Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2223 del 02/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 02/02/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 02/02/2021), n.2223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17235/2010 R.G. proposto da:

V.A., rappresentato e difeso, per procura speciale in atti,

dall’Avv. Salvatore Sammartino, con domicilio eletto presso lo

studio dell’Avv. Giuseppe Piero Siviglia in Roma, via

dell’Elettronica, n. 20;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, n. 86/25/09, depositata il 6 maggio 2009.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’1 dicembre 2020

dal Consigliere Dott. Michele Cataldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. De Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso;

uditi gli Avv.ti dello Stato Pasquale Pucciariello ed Angelo De

Curtis per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. V.A. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, n. 86/25/09, depositata il 6 maggio 2009, che ha accolto l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo che aveva accolto il ricorso dello stesso contribuente contro l’avviso d’accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, relativamente all’anno d’imposta 2001, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55 ha determinato, ai fini Irpef, il reddito imponibile; ai fini Iva, il corrispondente volume d’affari; ed ai fini Irap il maggior valore della produzione, quantificando le maggiori imposte dovute in conseguenza, oltre agli interessi ed alle sanzioni.

L’Agenzia, infatti, aveva emesso l’atto impositivo in seguito al processo verbale di constatazione elevato il 14 ottobre 2004 dalla Guardia di finanza, all’esito delle risultanze dell’attività di indagini di polizia giudiziaria relative alla sottrazione, dal deposito dell’E.N.I. s.p.a. di (OMISSIS), di prodotti petroliferi, da parte di diversi soggetti tra loro organizzati, tra i quali il contribuente, al quale la stessa Amministrazione finanziaria imputava quindi parte dei ricavi illeciti derivanti dalla successiva commercializzazione, “in nero”, del corpo dei reati.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

Il ricorrente ha prodotto memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il contribuente ricorrente censura la sentenza impugnata per la violazione o la falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1; del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, commi 1 e 3; e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56 per non avere il giudice a quo dichiarato la nullità dell’accertamento, sebbene ad esso non siano stati allegati nè il processo verbale di constatazione della Guardia di finanza citato nella motivazione dell’atto impositivo; nè la documentazione recante gli elementi di prova emersi nel corso delle indagini dei militari verbalizzanti.

In particolare, come si evince dal corpo del motivo, il ricorrente si duole della mancata allegazione, all’avviso d’accertamento, della “trascrizione integrale di intercettazioni telefoniche ed ambientali” e di una “consulenza tecnica”, documentazione coperta da segreto istruttorio nel relativo procedimento penale e non comunicatagli nè contestualmente, nè anteriormente alla notifica dell’avviso di accertamento (avvenuta il 7 giugno 2005: cfr. pag. 2, punto 4 del ricorso e pag. 1 del controricorso), ma conosciuta solo successivamente, ovvero quando, il 18 aprile 2006, il Pubblico Ministero gli ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini penali. Il motivo ripropone una censura che, come risulta dalla sentenza impugnata, il contribuente aveva sollevato già con il ricorso introduttivo, era stata accolta dal giudice di prime cure ed è stata oggetto dell’appello erariale e del conseguente contraddittorio nel secondo grado.

Esso è infondato nella parte in cui lamenta che all’avviso d’accertamento non sia stato allegato il processo verbale da quest’ultimo richiamato, senza contestare che (così come si ricava dalla sentenza impugnata, alle pagg. 3 e 15 s.) egli lo abbia sottoscritto. Infatti “In tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione. (Nella specie, l’avviso di accertamento era stato motivato con riferimento ad un processo verbale di constatazione, precedentemente consegnato in copia previa sottoscrizione)” (Cass. 14/01/2015, n. 407; conformi, ex plurimis, Cass. 07/10/2016, n. 20166; Cass. 05/12/2017, n. 29002).

Quanto invece all’omessa allegazione all’avviso di accertamento delle trascrizioni delle intercettazioni e della consulenza tecnica relativa ai meccanismi tecnici con i quali è stata realizzata la sottrazione di prodotti petroliferi, deve innanzitutto darsi atto che la stessa Amministrazione, nel controricorso, assume di non essere venuta in possesso di tale documentazione e riconosce che il contribuente ne avrebbe potuto avere conoscenza in quanto “depositata agli atti relativi al procedimento penale a suo carico come da egli stesso evidenziato a pag. 13 nel ricorso”, ovvero nella parte del ricorso nella quale il V. assume di aver conosciuto tali documenti solo il 18 aprile 2006, all’esito della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini penali.

Può quindi dirsi pacifica la circostanza che la conoscibilità, da parte del contribuente, della documentazione in questione, menzionata nel processo verbale di constatazione richiamato dall’accertamento impugnato, è maturata solo dopo l’emissione e la notifica dello stesso atto impositivo.

