Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22230 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. un., 03/11/2016, (ud. 27/09/2016, dep. 03/11/2016), n.22230

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente aggiunto –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente di sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Presidente di sez. –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25687-2014 proposto da:

ITALGEN S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E.Q. VISCONTI 99, presso lo

studio degli avvocati ERNESTO CONTE ed ILARIA CONTE, che la

rappresentano e difendono unitamente all’avvocato MARIA SIMONETTA

STRANEO MOLLICA, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO EMANUELE II 229,

presso lo studio dell’avvocato GIULIANO POMPA, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARCO CEDERLE, per delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 146/2014 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 09/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Presidente Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

uditi gli avvocati Marco CEDERLE, Ernesto CONTE e MOLLICA STRANE

Maria Simonetta;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo,

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Italgen s.p.a., titolare di una concessione di grande derivazione, a uso idroelettrico, da vari corsi d’acqua, con restituzione a Mezzunno, scaduta il 31 dicembre 1985, ma prorogata fino al 31 dicembre 2010, D.Lgs. n. 79 del 1999, ex art. 12, comma 7, in relazione alla quale aveva proposto istanza di proroga di anni 60, a partire dal 1 gennaio 1986, ai sensi della L. n. 529 del 1982, impugnò innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche la nota in data 24 dicembre 2009, n. 1205, con la quale le Direzione Generali Reti e Servizi di Pubblica Utilità e Sviluppo sostenibile della Regione Lombardia, le aveva comunicato: a) che, per effetto delle disposizioni di cui al D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art. 12 come modificato dalla L. n. 266 del 2005 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2008, la concessione assentita sarebbe scaduta il 31 dicembre 2010; b) che, conseguentemente, dal 1 gennaio 2001 la società non avrebbe più avuto titolo a derivare e utilizzare le acque pubbliche per la produzione di forza motrice; c) che, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 25, comma 1, allo scadere della concessione tutte le opere funzionali allo svolgimento dell’attività sarebbero passate, senza compenso, ope legis in proprietà dello Stato e, per esso, nella disponibilità della Regione; d) che questa, in nome e per conto dello Stato, intendeva avvalersi della facoltà di cui all’art. 25, comma 2 predetta fonte, e cioè della facoltà di immettersi nell’immediato possesso di ogni altro edificio, macchinario, impianto di utilizzazione, di trasformazione e di distribuzione inerente alla concessione, corrispondendo agli aventi diritto un prezzo uguale al valore di stima del materiale in opera, calcolato al momento dell’immissione in possesso; d) che, qualora la concessionaria non intendeva consentire l’esercizio di tale facoltà, adducendo il mancato rispetto del termine di preavviso, doveva essa medesima provvedere alla rimozione delle strutture di cui innanzi; e) che la comunicazione non aveva valore provvedimentale, ma solo notiziale, ai fini dell’avvio dei procedimenti volti ad assicurare la redazione dell’inventario dei beni oggetto delle disposizioni innanzi richiamate.

La società contestò la legittimità del provvedimento sotto il profilo che la Regione non poteva pronunciarsi in ordine alla data di scadenza della concessione prima della conclusione del procedimento amministrativo volto ad ottenere, ai sensi della L. n. 529 del 1982, il prolungamento sessantennale della sua durata; dedusse inoltre la violazione del principio di legittimità dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost., nonchè eccesso di potere per manifesta illogicità, posto che, da un lato, l’Ente non aveva avviato, almeno cinque anni prima della scadenza della concessione, così come imponeva il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12 il procedimento a evidenza pubblica volto all’individuazione di un nuovo concessionario, al fine di assicurare il trasferimento dell’esercizio delle grandi derivazioni di acqua per uso idroelettrico, senza soluzioni di continuità; dall’altro, neppure si era avvalso dell’istituto della prorogati, pur consentito dalla normativa regolamentare; eccepì, ancora, l’illegittimità della dichiarata intenzione della Regione Lombardia di avvalersi, in nome e per conto dello Stato, della facoltà di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 25, comma 2, non avendo le Regioni, sulla base della legislazione vigente, il potere di accrescere la consistenza del demanio idrico o del patrimonio dello Stato; denunciò infine come illegittima l’intimazione di provvedere alla rimozione dei beni acquisibili dal concedente, evidenziando che gli stessi – edifici, macchinari, impianti di utilizzazione, trasformazione e distribuzione – appartenevano alla concessionaria e insistevano su porzioni immobiliari di sua esclusiva proprietà.

