sè sufficiente a giustificare la decisione, come al giudice è consentito, qualora egli, ritenendo di poter fondare la decisione sopra una determinata ragione di merito, ritenga utile valutare anche un’altra concorrente ragione, parimenti di merito, al fine di fornire adeguato sostegno alla decisione adottata, anche per l’eventualità che il giudice dell’impugnazione reputi erronea la soluzione della questione preliminarmente affrontata, la parte soccombente ha l’onere di censurare con l’atto d’appello ciascuna delle ragioni della decisione, non potendosi, in difetto, trattare successivamente della ragione non tempestivamente contestata e non potendosi, conseguentemente, più nemmeno utilmente discutere, sotto qualsiasi profilo, della stessa statuizione che nella detta ragione trova autonomo sostegno, a nulla valendo a tal fine la richiesta di integrale riforma della sentenza, poichè la non contestata autonoma ragione di decisione resta anche in tal caso idonea a sorreggere la pronunzia impugnata, non potendo il giudice d’appello estendere il suo esame a punti non compresi neppure per implicito nei termini prospettati dal gravame, senza violare il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato” (Cass. n. 18310/07, sez. un.7931/13).

Nel caso di specie, una delle autonome rationes decidendi della sentenza di primo grado, sufficiente a sorreggere il decisum, era il mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale e tale ragione non risulta essere stata impugnata dall’ufficio appellante che ha incentrato i suoi motivi di gravame esclusivamente sul difetto di motivazione della decisione dei primi giudici in riferimento alla valutazione dei componenti negativi del reddito, pertanto, laddove i giudici d’appello hanno sostenuto che non vi fosse stata nella specie, alcuna violazione del principio del contraddittorio, senza che fossero stati investiti di alcuna domanda sul punto hanno sicuramente violato il principio di non pronunciarsi oltre i limiti della domanda a loro rivolta (Cass. nn. 18868/15, ord. n. 22558/14, 13014/04, 2148/04).

Vanno, conseguentemente accolti i primi due motivi di ricorso, con assorbimento del terzo, cassata senza rinvio l’impugnata sentenza, ex art. 382 c.p.c., e dichiarato inammissibile l’appello.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e sono, liquidate come in dispositivo.

Nulla per le spese del giudizio di appello perchè l’appellato non si è costituito.

PQM

 

La Corte Suprema di Cassazione accoglie i primi due motivi di ricorso con assorbimento del terzo, cassa senza rinvio, ex art. 382 c.p.c. e dichiara inammissibile l’appello.

Condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare a O.E. le spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 2.700,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2017

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