Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22239 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. II, 14/10/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 14/10/2020), n.22239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20455-2019 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE

38, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA PARAVANI, rappresentato

e difeso dall’avvocato VALENTINA NANULA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2129/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/07/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza pubblicata il 15 maggio 2019, respingeva il ricorso proposto da C.M., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Milano aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. La Corte d’Appello condivideva la motivazione del Tribunale, nonchè della commissione territoriale, secondo cui la vicenda narrata dal richiedente non era attendibile soprattutto per la genericità del racconto che non soddisfaceva le condizioni minime di coerenza e plausibilità e, anche, di corrispondenza con le informazioni generali e specifiche relative al caso. Egli aveva dichiarato di aver abbandonato il proprio paese per motivi politici nel 2011, temendo di dover subire un ingiusto processo e di essere nuovamente arrestato. La vicenda era del tutto generica e anche la documentazione versata in atti non suppliva a tali lacune.

In ogni caso, i fatti esposti non potevano fondare il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione internazionale, non essendovi prova di persecuzioni a carico del richiedente sufficientemente gravi, per la loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali. Non vi era alcuna prova sui presunti motivi di arresto relativo a un presunto mandato di cattura risalente a sette anni prima le quali non si evinceva il motivo per il quale gli era ricercato. Lo stesso doveva dirsi in merito alla concessione della protezione sussidiaria non ricorrendo i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7,8 e 14.

Il racconto era nel suo complesso privo di riferimenti fattuali e credibili e fortemente contraddittorio e confuso. In ogni caso, dai dati accessibili doveva escludersi la presenza del (OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata dettato da un conflitto armato interno o internazionale. Nell’ultimo periodo si era insediato un nuovo Capo di Stato che segnava una netta discontinuità con il passato con il rilascio di alcuni detenuti senza processo il cambio di tutte le forze di sicurezza e dunque sulla base di tali elementi non vi era un rischio di persecuzione di danno grave.

Quanto alla domanda di concessione del permesso per motivi umanitari non ricorreva nella specie la situazione di particolare vulnerabilità ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Ciò sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo senza che potesse assumere rilevanza l’asserita integrazione del richiedente che non è un elemento idoneo e sufficiente per l’accoglimento della domanda.

3. C.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, per non avere la Corte d’Appello di Milano assolto all’onere di cooperazione istruttoria gravante in capo all’autorità giudiziaria in materia.

Il ricorrente ritiene che le motivazioni della Corte d’Appello di Milano siano non motivate e sfornite di idoneo supporto probatorio in relazione alla non credibilità del racconto, anche tenuto conto della documentazione prodotta. Inoltre, la Corte d’Appello di Milano non ha svolto alcuna attività di indagine riguardo la situazione attuale del (OMISSIS). Il racconto invece era coerente con la situazione politica dell’epoca e, dalle fonti attuali, emergerebbe una situazione del paese contrassegnata forte instabilità, insicurezza e disagio. Pertanto, la Corte d’Appello di Milano non avrebbe adempiuto all’onere di cooperazione istruttoria sulla stessa gravante.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e 19 per non avere la Corte d’Appello di Milano riconosciuto al richiedente la protezione internazionale per motivi umanitari in ragione del livello di integrazione di radicamento raggiunto nel nostro paese e della situazione attuale del paese di origine.

Il raffronto tra la situazione attuale del richiedente e quella che si troverebbe ad affrontare caso di rientro nel paese di origine dovrebbe portare all’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, sussistendo una situazione di vulnerabilità da proteggere.

3. I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili, anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, come interpretato da questa Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 7155 del 2017.

Quanto alla valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, essa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che la Corte d’Appello di Milano ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. In particolare, con riferimento alla documentazione prodotta nel giudizio, da un lato deve osservarsi che il ricorrente non l’ha riprodotta nel ricorso per cassazione, e dall’altra la Corte d’Appello alla valutata ritenendola insufficiente ai fini della prova della veridicità del racconto del ricorrente.

La Corte d’Appello ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che il (OMISSIS) non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del (OMISSIS), benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019, a meno che la non credibilità investa il fatto stesso della provenienza da un dato Paese).

Deve ribadirsi che in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018). Il ricorrente si limita a dedurre genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo al non aver tenuto conto della situazione generale del paese di origine.

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che in tal caso non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

4. In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

La pronuncia impugnata, dunque, risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

Il racconto del ricorrente peraltro non è stato ritenuto credibile in relazione alle ragioni che hanno dato origine alla partenza dal (OMISSIS) e la situazione del paese non è stata ritenuta soggetta ad una violenza indiscriminata.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100 più spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

 

 

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