Con la sentenza ora impugnata, depositata in data 9 luglio 2014, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha respinto il ricorso.

L’impugnazione di Italgen s.p.a. è affidata a due motivi, illustrati anche da memoria.

Si è difesa la Regione Lombardia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo l’impugnante lamenta violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 156 medesima fonte, art. 3 codice del processo amministrativo e art. 111 Cost.. Sostiene l’esponente che la motivazione della decisione impugnata sarebbe meramente apparente, considerato che il rigetto del ricorso era stato argomentato dal decidente con considerazioni incomprensibili e comunque in gran parte estranee alla materia del contendere.

Ricorda all’uopo che, a norma degli artt. 3 e 39 codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104) – applicabili, in base al comb. disp. del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 143 e 208 alle sentenze del TSAP – i provvedimenti decisori devono essere motivati in maniera chiara, applicandosi, in parte qua, le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto espressione di principi generali.

1.2. Con il secondo mezzo l’esponente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. posto che il TSAP non avrebbe risposto a nessuno dei rilievi svolti nei motivi di ricorso.

2. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Occorre muovere dalla considerazione che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte Regolatrice, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. civ. sez. un. 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurirnis, Cass. civ. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007;n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).

3. Venendo al caso di specie, il giudice a quo, premesso che la ricorrente era titolare di tre grandi concessioni idroelettriche, tutte prorogate al 31 dicembre 2010, D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, ex art. 12, comma 7, “con correlativa pendenza di procedimenti dilazionatori rispetto a tale scadenza” e che la delibera in data 31 dicembre 2010 era stata impugnata “per violazione del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 1 bis, trattandosi di grandi derivazioni prorogate fino al 2015 ed in assenza di testuale disapplicazione della normativa statale prorogante e solo asseritamente cedevole, plurima incostituzionalità della L.R. n. 26 del 2003, art. 53 bis per contrasto con il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, commi 1 bis e 8 bis e violazione dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. e), comma 3 e art. 53 Cost…. trattandosi di una proroga non irrazionale (5 anni), come quella (10 anni) fatta venir meno dalla Consulta con la sent. n. 1 del 2008”, ha ritenuto che il ricorso andasse respinto nel merito “per l’insussistenza di alcun vizio di violazione di legge in un provvedimento regionale motivato in base a una legge regionale in rapporto a una clausola di cedevolezza della legge statale, ad opera di una norma regionale successiva, come la L.R. Lombardia n. 26 del 2003, art6. 53 bis come novellato dalla L.R. n. 19 del 2010, trattandosi di atto non lesivo con evidente carenza di interesse a impugnarlo e correlativa inammissibilità del ricorso (donde l’improspettabilità di un asserito diritto d’insistenza) in regime di prorogatio sine die, in palese infrazione dei criteri di trasparenza e concorrenza nel corretto uso dei beni pubblici: cfr. Corte cost. sent. n. 1/2008, ed D.L. n. 78 del 2010, art. 15, comma 6-quater cit. norma (poi dichiarata incostituzionale con sent. Corte cost. n. 205/2011) recante il criterio di cedevolezza dei commi 6, 6-bis e 6-ter e del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 1 bis, introdotto proprio dal D.L. n. 78 del 2010, così superandosi il principio dell’intesa Stato-regioni di cui al D.Lgs. n. 112 del 1998); l’inevitabile correlazione del rinnovo concessorio con i canoni aggiuntivi a carico del concessionario prorogato per l’ulteriore uso degli impianti, divenuti di proprietà demaniale, a pena di decurtazione unilaterale di entrate regionali; impossibilità di disconoscere e poi ammettere il discusso principio di cedevolezza, tautologicamente riferendosi alla materia non dell’energia ma della concorrenza; senza peraltro indicare i confini tra competenza statali (proroga) e regionali (prosecuzione temporanea); apparendo soltanto l’eventuale rinvio delle gare programmate, mentre la parte attuale ricorrente avrebbe dovuto piuttosto interloquire nei tre procedimenti per i rinnovi concessori ancora pendenti; l’indeducibilità di un’eccessiva discrezionalità asseritamente destinata a caratterizzare la futura deliberazione (ovviamente allo stato carente di ogni ipotizzabile valenza provvedimentale)”.