Tanto premesso, va ricordato che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, nel caso di doppia motivazione per relationem, ovvero quando il documento menzionato nella motivazione dell’atto tributario faccia a sua volta riferimento ad ulteriori documenti, è necessario e sufficiente che questi ultimi siano, se non in possesso o comunque conosciuti dal contribuente, quanto meno agevolmente conoscibili da quest’ultimo (Cass. 12/12/2018, n. 32127; Cass. 24/11/2017, n. 28060; Cass. 04/06/2018, n. 14275, ex plurimis, in tema di avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii a quello riguardante i redditi della società, ancorchè solo a quest’ultima notificato; Cass. 17/05/2017, n. 12312, ex plurimis, relativa all’accertamento del maggior valore dell’immobile sulla base dei prezzi medi evincibili dal listino della Borsa immobiliare dell’Umbria, pubblicato dalla locale camera di Commercio ed agevolmente reperibile dalla contribuente).

Tale principio è stato da questa Corte ribadito proprio con riferimento alle stesse parti, al medesimo processo verbale di constatazione (sebbene riguardo ad un ulteriore accertamento derivatone, relativo ad altro anno d’imposta) ed in costanza della stessa tempistica (della notifica dell’atto impositivo e della conoscibilità della documentazione correlata alla successiva comunicazione della chiusura delle indagini penali): ” L’avviso di accertamento, nell’ipotesi di doppia motivazione “per relationem”, è legittimo ove il processo verbale di constatazione richiamato nello stesso faccia a propria volta riferimento a documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto non assolto tale onere in quanto il processo verbale di constatazione richiamava anche atti di indagine penale, coperti dal segreto investigativo, che erano entrati nella sfera di conoscenza del contribuente dopo la notifica dell’avviso di accertamento)” (Cass. 12/12/2018, n. 32127, che ha accolto il ricorso del contribuente e, per l’effetto, cassata la decisione impugnata, ha deciso nel merito, accogliendo il ricorso introduttivo della stessa parte).

Ritenuta quindi l’applicabilità del predetto principio al caso sub iudice, deve rilevarsi che nel caso di specie la stessa CTR lo ha espressamente richiamato più volte nella motivazione (pagg. 5 e 7-8 della sentenza impugnata), sottolineando la necessità della conoscibilità degli atti richiamati nella parte motiva dell’accertamento, ma non ne ha fatto applicazione corretta nella decisione, laddove ha escluso la nullità dell’atto impositivo, pur a fronte della non conoscibilità della documentazione in questione.

La conseguente invalidità dell’atto impositivo, considerata la peculiarità del caso di specie, non contrasta con l’orientamento di questa Corte secondo cui “La motivazione dell’avviso di rettifica che rinvii a processi verbali della Guardia di Finanza, individuando in tal modo la causa giustificativa della pretesa impositiva, è requisito formale di validità dell’atto che si distingue da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa” (Cass. 09/03/2020, n. 6524; conforme Cass. 21/02/2020, n. 4639).

Infatti (come evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, con riferimento esplicito alle intercettazioni ed alla consulenza e come risulta dagli stralci dell’accertamento e del verbale trascritti nel ricorso), nel caso sub iudice la documentazione in questione aveva, ai fini fiscali, un ruolo determinante nella stessa individuazione, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, della condotta assunta dall’Amministrazione quale presupposto dell’imposizione soggettiva ed oggettiva.

Pertanto, nella fattispecie concreta, la non conoscibilità, da parte del contribuente, della documentazione richiamata per doppia relationem, neppure in possesso dello stesso Ufficio, non rileva esclusivamente in termini istruttori; ma pregiudica la stessa compiuta descrizione, nella motivazione dell’accertamento, della causa giustificativa della pretesa impositiva. Nè, peraltro, risulta che la parte motiva dell’atto impositivo supplisca altrimenti alla carenza derivante dagli elementi richiamati, ma non conoscibili.

Va quindi accolto, nei termini che precedono, il primo motivo e la gravata sentenza va cassata. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito e, in ragione dell’invalidità dell’avviso di accertamento per la carenza della sua motivazione, va accolto l’originario ricorso proposto dal contribuente.

2.Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente censura la sentenza impugnata per la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2; del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55; e dell’art. 2697 c.c., per avere il giudice a quo ritenuto applicabili al caso di specie le presunzioni “semplicissime” (ovvero anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza) e comunque la disciplina probatoria dell’accertamento induttivo, in materia di imposte dirette e di Iva, di cui alle predette norme, e non quella del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 benchè lo stesso contribuente non svolgesse attività d’impresa, ma operasse meramente quale collaboratore dell’impresa individuale intestata alla coniuge e, in tale veste e per il conseguente reddito, avesse presentato la propria dichiarazione dei redditi, non essendo pertanto tenuto agli obblighi contabili la cui violazione è presupposto degli accertamenti induttivi praticati dall’Amministrazione.

3.Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione applicabile ratione temporis, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.

3.1. Il secondo ed il terzo motivo restano assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo.

4.Le spese dei giudizi di merito si compensano e quelle di questo giudizio seguono la soccombenza.

PQM

Accoglie il primo motivo e dichiara assorbiti i restanti;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente; condanna la controricorrente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2021

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