Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22231 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/09/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 05/09/2019), n.22231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14096-2017 proposto da:

AUCHAN SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 57, presso

lo studio dell’avvocato FEDERICO MONACO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIACOMO MENOTTI MARCO ALEMANI;

– ricorrenti –

contro

COMUNE NAPOLI l DIREZIONE CENTRALE, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 50-A, presso lo studio dell’avvocato

NICOLA LAURENTI, rappresentato e difeso dagli avvocati MARIA ANNA

AMORETTI, FABIO MARIA FERRARI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 10686/2016 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 26/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. COSMO CROLLA.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1. La soc. Auchan spa proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli avverso l’avviso di pagamento n. (OMISSIS) di Euro 271.940, emesso dal Comune di Napoli, per TARES relativa ai locali facenti parte dell’Ipermercato di Napoli Argine per l’anno di imposta 2013.

2. La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli rigettava il ricorso

3. La sentenza veniva impugnata dalla contribuente e la Commissione Regionale Tributaria della Campania rigettava l’appello osservando: a) che non era stata fornita la prova del mancato espletamento da parte del Comune di Napoli del servizio di smaltimento dei rifiuti nella zona ove si trova il supermercato; b) che non era applicabile la disciplina dei rifiuti assimilabili in quanto i criteri di assimilabilità non era stati mai definiti dal Ministero dell’Ambiente.

5. Avverso la sentenza della CTR Auchan spa ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a due motivi. Il Comune di Napoli si è costituito depositando controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo d’impugnazione, la contribuente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia un vizio di violazione e falsa applicazione delle norme che regolano la TARES. Si argomenta che la CTR non ha tenuto conto nè della circostanza che il Comune di Napoli, come da fatto notorio, non ha svolto in concreto il servizio di raccolta dei rifiuti nè della circostanza che la contribuente si è vista costretta a ricorrere ad una società terza per lo smaltimento dei rifiuti. La ricorrente sostiene, altresì, che ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7 e del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184, i rifiuti derivanti da attività commerciale sono da considerarsi speciali e, quindi, non soggetti al pagamento della TARES e che la CTR ha errato nel non ritenere applicabile, in mancanza di emanazione dei Regolamenti attuativi previsti dal Codice dell’Ambiente, la disciplina dei rifiuti speciali di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g).

1.2 Con il secondo motivo la ricorrente lamenta omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in particolare nella prima parte della censura si sostiene che il giudice di seconde cure illogicamente non avrebbe tratto le conseguenze dal fatto che, in mancanza di provvedimenti di assimilazione, i rifiuti derivanti dallo svolgimento dell’attività commerciale sono da considerare speciali e quindi non soggetti a TARES, nella seconda parte la ricorrente lamenta che CTR avrebbe completamente omesso di esaminare la produzione della documentazione della società che dimostrava la mancata attivazione del servizio di raccolta.

2 Il primo motivo e il primo profilo del secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente stante la loro intima connessione, vanno accolti sia pur nei limiti appresso indicati.

2.1 La TARES è stata l’imposta sui rifiuti dal gennaio al dicembre 2013 (dal 10 gennaio 2014 è stata sostituita dalla TARI), ed è stata introdotta dal D.L. n. 201 del 2011 (cosiddetto decreto Salva Italia), convertito con L. n. 214 del 2011, in sostanziale continuità con i preesistenti tributi (TARSU e TIA) dovuti da cittadini, enti e imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, conservandone la medesima natura, sicchè ai fini qui considerati, valgono per tutti i tributi oggetto di causa i principi di seguito riportati. In particolare il presupposto della tassa di smaltimento dei rifiuti ordinari solidi urbani è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibito e nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali o per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali. La disciplina, regolamentata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, per la TARSU, e dalla L. n. 214 del 2001, art. 14 per la TARES, che trova applicazione con riferimento ai rifiuti speciali pericolosi e tossici e a quelli non assimilati, rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo, nell’ovvio presupposto che in un locale od area in cui si producono rifiuti speciali si formano anche, di norma, rifiuti ordinari l’esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali. I locali dove si producono rifiuti speciali non assimilati sono quindi esenti dal pagamento dell’imposta.