Ha poi aggiunto il decidente “a proposito del c.d. diritto di insistenza – conferito dall’art. 37 cod. nav. in favore del titolare della concessione demaniale in scadenza, in occasione del suo rinnovo”, che “lo stesso non può essere inteso come un granitico meccanismo capace di escludere ogni confronto concorrenziale tra più istanze”, dovendosi avere riguardo ai principi comunitari “che impongono gare pubbliche ogni volta che si debbano affidare commesse o beni pubblici di rilevante interesse economico”, senza che in senso contrario possa valere il D.L. n. 400 del 1993, art. 1, comma 2 convertito nella L. n. 494 del 1993, secondo cui le concessioni demaniali destinate alla gestione di stabilimenti si rinnovano automaticamente alla scadenza per altri sei anni, “perchè tale disposizione va ora letta alla luce del principio concorrenziale enunciato dall’art. 17 cod. nav., rinvigorito dall’incardinamento nel sistema dei citati principi comunitari”.

4. Orbene, ritengono queste sezioni unite che siffatta motivazione non espliciti in maniera comprensibile le ragioni logiche e giuridiche poste a base della decisione. E’ sufficiente al riguardo evidenziare che il TSAP ha ritenuto di dover respingere nel merito il ricorso, pur dopo avere affermato che l’atto – e cioè, verosimilmente, il provvedimento regionale impugnato – era “non lesivo” e tale, quindi, da marcare di inammissibilità, per carenza di interesse, secondo la prospettazione dello stesso decidente, l’azione giudiziaria contro lo stesso intrapresa; ha evocato un regime di prorogatio sine die evidentemente estraneo alla materia del contendere, considerato che i motivi di ricorso, fondati o infondati che fossero, erano volti a far valere l’illegittimità del provvedimento impugnato sotto il profilo che esso costituiva una surrettizia forma di decisione dei procedimenti amministrativi volti a differire la scadenza delle concessioni ed era comunque applicativo di norme, segnatamente della L.R. n. 26 del 2003, art. 53 bis giudicate in contrasto con il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., con il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12, comma 8 bis quale asserito, criterio fondamentale della materia, nonchè con l’art. 53 Cost.; ha stigmatizzato “l’impossibilità di disconoscere e poi ammettere il discusso principio di cedevolezza”, senza esplicitare dove e come esso fosse stato disconosciuto e poi ammesso, in guisa da rendere contraddittoria e insostenibile la linea difensiva dell’impugnante; ha contestato l’esistenza di un preteso diritto d’insistenza in maniera del tutto avulsa dalle argomentazioni giuridiche addotte dalla ricorrente per far valere l’illegittimità della delibera regionale impugnata.

5. In definitiva le considerazioni esposte, cha potevano, al più, costituire materiale di base per una serie di successive argomentazioni (mancanti nella sentenza) idonee a sorreggere la decisione del ricorso, sono incongrue rispetto alle questioni prospettate dalla parte, nel senso che non disvelano il percorso logico-giuridico seguito dal decidente per risolverla. Nè può essere lasciato all’occasionale arbitrio dell’interprete integrare la sentenza, in via congetturale, con le più varie, ipotetiche argomentazioni motivazionali (cfr. Cass. civ. 5 agosto 2016, n. 16599). L’impossibilità di individuare l’effettiva ratio decidendi rende meramente apparente la motivazione della decisione impugnata, alla stregua della nozione di “motivazione apparente” innanzi delineata. Ne consegue che, in accoglimento del primo motivo di ricorso, nel quale resta assorbito l’esame degli altri, essa deve essere dichiarata nulla e cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, al TSAP in diversa composizione.

PQM

La Corte, pronunziando a sezioni unite, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità al TSAP in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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