Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22238 del 25/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/09/2017, (ud. 16/03/2017, dep.25/09/2017),  n. 22238

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13365-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.B., elettivamente domiciliato in ROMA VIA PARAGUAY 3/5

presso lo studio dell’avvocato LORENZO COLEINE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE MASSARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2498/5/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di BARI, depositata il 25/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/03/2017 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso in Cassazione affidato a due motivi, nei cui confronti la parte contribuente ha resistito con controricorso, l’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della CTR della Puglia, relativa ad alcuni avvisi d’accertamento emessi per omessa contabilizzazione di ricavi ottenuti a seguito di costi per il personale non dichiarati, lamentando, con il primo, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 32, 33 e 35 nonchè degli artt. 301 e 302 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto, erroneamente la CTR avrebbe trattato in pubblica udienza, il giudizio d’appello (ai fini della sua interruzione, per morte del procuratore della parte privata), senza che fosse stata depositata alcuna istanza, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 33 pur in presenza di un rappresentante dell’ufficio, asseritamente senza delega e della figlia avvocato del procuratore deceduto, che aveva consegnato il certificato attestante la morte del padre, avvenuta un anno e mezzo prima; ad avviso sempre dell’ufficio ricorrente, erroneamente i giudice d’appello, alla luce degli esposti motivi di censura, dichiararono l’estinzione del giudizio, non avendo ricevuto l’ordinanza di interruzione, che imponeva alle parti la riassunzione entro il termine decadenziale di sei mesi dalla relativa dichiarazione.

Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione, in forma semplificata.

Con il primo motivo non viene censurata la ratio decidendi della sentenza impugnata che, fondata sul D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 40, comma 2, primo cpv in tema di estinzione del giudizio per mancata riassunzione nei termini, si articola nei seguenti passaggi: era presente il rappresentante dell’ufficio; è stato dato avviso alle parti presenti; le stesse si sono riservate in ordine alla riassunzione. La mancanza di delega da parte del rappresentante dell’ufficio non risulta dalla sentenza impugnata e in violazione dell’autosufficienza non è stato indicato se e in che fase è stata dedotta in appello.

Con il secondo motivo di censura, l’ufficio denuncia la violazione degli artt. 158 e 276 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto il Collegio che pronunciò l’estinzione del giudizio era in una composizione diversa rispetto a quello che aveva adottato in camera di consiglio la decisione dell’interruzione del processo.

Il motivo è infondato, in quanto, il principio d’immutabilità del giudice, ex art. 276 c.p.c., prevede che la decisione è deliberata dai giudici che hanno assistito alla discussione (che non devono essere necessariamente gli stessi davanti ai quali la causa è stata trattata nel corso di tutto il giudizio), v. Cass. n. 8066/07, 23423/14.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

L’Agenzia delle Entrate non è tenuta a corrispondere il doppio del contributo unificato (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714; Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

PQM

 

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare alla parte contribuente la somma di Euro 5.600,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 1 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2017

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