Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2223 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/01/2019, (ud. 03/10/2018, dep. 25/01/2019), n.2223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14763/2017 proposto da:

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E

PERITI COMMERCIALI, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI n.

44/46, presso lo studio degli avvocati MATTIA PERSIANI, GIOVANNI

BERETTA, che la rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICASOLI 7,

presso lo studio dell’avvocato EMANUELE RICCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANNA CAMPILII, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 525/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/04/2017 R.G.N. 1650/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/10/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per accoglimento del primo e del

secondo motivo in merito alla nullità della sentenza, in subordine

accoglimento degli altri motivi;

udito l’Avvocato GIOVANNI BERETTA;

udito l’Avvocato ANNA CAMPILII.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 525/2017, ha riformato la pronuncia del Tribunale di Monza che aveva rigettato la domanda del rag. T.F. finalizzata al ricalcolo della sua pensione di vecchiaia, di cui era titolare dal febbraio 2005.

La sentenza di secondo grado osservava come le tesi del T. avessero medio tempore trovato conforto negli orientamenti di legittimità sopravvenuti, secondo i quali per le pensioni aventi decorrenza anteriore al 1.1.2007 dovevano trovare applicazione le delibere anteriori a quelle del 2002 e 2003 ed al Regolamento del 2004, avendo tali provvedimenti, nell’introdurre il sistema contributivo, illegittimamente modificato in senso peggiorativo i criteri di considerazione dei redditi da valutare per il calcolo della quota retributiva.

La Corte riteneva altresì che il calcolo dovesse avvenire sulla base di sub-quote a seconda dei diversi periodi considerati della Delib. della Cassa del 1997, art. 49, comma 11.

2. Contro tale pronuncia la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso del pensionato, anch’esso successivamente illustrato con memoria difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Cassa censura la sentenza impugnata per error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4), identificato nella violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., per avere respinto l’eccezione di decadenza del T. dalla domanda di condanna nei confronti della Cassa, in quanto riproposta solo nelle conclusioni dell’atto di appello.

Il secondo motivo contiene la stessa censura, ma ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per il caso in cui si ritenesse che quella norma fosse il referente idoneo a giustificare il ricorso per cassazione sul punto in questione.

1.1 I due motivi sono infondati.

E’ pacifico che in primo grado il T. avesse insistito per l’accertamento dei corretti criteri di ricalcolo della pensione e per la condanna della Cassa al pagamento delle conseguenti differenze sui ratei.

Appellando, secondo la Cassa, il T. avrebbe poi argomentato sull’erroneità della sentenza, con riferimento alle regole di calcolo della pensione, senza nulla addurre con riferimento alla pronuncia di condanna, se non limitandosi a proporre la stessa nelle conclusioni di secondo grado.

Tale dinamica non individua in alcun modo una preclusione alla pronuncia della condanna in sede di appello.

Infatti, non risulta che il rigetto di primo grado riguardasse la richiesta di condanna: esso derivava invece dal fatto che il Tribunale di Monza non condivideva la ricostruzione giuridica del T. rispetto alla misura del suo diritto a pensione.

Pertanto la mancata pronuncia della condanna costituiva una semplice conseguenza del rigetto delle pretese di accertamento dispiegate.

Quindi, non vi era da argomentare alcunchè, nell’appellare, rispetto a tale profilo, che sarebbe scaturito come meramente consequenziale, in forza della riproposizione della domanda di condanna nelle conclusioni dell’atto di gravame, in esito all’accoglimento dell’appello sulle questioni attinenti l’accertamento.

2. Con il terzo motivo di ricorso la Cassa sostiene che costituirebbe una modalità erronea di applicazione del principio del pro rata, ed individuerebbe un’illegittimità per violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, il frazionamento operato dalla Corte d’Appello, in adesione ai conteggi sviluppati dal T., in diverse sub-quote in corrispondenza dei diversi parametri fissati dalla Delib. del 1997.

