Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22229 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/10/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 14/10/2020), n.22229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25652-2017 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MICHELE MERCATI

51, presso lo studio dell’avvocato EDOARDO D’ELIA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IMPRESA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del

Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato

LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ADALBERTO PERULLI;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 27/09/2017,

R.G.N. 54362/2015.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. F.M. chiese al Tribunale di Roma, sezione fallimentare, l’ammissione al passivo in via privilegiata dei crediti da lui vantati nei confronti della società Impresa s.p.a. in amministrazione straordinaria a titolo di differenze retributive da agosto 2013 a gennaio 2014 (Euro 6.164,32), tredicesima mensilità dicembre 2013 (Euro 667,00), tfr maturato dal 10.7.2013 al 23.1.2014 (Euro 6.472,61) ed otto mensilità per indennità di preavviso (Euro 56.000,00). Inoltre chiese che venisse accertata e dichiarata l’illegittimità del recesso intimatogli e l’ammissione al passivo dell’ulteriore somma di Euro 112.000,00 a titolo di indennità suppletiva calcolata in 16 mensilità ai sensi del c.c.n.l. per i dirigenti di imprese industriali.

1.1. Negata l’ammissione al passivo di tutti i crediti da parte del giudice delegato il Tribunale, investito dell’opposizione ai sensi della L. Fall., art. 98 e ss., l’ha rigettata osservando, per quanto qui interessa, che l’indennità di preavviso – quantificata in otto mensilità di retribuzione ai sensi del c.c.n.l. dei dirigenti di aziende industriali – non spettava al ricorrente atteso che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti, svoltosi al di fuori dell’Unione Europea, era di diritto internazionale e, perciò, era regolato, ai sensi della L. n. 398 del 1987, dal contratto individuale il quale, preventivamente autorizzato ai sensi dell’art. 2, lett. a) dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, prevedeva un preavviso di sei settimane. Con riguardo all’indennità di mancato preavviso, poi, il Tribunale ha accertato che questa era stata versata nel febbraio 2014.

1.2. Quanto alle somme chieste per differenze retributive e per tredicesima mensilità, il Tribunale ha accertato che il ricorrente non aveva offerto una prova rassicurante della spettanza delle somme chieste essendo risultato provato, al contrario, l’avvenuto integrale pagamento degli importi concordati.

1.3. Ha infine verificato che tutto quanto dovuto per T.F.R. era stato effettivamente erogato al lavoratore negli anni 2015 e 2016 dall’amministrazione straordinaria della società.

1.4. Con riguardo al licenziamento il Tribunale ne ha accertato la legittimità evidenziando che sussistevano più ragioni che lo giustificavano: a) le difficoltà economico finanziarie della società che avevano determinato una impossibilità di adempiere agli obblighi derivanti dalla commessa ottenuta nel Sultanato dell'(OMISSIS) tramite la joint venture Oman Road Engineering Company L.L.C. – Impresa 3V ed avevano reso necessario licenziare due dei sette lavoratori addetti; b) le ingenti perdite economico finanziarie che avevano determinato la cessione della commessa alla (OMISSIS); c) il venir meno delle condizioni per l’utilizzazione da parte della società (OMISSIS) del personale italiano. Tutte queste ragioni giustificavano il recesso dal rapporto di lavoro che non si connotava di discriminatorietà nè tanto meno poteva essere qualificato come ritorsivo. Infine il Tribunale ha escluso che vi fosse un obbligo di repechage in un caso come quello del lavoratore opponente che rivestiva una qualifica dirigenziale.

2. Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso l’ing. F.M. articolando tre motivi ai quali resiste con controricorso la Impresa s.p.a. in amministrazione straordinaria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente, con riguardo al mancato riconoscimento delle differenze retributive, della 13A mensilità e del TFR, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c..

