Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22228 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. un., 03/11/2016, (ud. 27/09/2016, dep. 03/11/2016), n.22228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente aggiunto –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente di sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Presidente di sez. –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21326-2014 proposto da:

S.D.G.M., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DI SAN BASILIO 61, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO

PICOZZA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLO MARIA

FRACANZANI, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

e contro

PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE DEI

CONTI PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 509/2014/A della CORTE DEI CONTI – I SEZIONE

GIURISDIZIONALE CENTRALE DI APPELLO – ROMA, depositata il

01/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Presidente Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato Marello Maria FRACANZANI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo,

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il presente giudizio trae origine dall’affidamento di un incarico dirigenziale extra dotazione organica, a tempo determinato, all’avvocato Z.M., da parte della Provincia di Udine, D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 110, comma 2.

Assumendo che il conferimento dell’ufficio fosse illegittimo, sotto diversi profili, arbitrario e causativo di danno erariale, la Procura regionale presso la sezione giurisdizionale del Friuli Venezia Giulia della Corte dei conti agì in giudizio nei confronti, tra gli altri, di S.M., Presidente dell’Ente, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti all’illecito amministrativo contabile perpetrato.

L’illegittimità, secondo la prospettazione accusatoria, era integrata sia dalla violazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, commi 198 e 204, (finanziaria per l’anno 2006), che poneva un tetto alle spese per il personale, ivi compreso, come chiarito dalla circolare n. 9 del 17 febbraio 2006 del MEF, quello destinatario di incarichi conferiti dagli enti locali, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 110, commi 1 e 2; sia dalla violazione dei principi generali dettati dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, commi 6 e 6 bis, art. 19, comma 6, e art. 28 (tutti applicabili agli enti locali, in forza del rinvio dinamico operato dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 88), quanto ai requisiti di particolare e comprovata esperienza professionale, neppure scrutinati, nella fattispecie, attraverso una qualsivoglia, anche informale, procedura selettiva.

In accoglimento della domanda, il giudice di prime cure condannò lo S. al pagamento, in favore della Provincia, della somma di Euro 42.621,56, oltre svalutazione e interessi.

Con la sentenza ora impugnata, depositata in data 1 aprile 2014, la prima sezione giurisdizionale centrale di appello della Corte dei conti, ha respinto il gravame del soccombente.

Avverso detta decisione S.M. ha proposto ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione, illustrato anche da memoria, ex artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c., comma 1, denunciando il difetto assoluto di giurisdizione del giudice contabile.

Il Procuratore generale presso la Corte dei conti di Roma ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Con il primo motivo l’esponente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 1, difetto di giurisdizione della Corte dei conti.

Ricordato preliminarmente che, a norma della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1 la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione del giudice contabile è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, e che l’art. 110, comma 2 TUEL, con riferimento agli enti in cui è prevista la dirigenza, espressamente rinvia al regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi per la determinazione dei limiti e delle modalità con i quali possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazione, sostiene che, in base all’art. 34 dello Statuto della Provincia di Udine nonchè agli artt. 33 e 34 del Regolamento sull’ordinamento degli uffici della Provincia, egli, in quanto Presidente dell’Ente, aveva il potere, non scrutinabile dal giudice, di selezionare fiduciariamente i collaboratori in staff per l’espletamento del mandato elettivo. In tale contesto il sindacato del giudice contabile sarebbe inammissibile, sia con riguardo al merito della selezione, sia con riguardo alla legittimità delle norme statutarie e regolamentari che ammettono la possibilità di scelta del personale dirigente, non potendo la Corte dei conti sostituire la propria valutazione di merito a quella dell’amministratore, nè rilevare tout court l’illegittimità o l’incostituzionalità della regolamentazione adottata dall’ente territoriale. Invero, accertata la congruità dell’iniziativa intrapresa con i fini dello stesso, la valutazione in dettaglio dei mezzi esulerebbe dalla competenza del giudice.

1.2 Con il secondo mezzo sostiene il ricorrente l’insuscettibilità della norma finanziaria di limitare la discrezionalità politica. I vincoli di bilancio argomenta – non possono costituire una surrettizia limitazione delle prerogative organizzative della Provincia. Evidenzia all’uopo che la normazione secondaria è esplicazione di un’autonomia garantita dalle leggi statali – segnatamente dal D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 91, 107 e 110 nonchè dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6, comma 3, – le quali, a loro volta, attuano il dettato dell’art. 114 Cost. e art. 117 Cost., comma 2, lett. p) e comma 4. Ne deriverebbe l’incostituzionalità di qualsivoglia limitazione di siffatte prerogative e quindi anche della L. n. 266 del 2005, nella parte in cui sarebbe volta a perimetrare in maniera cogente la discrezionalità politica dei vertici della provincia, nell’organizzazione degli uffici.

2.3 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia erronea valutazione del rapporto onorario sotto il profilo che l’esistenza dello stesso non sarebbe ragione sufficiente per giustificare il sindacato contabile sulle scelte dell’organo di vertice, stante, tra l’altro, l’incerta gerarchia esistente tra norme finanziarie e autonomia degli enti locali, disciplinata da disposizioni di oscura interpretazione.