2.1 Il motivo è fondato.

E’ infatti alla data di maturazione del diritto a pensione che occorre guardare per individuare le regole da applicare per il calcolo della quota A e, precisamente, nel caso di specie, tenuto conto che in giudizio si è discusso soltanto dell’illegittimità delle Delib. regolamenti del 2002-2004, va applicata la previsione dell’art. 49 del Regolamento di esecuzione del 1997, in vigore al momento delle radicali modifiche del 2002 e del 2003, secondo cui “la misura annua della pensione di vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, al 2 per cento della media dei quindici redditi professionali annuali più elevati dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) per gli ultimi venti anni solari di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione”.

I meccanismi previsti dal Regolamento del 1997 all’art. 49, commi nove ed 11 (applicabile alle pensioni di anzianità in quanto richiamato dall’art. 50), che cadenzano progressivamente di periodo in periodo i redditi rilevanti per il calcolo, fino a quello finale dei quindici migliori redditi sugli ultimi venti percepiti, rivestono invece natura transitoria con esaurimento della propria efficacia all’interno dei periodi ivi considerati, in relazione alle pensioni liquidate sino al 1.7.2003.

3. Con il quarto motivo si assume la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 345 c.p.c., comma 2, per avere la Corte ritenuto tardiva l’eccezione sollevata dalla cassa in merito al fatto che, nel calcolare la quota A della pensione non dovessero considerarsi gli ultimi redditi a ritroso dalla data del pensionamento, ma quelli anteriori al 2003, ovverosia al momento in cui si esauriva il metodo di calcolo retributivo, per essere lo stesso soppiantato dal calcolo contributivo, cui i redditi del 2004 e 2005 erano esclusivamente soggetti.

Il quinto motivo contiene la stessa censura, ma ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per il caso in cui si ritenesse che quella norma fosse il referente idoneo a giustificare il ricorso per cassazione sul punto in questione.

Il sesto motivo ripropone ancora la medesima questione sottolineando in particolare come il calcolo della quota retributiva della pensione avrebbe dovuto essere sviluppato considerando i redditi anteriori al periodo di riferimento della quota A e non i redditi relativi agli anni antecedenti al pensionamento.

3.1 I tre motivi, la cui stretta connessione comporta un esame congiunto, sono infondati, in quanto anche per il calcolo della quota retributiva è alla data di maturazione del diritto a pensione che occorre guardare per individuare le regole da applicare, come è reso evidente dalla regola di cui all’art. 49 cit., ove il riferimento va ai redditi relativi agli anni anteriori “a quello di maturazione del diritto a pensione”.

Nè ciò comporta una indebita duplicazione nella considerazione dei medesimi redditi e/o contributi, in quanto la rilevanza dei redditi per il calcolo della quota retributiva si fissa sulla base di un criterio essenzialmente convenzionale, che discrezionalmente, al fine di radicarne la misura sul livello economico finale, fa riferimento agli ultimi redditi percepiti, riconnettendosi solo indirettamente alla contribuzione versata, mentre una vera e propria valorizzazione diretta della contribuzione si ha solo per quanto attiene alla quota contributiva.

3.2 Pertanto, nel caso di specie, giustamente il calcolo è stato effettuato considerando i redditi professionali annuali calcolati a partire dall’anno anteriore al 2005, che è quello di pensionamento.

In definitiva la sentenza impugnata va cassata solo in relazione all’accoglimento del terzo motivo, con remissione della causa alla medesima Corte d’Appello la quale, in diversa composizione e fermo ogni altro criterio precedentemente applicato dalla sentenza qui impugnata, nel calcolo delle quote pensionistiche, provvederà al ricalcolo della pensione utilizzando, per la quota A, il solo criterio del 2% dei quindici migliori redditi dichiarati a fini Irpef negli ultimi venti anni anteriori alla maturazione del diritto a pensione.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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