3.1. Sostiene il ricorrente che in altra opposizione, decisa con decreto dello stesso Tribunale n. 3251 del 2016 pronunciato nel giudizio di opposizione r.g. 13987/2014 e passato in giudicato, riferita ad un diverso periodo dello stesso rapporto, si era statuito che la retribuzione netta annua dovuta era di Euro 90.000 comprensiva del premio di produttività di Euro 1000,00 mensili. Sottolinea il ricorrente che quel decreto era divenuto definitivo e che le statuizioni del decreto che viene qui impugnato sarebbero in contrasto con quanto in quella sede accertato sicchè, diversamente da quanto ritenuto dal giudice dell’opposizione, tutte le somme chieste sarebbero dovute.

4. La censura è generica e perciò inammissibile.

4.1. Ed infatti, pur volendo tralasciare una serie di imprecisioni che rendono difficoltosa la comprensione del motivo svolto (relativamente ai periodi retributivi oggetto dei diversi decreti), va evidenziato che la violazione dell’art. 2909 c.c. viene dedotta senza trascrivere le decisioni la cui autorità di giudicato sarebbe stata trascurata dal giudice di merito. Orbene nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno deve essere coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa o anche, come nel caso in esame, la riproduzione di brevi stralci (cfr. Cass. 27/01/2016 n. 1552, 11/02/2015 n. 2617 ed anche Cass. n. 17649 del 2012 e n. 13658 del 2012).

5. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce che il Tribunale ha ritenuto sussistente il giustificato motivo oggettivo e legittimo il licenziamento, incorrendo nella violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.. Osserva l’ingegner F. che in giudizio era risultato provato che la società (OMISSIS), per effetto di un accordo con la Impresa s.p.a., si era fatta carico di mantenere in servizio a sue spese l’ingegner F. nel cantiere per sei mesi. Al contrario era rimasta sfornita di prova la circostanza di fatto – risultante da un documento che però era stato specificatamente contestato dall’odierno ricorrente e comunque era di un mese successivo al licenziamento stesso – che la (OMISSIS) era rimasta inadempiente all’accordo.

6. Con il terzo motivo di ricorso, sempre con riguardo alla illegittimità del licenziamento, si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte trascurato di considerare che, come ammesso dalla stessa società convenuta, la posizione lavorativa del F. non era stata soppressa atteso che le sue mansioni erano state affidate ad un consulente esterno risultandone così confermata l’inesistenza dei motivi organizzativi che avevano portato al licenziamento. Insiste perciò nel rivendicare il suo diritto all’indennità prevista dal contratto pari a cinque mensilità e mezza ed Euro 38.500,00.

7. Le censure, che attengono sotto diversi aspetti alla legittimità del licenziamento intimato al dirigente, non possono essere accolte.

7.1. La prima in quanto pur denunciando una violazione di legge sollecita una diversa ricostruzione dei tutti fatti già esaminati dal Tribunale senza incorrere nelle violazioni denunciate. Va qui ribadito che non può porsi una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. laddove si alleghi una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorchè si deduca che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero abbia preteso la prova su circostanze di fatto specificatamente allegate e non contestate (arg. ex Cass. n. 27000 del 2016 e n. 1229 del 2019). L’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare rientra nella valutazione propria ed esclusiva del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità a meno che non si risolva, e non è questo il caso in esame, in un errore di percezione di un fatto, oggetto di discussione tra le parti, che è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 115 medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (cfr. Cass. 24/10/2018 n. 27033 e 12/04/2017n. 9356). Il giudice dell’opposizione non è incorso in alcuna inversione degli oneri probatori avendo fondato il convincimento della legittimità del recesso su allegazioni e prove ritualmente offerte in giudizio dalla società opposta. Peraltro il ricorrente trascura di riprodurre sia il contenuto del documento ritenuto rilevante dal Tribunale per dimostrare il recesso dall’accordo sia le specifiche contestazioni mosse allo stesso con la conseguenza che il Collegio non è in condizione di verificare ed apprezzare se effettivamente tale contestazione era specifica e dettagliata così da richiedere un’ulteriore prova alla società.

7.2. Quanto al denunciato omesso esame di un fatto decisivo (l’affidamento ad altri delle mansioni già assegnate al F.) è appena il caso di osservare che il Tribunale ha espressamente preso in esame tale circostanza per valutarla e dedurne l’infondatezza delle censure.

8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico del soccombente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre a spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

 

 

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