Evidenziato che proprio gli apparati amministrativi, a fronte dei numerosi rimaneggiamenti normativi in materia ambientale e dell’evidente contrasto tra la L. n. 266 del 2005 – i cui art. 1, comma 198, e art. 204 sembravano imporre rigidi vincoli di riduzione di spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni, e i regolamenti e lo Statuto della Provincia di Udine che consentivano l’assunzione di personale in staff in via fiduciaria, senza vincoli di bilancio, purchè il numero complessivo di tali dirigenti fosse inferiore al 5% della pianta organica complessiva – avevano prefigurato quale soluzione alla pregiudizievole impasse, lo scorporo dell’Area Ambiente, con conseguente individuazione di una figura specializzata extra pianta organica da preporre alla direzione del servizio, salvo poi a rendere parere sfavorevole a un’operazione da essi stessi proposta, rileva il deducente che andava semmai sanzionato il comportamento di siffatto personale, che aveva prima ipotizzato, e poi eseguito un atto di cattiva gestione amministrativa, per di più omettendo di denunciare all’autorità competente l’irregolarità.

2.4 Con il quarto mezzo l’impugnante, in via subordinata, prospetta la carenza di giurisdizione del giudice contabile perchè, anche ammesso che il Presidente della Provincia avesse dato corso alla spendita di somme di cui non aveva la disponibilità, il relativo atto dispositivo, in quanto privo di titolo giustificativo e in contrasto con norme cogenti, poteva essere sanzionato solamente dal giudice ordinario, integrando in sostanza un illecito aquiliano. Ne deriverebbe che la sentenza impugnata aveva, contro tutti i principi, sostenuto che la giurisdizione contabile sussisteva anche a fronte di un atto usurpativo sine titulo, e cioè di un atto adottato in assoluta carenza di potere.

2.5 Con il quinto motivo il ricorrente si duole che, nella fattispecie, l’elemento soggettivo del preteso illecito contabile sia stato desunto tout court, senza motivazione alcuna, dalla sussistenza di pretesi pareri contrari degli uffici tecnici, e cioè dal fatto che il politico non aveva avallato l’opinione del dirigente.

3. Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono prive di pregio.

Esse sono volte a far valere – attraverso la predicata potestà del Presidente della Provincia di selezionare fiduciariamente, per l’espletamento del suo mandato, i collaboratori in staff, nell’esercizio di una discrezionalità asseritamente impermeabile a qualsivoglia scrutinio esterno e alla stessa operatività delle norme della legge finanziaria – il difetto assoluto di giurisdizione del giudice contabile nella forma dell’eccesso di potere giurisdizionale, per avere l’organo giudicante invaso la sfera di competenze riservate in via esclusiva all’amministrazione.

4. Ora, secondo la consolidata giurisprudenza di queste sezioni unite, le decisioni del giudice amministrativo sono viziate per eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione, nel solo caso in cui detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, riservata alla pubblica amministrazione, compia una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e della convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, così esercitando una giurisdizione che esorbiti, di fatto, dall’area della pura legittimità: è invero indiscutibile che la mera non condivisione di valutazioni discrezionali operate dall’organo gestorio configuri un indebito sconfinamento della giurisdizione di legittimità nella sfera allo stesso riservata (cfr. Cass. civ. sez. un., nn. 23302 del 2011, 2312 e 21111 del 2012).

5. Con specifico riferimento al sindacato del giudice contabile, si è peraltro precisato che la Corte dei conti può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico perchè, se l’esercizio in concreto del potere discrezionale dei pubblici amministratori costituisce espressione di una sfera di autonomia che il legislatore ha inteso salvaguardare, l’espletamento dell’attività amministrativa deve comunque ispirarsi a criteri di economicità e di efficienza, che, costituendo specificazione del più generale principio sancito dall’art.97 Cost., assumono rilevanza sul piano della legittimità – e non della mera opportunità dell’azione amministrativa (cfr. Cass. civ. sez. un. 29 settembre 2003, n. 1448). In tale prospettiva è stato pertanto affermato che siffatto controllo non esorbita dal piano della legittimità quando va a indagare se gli strumenti utilizzati dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei ai fini di interesse pubblico da perseguire, alla stregua di una valutazione che necessariamente involge il rapporto tra obiettivi conseguiti e costi sostenuti (cfr. Cass. civ. sez. un. 7 novembre 2013, n. 25037; Cass., sez. un., nn. 831 e 20728 del 2012, 4283 e 12102 del 2013).

6. Questi essendo i criteri che governano l’area della giurisdizione del giudice contabile, deve escludersi che nella fattispecie i relativi limiti siano stati superati.