2.2 In tema di ripartizione dell’onere probatorio spetta al contribuente fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti esclusivamente i rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, posto che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale è onere dell’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. 13 settembre 2017, n. 21250; 4 aprile 2012, n. 5377). La TARSU (ma la disciplina vale anche per la TARES) è dovuta, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre la regola stabilita dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, che consente l’esclusione di quella parte di superficie in cui per struttura e destinazione si formano esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili o non assimilati non opera in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti (cfr. da ultimo Cass. 11135/2019). Tale orientamento è stato ribadito anche da una pronuncia della Cassazione in una causa tra le stesse parti e relativa ad altra annualità (cfr. Cass. n. 7647/2018).

2.3 Per quanto concerne la problematica relativa all’assimiliabilità dei rifiuti va rilevato come la L. n. 146 del 1994, art. 39, che aveva introdotto l’assimilazione ope legis dei rifiuti speciali a quelli urbani, è stato abrogato dalla L. n. 128 del 1998, art. 17 ed è stato attribuito, dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), alle amministrazioni comunali la potestà di disciplinare l’assimilazione dei rifiuti mediante regolamento nel rispetto dei criteri qualitativi e quantitativi. Il potere attribuito ai Comuni di assimilare ai rifiuti urbani alcune categorie di rifiuti speciali è rimasto fermo anche a seguito dell’emanazione del codice dell’ambiente (D.Lgs. n. 152 del 2006) che all’art. 195, comma 2, attribuisce alla competenza dello stato l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani in mancanza dell’adozione del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, che avrebbe dovuto definire, entro novanta giorni, i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani.

2.5 Sul punto i giudici di seconde cure dopo aver dato atto che ad oggi non è stato emanato il decreto del Ministro dell’Ambiente affermano erroneamente che ” la carenza di definizione dei criteri di assimilazione rende inapplicabile la nuova tariffa prevista per i rifiuti assimilabili” senza che fosse accertata l’esistenza e l’eventuale contenuto di un provvedimento comunale di assimilazione dei rifiuti. La sentenza ha inoltre completamente omesso di indicare le caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti e di trattare la tematica correlata alla ripartizione dell’onere probatorio di cui sopra si è dato conto, da considerarsi intimamente connessa al thema decidendum della dedotta richiesta di esenzione dal pagamento dall’imposta per la produzione di rifiuti speciali.

2.6 Con riferimento alla riduzione del 40% della tariffa comunale applicata della mancata attivazione e/o irregolare svolgimento del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani nel quartiere in cui è ubicato il supermercato va rilevato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4, stabilisce che: “se il servizio di raccolta, sebbene istituito e attivato, non si è svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione ovvero di esercizio dell’attività dell’utente o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di cui al comma 1, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, da stabilire in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio di raccolta, il tributo è dovuto nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 2” (cioè in misura non superiore al 40% della tariffa). Il comma 6 della medesima disposizione prescrive che: “l’interruzione temporanea del servizio di raccolta per motivi sindacali o, per imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta esonero o riduzione del tributo. Qualora tuttavia il mancato svolgimento del servizio si protragga, determinando una situazione riconosciuta dalla competente autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente secondo le norme e le prescrizioni sanitarie nazionali, l’utente può provvedere a proprie spese con diritto allo sgravio o restituzione, in base a domanda documentata, di una quota della tassa corrispondente al periodo di interruzione, fermo restando il disposto del comma 4”. Il D.L. n. 201 del 2011, art. 14, comma 16, recita “nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, il tributo è dovuto in misura non superiore al quaranta per cento della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita”.

