Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22236 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/09/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 05/09/2019), n.22236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6321/2012 R.G. proposto da

Freetech di C.C. & c. s.n.c. (C.F. 01925750182), in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa dall’avv. Oliviero Perni, elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’avv. Franco Caroleo, in Roma piazza della Libertà 20.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate (C.F. 06363391001), in persona del direttore

pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12.

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 29/36/2011 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata il giorno 8 febbraio 2011.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 3

luglio 2019 dal Consigliere Giuseppe Fichera.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Freetech di C.C. & c. s.n.c. definì mediante adesione un primo avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate recuperò a tassazione maggiori redditi ai fini delle imposte dirette, dell’IRAP e dell’IVA nell’anno 2003, ed impugnò innanzi al giudice tributario altro avviso di accertamento, mediante il quale venne recuperata l’IVA sulle fatture registrate per operazioni inesistenti nel medesimo periodo.

L’impugnazione venne integralmente accolta in primo grado; l’Agenzia delle Entrate propose quindi appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che lo accolse, con sentenza depositata il giorno 8 febbraio 2011, affermando che i due avvisi di accertamento parziali erano fondati su presupposti diversi e, quindi, non risultava alcuna duplicazione della pretesa fiscale.

Avverso la detta sentenza, Freetech di C.C. & c. s.n.c. (erroneamente appellata in ricorso “Feetech di C.C. & c. s.n.c.”) ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo deduce Freetech di C.C. & c. s.n.c. la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 4, atteso che la commissione tributaria regionale ha ritenuto legittimo il secondo avviso di accertamento impugnato dalla contribuente, nonostante difettasse l’indicazione dei nuovi elementi di cui sarebbe venuto a conoscenza l’ufficio dopo la notifica del primo avviso.

2. Con il secondo motivo lamenta la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41-bis e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 5, poichè il giudice di merito ha erroneamente considerato i due avvisi di accertamento come parziali, mentre nessuno dei due atti era stato emesso in presenza dei relativi presupposti per definirlo tale.

2.1. I due motivi, meritevoli di esame congiunto, sono entrambi infondati.

Questa Corte ha già chiarito che all’accertamento parziale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, comma 1 – alla quale in materia di IVA corrisponde il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5 – può fare seguito un successivo accertamento, senza che sia necessario che vengano indicati gli elementi sopraggiunti, come prescritto per l’accertamento integrativo dall’art. 43 del medesimo D.P.R., che risponde a diverse finalità; l’accertamento parziale, invero, a differenza di quello generale previsto dall’art. 43 del ridetto D.P.R. n. 600 del 1973, non richiede la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte della Amministrazione, da indicare in modo specifico a pena di nullità del nuovo accertamento (Cass. 01/10/2018, n. 23685).

Va soggiunto che secondo l’orientamento di questa Corte, l’accertamento parziale ai fini IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, è uno strumento diretto a perseguire la sollecita emersione della materia imponibile, laddove le attività istruttorie non richiedano, per la loro oggettiva consistenza, ulteriori valutazioni, sicchè può essere fondato pure su una verifica generale, che abbia dato luogo ad un unico processo verbale di constatazione, in quanto la segnalazione degli organi indicati costituisce un semplice atto di comunicazione, distinto dall’attività istruttoria, da esso necessariamente presupposta (Cass. 28/10/2015, n. 21992; Cass. 05/02/2009, n. 2761)

2.2. Orbene, nella vicenda all’esame il giudice di merito ha accertato che l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta della “segnalazione” contenuta in un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, notificò alla contribuente un primo avviso di accertamento parziale relativo alle maggiori imposte dirette, all’IRAP e all’IVA (quest’ultima imposta dovuta per le operazioni ritenute esistenti dall’Amministrazione e, tuttavia, non contabilizzate dalla contribuente) ed un secondo accertamento, con il quale venne invece recuperata l’IVA dovuta sulle fatture spiccate per operazioni ritenute inesistenti e, però, contabilizzate dalla contribuente.

Dunque, a differenza di quanto affermato dalla ricorrente, non si è registrato un primo avviso di accertamento, successivamente integrato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, bensì due distinti avvisi di accertamento parziali, notificati sulla scorta della medesima segnalazione proveniente dalla Guardia di Finanza, in forza dei richiamati D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5.

Inammissibile, infine, si mostra la censura della ricorrente nella parte in cui afferma che gli avvisi spiccati dall’amministrazione finanziaria, per il loro contenuto intrinseco, non sarebbero incasellabili nell’ambito di quelli parziali D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41-bis, poichè detta doglianza difetta della necessaria specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), non essendo stati riprodotti integralmente gli atti in discussione in seno al ricorso in esame.

3. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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