Occorre all’uopo muovere dalla considerazione che l’illecito individuato dalla Procura venne realizzato attraverso due delibere: con una, la n. 255 del settembre 2006, venne deciso l’affidamento della Direzione d’Area Ambiente ad apposita figura dirigenziale in dotazione organica, con rapporto a tempo determinato ex art. 33 del Regolamento uffici e servizi; con la seconda, la Delib. n. 319 dell’ottobre successivo, vennero scorporati dalla predetta Area i Servizi relativi alle Risorse Ambientali, Idriche e Amministrative, contestualmente prevedendosi l’affidamento della relativa posizione dirigenziale, D.Lgs. n. 267 del 2000, ex artt. 110, comma 2, e art. 34 del Regolamento, a un incaricato extra dotazione organica, poscia individuato nello Z..

7. Ciò posto, ha ritenuto il decidente che la scelta operata dallo S., certamente non giustificata dall’allegato affaticamento della struttura burocratica della Provincia, neppure poteva ritenersi espressione di una discrezionalità libera nei fini e solo latamente vincolata dal legislatore. E invero il Presidente dell’Ente, facendo ricorso alla facoltà riconosciutagli dal T.U. n. 265 del 2000, art. 110, commi 2, – che demandava alla fonte regolamentare la determinazione dei limiti, dei criteri e delle modalità da osservarsi nella stipula, al di fuori della dotazione organica, di contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire – ma contestualmente ignorando sia i vincoli imposti dalla L. n. 266 del 2005 (finanziaria del 2006), la quale aveva introdotto un tetto di spesa per il personale, valevole anche per gli enti locali e, nell’ambito degli stessi, per i corrispettivi versati a fronte di incarichi conferiti ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 110, commi 1 e 2, come chiarito dalla circolare del Ministero dell’economia n. 9 del 2006; sia la circostanza che, in punto di fatto, i compensi corrisposti allo Z. avevano determinato lo sforamento del tetto massimo di spesa consentito ai fini del mantenimento dell’equilibrio di bilancio; sia, infine, le prescrizioni del comma 6 della medesima fonte, che, per la realizzazione di obiettivi determinati, esigeva che le collaborazioni esterne avessero un alto contenuto di professionalità, aveva instaurato, in assenza di qualsivoglia procedura selettiva, un rapporto intuitu personae, con un professionista che aveva presentato il proprio curriculum solo il giorno precedente e che era in ogni caso privo di particolari qualifiche in materia ambientale. Ha aggiunto la Corte che certamente sussisteva l’elemento soggettivo dell’illecito, costituito dalla colpa grave, posto che le direzioni del personale e del servizio finanziario nonchè il segretario generale si erano espressi contro l’iniziativa e che dunque l’istruttoria interna aveva dato esiti negativi.

8. A fronte di siffatto impianto motivazionale, i rilievi critici svolti in ricorso e segnatamente nel primo, nel secondo e nel quarto mezzo – si rivelano privi di consistenza, a sol considerare che la pretesa dell’impugnante dell’insindacabilità della sua scelta, in quanto esercitata con riferimento a una nomina assolutamente fiduciaria, non ha alcuna base normativa e neppure è congruente con la tipologia dell’incarico del quale lo Z. è stato officiato. Ne deriva che la verifica della compatibilità dello scrutinato atto di nomina con le norme della legge finanziaria e con quelle che regolano i criteri di scelta del personale non integra affatto una forma di sindacato sulla discrezionalità e sul merito dell’azione amministrativa, attenendo piuttosto alla sfera della pura legittimità.

9. In tale contesto costituisce nulla più che una suggestiva provocazione la tesi del carattere usurpativo dell’atto e della sua conseguente esorbitanza dall’area di controllo del giudice contabile. La responsabilità dello S. è stata invero affermata con riferimento a un provvedimento posto in essere dallo stesso nell’esercizio delle sue funzioni, incidente nella sfera erariale dell’Ente, come tale soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti.

Ne deriva che allorchè questa è andata a verificarne la compatibilità con le norme della legge finanziaria e con i criteri che devono presiedere alla scelta dei dirigenti e dei collaboratori esterni non ha affatto sconfinato dall’ambito dei suoi poteri giurisdizionali.

10. Tali rilievi, che disvelano l’insussistenza del denunciato eccesso di potere giurisdizionale, consentono di risolvere agevolmente anche le critiche svolte negli altri mezzi.

Esse, appuntandosi sulla mancata considerazione della condotta pretesamente ambigua degli uffici burocratici e sulla conseguente impossibilità di qualificare in termini di colpa grave l’elemento psicologico della condotta dello S., attaccano profili della valutazione del giudice contabile che – giusti o sbagliati che siano – non hanno alcuna attinenza con i limiti della sua giurisdizione, concretizzando al più pretesi errores in iudicando della scelta decisoria adottata.

E’ il caso di aggiungere, per puro spirito di completezza, che il profilo soggettivo dell’illecito contabile è stato comunque oggetto di specifica considerazione, da parte del decidente, di talchè la sentenza impugnata si sottrae alla denuncia di denegata giustizia segnatamente svolta nel quinto mezzo.

10. In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

Non si deve provvedere sulle spese, considerata la natura di parte soltanto in senso formale del controricorrente Procuratore Generale rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti.

La circostanza che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte a sezioni unite rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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