2.8 Secondo un recente orientamento giurisprudenziale “Il diritto alla riduzione presuppone l’accertamento specifico (mirato sul periodo, sulla zona di ubicazione dell’immobile sulla tipologia dei rifiuti conferiti e, in generale, su ogni altro elemento utile a verificare la ricorrenza in concreto della richiesta riduzione) della effettiva erogazione del servizio di raccolta rifiuti in grave difformità dalle previsioni legislative e regolamentari, il cui onere probatorio grava sul contribuente che invoca la riduzione, il quale deve dimostrare il presupposto della riduzione della Tarsu ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4; che consiste nel fatto obiettivo che il servizio di raccolta, istituito ed attivato: – non sia svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione o di esercizio dell’attività dell’utente; – ovvero, vi sia svolto in grave violazione delle prescrizioni del regolamento del servizio di nettezza urbana, relative alle distanze e capacita dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio stesso, pur nella notorietà del grave e perdurante disservizio nella raccolta e conferimento dei rifiuti che ha colpito la città di Napoli.” (cfr Cass. 22531/20173265/2019)

2.8 Tale orientamento è in linea con il principio costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa, mentre l’onere di provare eventuali esenzioni o riduzioni tariffarie è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70) (Cass. nn. 4766 e 17703 /2004, 1759/2009, 775/2011, 1635/2015, 10787/2016, 21250/2017 e 13395/ 2018).

2.10 La CTR nell’affermare che il complesso occupato dalla società appellante si trova in una zona che rientra nell’area di raccolta del Comune di Napoli ed il servizio risulta attivato a norma di legge dal Comune in regime di privativa…. non risulta che la società abbia inoltrato diffide e, quindi, non è dovuta alcuna riduzione. La documentazione versata in atti dalla società dimostra che la raccolta veniva affidata a ditte private, ma certamente tale circostanza non appare da sola (a dimostrare il disservizio lamentato si è uniformata ai principi che nel settore tributario governano l’onere della prova.

3 Il secondo motivo nella parte in cui viene censurata l’omessa valutazione della documentazione prodotta dalla ricorrente sin dal primo grado di giudizio è inammissibile sotto più profili.

3.1 Ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, applicabile a norma del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, al caso concreto, in quanto il giudizio di appello è stato introdotto dopo l’11.09.2012, ” Quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alla questione di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per Cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4). La disposizione di cui al comma 4 si applica, fuori dai casi di cui all’art. 348 bis, comma 2, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado.”. Nella fattispecie in esame in punto di riduzione del tributo per mancata attivazione e/o scorretta esecuzione del servizio di smaltimento entrambi i giudizi hanno concluso per il rigetto dell’eccezione.

3.2 Non vi è prova che la “doppia conforme” si fondi su differenti ragioni di fatto poste a base delle decisioni di primo e secondo grado. Dalla lettura dell’impugnata sentenza emerge che la CTR abbia condiviso la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di prime cure. Si legge infatti nella motivazione che “nel caso in esame come già rilevato dai primi giudici in atti non vi è alcuna documentazione del disservizio nè vi è prova dell’invio della diffida a regolarizzare il servizio di raccolta”.

3.3 Va inoltre rilevato che secondo l’indirizzo giurisprudenziale che s’nvenuto a formare a seguito dell’entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”. (cfr Cass. 2493/2018, 27415/2018, 8053/2014). Si è inoltre affermato che: ” Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa” (Cass. n. ord. n. 16812 del 26/06/2018; così Cass. 19150/16). Non è quindi invocabile il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie; nè sono stati dedotti elementi volti a dimostrare che la considerazione della risultanza pretermessa avrebbe certamente determinato – alla luce del più complesso ed articolato quadro istruttorio considerato dal giudice di merito – un esito differente della lite.

3.4 Nella fattispecie il giudice di appello ha adeguatamente esaminato il “fatto storico – naturalistico” costituito dall’espletamento del servizio di smaltimento dei rifiuti spiegando, all’esito della valutazione del materiale probatorio, le ragioni della decisione di non applicare l’aliquota ridotta.

4. La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, la quale oltre a regolamentare le spese spese del presente giudizio dovrà: a) accertare se sussistono o meno le delibere comunali di assimilazione, per l’anno oggetto della controversia, dei rifiuti speciali ai rifiuti solidi urbani per poi trarne le dovute conseguenze; b) individuare le caratteristiche dei rifiuti prodotti dalla contribuente tenendo in ogni caso conto dei principi sulla ripartizione dell’onere probatorio sopra esposti.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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