Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22230 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/10/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 14/10/2020), n.22230

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11068-2017 proposto da:

V.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROMEO ROMEI,

27, presso lo studio dell’avvocato ADELINA GIGLIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato STEFANIA PLASTINA;

– ricorrente –

contro

TRENITALIA S.P.A., – SOCIETA’ CON SOCIO UNICO SOGGETTA ALL’ATTIVITA’

DI DIREZIONE E COORDINAMENTO DI FERROVIE DELLO STATO ITALIANE

S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA CROCE ROSSA 1 C/0

FERROVIE DELLO STATO S.P.A., presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA

CARINO, rappresentata e difesa dagli avvocati ANDREA UBERTI, PAOLO

TOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1136/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/10/2016 R.G.N. 511/2014.

 

Fatto

RILEVATO

– che, con sentenza del 26 ottobre 2016, la Corte d’Appello di Milano confermava la decisione resa dal Tribunale di Milano e rigettava le domande proposte da V.P. nei confronti di Trenitalia S.p.A., domande aventi ad oggetto l’accertamento del danno da dequalificazione professionale patito a motivo dell’asserita mancata ottemperanza alla sentenza resa in altro giudizio dal medesimo Tribunale in punto mancata assegnazione di mansioni adeguate al livello di inquadramento ed alla professionalità acquisita, la condanna al relativo risarcimento, la declaratoria di illegittimità della sanzione disciplinare di dieci giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione inflitta a motivo del rifiuto opposto dal V. allo svolgimento delle mansioni assegnate;

– che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto tempestiva la contestazione, pur elevata una volta decorsi sei mesi di continui richiami, valsi ad accertare l’atteggiamento di astensione dalla prestazione lavorativa, priva di efficacia esimente, in ragione della scarsa importanza dell’inadempimento, l’eccezione relativa invocata a giustificazione del rifiuto della prestazione e, pertanto, legittima nel merito la sanzione irrogata, carenti le deduzioni in ordine alla lamentata inottemperanza alla pregressa pronunzia al punto da legittimare la decisione di non dar corso all’istruttoria e parimenti non provato il danno sofferto;

– che per la cassazione di tale decisione ricorre il V.i, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, Trenitalia S.p.A.;

– che il ricorrente ha poi presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 66 del CCNL Mobilità A/F, L. n. 300 del 1970, art. 7, commi 3 e 4, artt. 2106,1175,1218 c.c. in una con l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio lamenta la non conformità a diritto del pronunciamento inteso ad escludere la tardività della sanzione;

– che, con il secondo motivo, denunziando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1460,2103,1175,2727 e 2729 c.c. e art. 115 c.p.c. in una con l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il ricorrente imputa alla Corte territoriale il mancato accertamento dell’inottemperanza alla pregressa decisione del Tribunale di Milano da parte della Società, su cui asserisce gravava l’onere della prova contraria, potendosi il ricorrente limitare all’allegazione del fatto stesso dell’inottemperanza, e così dell’inadempimento dell’obbligo di adibizione a mansioni coerenti con il livello di inquadramento e con la professionalità acquisita, a fronte del quale assume non essere ravvisabile alcun inadempimento da parte sua per aver rifiutato una prestazione non dovuta in quanto assegnata oltre i limiti dello ius variandi consentito dall’art. 2103 c.c., legittimandosi così, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l’eccezione di inadempimento;

– che nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio sono prospettati in relazione all’error in procedendo dato dalla mancata ammissione delle prove richieste che precisa essere volte a dimostrare l’essere i comportamenti della Società intesi a creare disagio al ricorrente, al fine di elevare a suo carico pretestuose contestazioni disciplinari, quando mai il ricorrente si era reso responsabile di mancanze o violazioni agli obblighi contrattuali;

– che l’impugnazione proposta, la quale al di là della sua articolazione su tre motivi, può essere considerata unitariamente, basandosi su un assunto di fondo per il quale, una volta dedotto dal ricorrente il fatto dell’inadempimento del datore, sarebbe stato onere di questi fornire la prova contraria, in difetto della quale e dunque a fronte dell’accertato inadempimento del datore, il rifiuto della prestazione in cui veniva a tradursi la sollevata eccezione di inadempimento doveva essere ritenuto legittimo e, di contro illegittima, la sanzione irrogata a motivo di quel rifiuto, per di più tardivamente contestata, deve ritenersi infondata, condividendo il Collegio il rilievo della Corte territoriale circa l’assoluta carenza, ravvisabile anche nel presente ricorso, di allegazioni in ordine all’inadempimento datoriale, non risultando in alcun modo specificato, stante il difetto di indicazione delle mansioni dichiarate giudizialmente spettanti e di quelle di fatto svolte o non svolte, visto che in questa sede si accenna genericamente ad uno svuotamento delle mansioni di competenza, in che cosa si sarebbe concretata l’inosservanza della decisione espressa dal Tribunale di Milano in punto di assegnazione a mansioni adeguate al livello di inquadramento ed alla professionalità acquisita, rilievo che vale a fondare la statuizione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale richiesta, che, del resto, si ammette non essere volta a fornire le indicazioni di cui sopra ma ad attestare il comportamento ritorsivo e discriminatorio della Società datrice, nonchè il pronunciamento circa la non ravvisabilità di un comportamento illegittimo della Società tale da giustificare il rifiuto della prestazione, pertanto legittimamente assoggettato a sanzione, sulla base di una contestazione correttamente ritenuta tempestiva in quanto, lungi dal porsi come strumentalmente utilizzata a distanza di tempo per pregiudicare il lavoratore, la stessa risulta essere la reazione cui la Società datrice si è determinata a fronte del fallimento di una costante azione di pressione sul lavoratore per indurlo a conformarsi alle scelte organizzative della Società medesima;

– che il ricorso va, dunque, rigettato;

– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

 

 

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