Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22227 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/10/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 14/10/2020), n.22227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23903-2016 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO, 92, presso lo studio dell’avvocato SERGIO TALINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FLAVIO CHIUSSI;

– ricorrente –

contro

COOPSERVICE SOCIETA’ COOPERATIVA PER AZIONI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 357, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DI SIMONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO CILIEGI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 325/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 11/04/2016 r.g.n. 37/2015.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza resa in data 11.4.2016, la Corte d’appello di Bologna respingeva il gravame proposto da M.G. avverso la decisione del Tribunale felsineo che aveva rigettato il ricorso proposto dal predetto – guardia particolare giurata con inquadramento dal luglio 2006 nel IV livello super del ccnl per i dipendenti degli Istituti di Vigilanza Privata e, dal giugno 2010, adibito al servizio di piantonamento presso l’ambulatorio (OMISSIS) inteso ad ottenere dalla datrice di lavoro, Coopservice Società cooperativa p.a., previo accertamento della illecita e/o illegittima dequalificazione, la reintegra nelle precedenti mansioni ed il risarcimento del danno professionale subito;

2. la Corte rilevava che esulavano dall’oggetto del giudizio la legittimità del provvedimento disciplinare adottato dal datore di lavoro e la prospettata ritorsione e/o violazione della L. n. 300 del 1970, art. 15;

3. quanto alla ritenuta mancanza di equivalenza delle mansioni svolte, sul rilievo che il servizio di piantonamento presso l’ambulatorio (OMISSIS) era un servizio del tutto statico, svolto senza l’ausilio di alcun mezzo tecnologico, diversamente dai compiti prima disimpegnati presso l’Ospedale di (OMISSIS) dal gennaio 2004 al 15.4.2007 e trasporto valori dal 24.4.2007 al giugno 2010, richiedenti una serie di attività complesse e ad alta responsabilità – in ciò, secondo il M., evidenziandosi il discrimine tra il IV ed il IV livello super – la Corte distrettuale affermava che il rilievo dell’appellante era corretto, ma che, tuttavia, la domanda non era meritevole di accoglimento;

4. il giudice del gravame rilevava come il ricorrente avesse omesso di spiegare il motivo per il quale il servizio di vigilanza espletato presso l’ambulatorio (OMISSIS) doveva essere considerato non equivalente a quello del trasporto valori, attività entrambe demandate alla guardia giurata particolare di cui alla declaratoria del IV livello;

5. in particolare, per il periodo di lavoro espletato presso l’Ospedale (OMISSIS), che non era l’ultimo svolto, dall’istruttoria era emerso che il predetto operatore era stato impiegato per la maggior parte dell’attività resa al servizio di pattuglia esterna lungo i padiglioni dell’ospedale che, a differenza di quello di portineria, non richiedeva l’utilizzo di apparecchiature e di monitor per il controllo a distanza;

6. di tale decisione domanda la cassazione il M., affidando l’impugnazione a tre motivi, illustrati nella memoria di cui all’art. 380 1 bis c.p.c., cui resiste, con controricorso, la società.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, il M. denunzia violazione e, quanto meno, falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e/o del contratto collettivo nazionale per i dipendenti da istituti di vigilanza privata (art. 31), assumendo che le mansioni svolte presso l’ambulatorio (OMISSIS) erano state deteriori rispetto al suo livello di inquadramento, che nella specie l’assegnazione a mansioni inferiori era stata illecitamente utilizzata per non consentiti fini disciplinari e sanzionatori e che lo ius variandi poteva essere esercitato solo nella cd. mobilità orizzontale, ovvero nell’assegnazione a mansioni alle precedenti equivalenti, occorrendo valutare l’omogeneità tra le stesse sulla base della equivalenza tra competenza richiesta e utilizzo del patrimonio professionale; sostiene che non sia sufficiente verificare che le nuove mansioni siano comprese nello stesso livello contrattuale, ma che sia necessario accertare l’equivalenza in concreto tra le precedenti e nuove mansioni; che era sufficiente leggere le declaratorie contrattuali per rendersi conto della non equivalenza tra le mansioni suddette;

1.1. il ricorrente richiama i contenuti di un diritto soggettivo del lavoratore alle mansioni, tutelato da norme costituzionali (artt. 4 e 35 Cost.) e da norme di legge (art. 2103 c.c.), osservando come, in caso di demansionamento, il pregiudizio consista non solo nella perdita della qualificazione professionale, ma nella violazione del diritto costituzionale alla dignità e personalità del lavoratore;

1.2. precisa come la postazione presso l’ambulatorio (OMISSIS) sia connotata dall’assenza di utilizzo di mezzi tecnologici e che ciò non abbia consentito alcun accrescimento della professionalità acquisita, osservando che la dequalificazione del sindacalista può costituire comportamento discriminatorio ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 15 e che tale aspetto non sia stato preso in considerazione dalla sentenza impugnata;

1.3. aggiunge che il servizio di trasporto valori svolto, anche se non espressamente disciplinato dal CCNL, richiedeva particolari competenze e professionalità adeguate e di alto livello, compendiate nella descrizione di cui alla circolare del Ministero dell’Interno Prot 557/PAS.15442.10089 del 7.1.2005, contenente direttive relative al possesso di qualità attitudinali compatibili con la particolare difficoltà dei servizi ed un’efficace attività addestrativa;

1.4. assume di avere fornito idonea ed ampia documentazione a supporto delle deduzioni, nonchè la prova del danno patrimoniale subito anche in relazione alla minore entità delle retribuzioni da ultimo percepite, inferiori alle precedenti di almeno 200,00 Euro, come rilevabile dai CUD, ciò che giustificava la sua pretesa sia alla riassegnazione alle precedenti mansioni, sia al risarcimento del danno; rimarca come il CCNL della Vigilanza non riporta alcuna specifica descrizione delle mansioni connesse a ciascun livello, ma si limita ad una generica elencazione dei ruoli, sicchè sarebbe stato necessario esaminare il contenuto delle diverse mansioni svolte;

1.5. insiste sulla finalità punitiva della dequalificazione e trascrive nel corpo del ricorso le dichiarazioni di testi escussi, osservando ulteriormente che il servizio presso l’ambulatorio (OMISSIS) abbia reso impossibile la prestazione di lavoro straordinario precludendogli il conseguimento di una più dignitosa retribuzione; aggiunge che il giudice di merito doveva procedere all’accertamento del carattere dequalificante delle mansioni anche d’ufficio;

1.6. conclude l’esposizione del motivo evidenziando che è sul livello IV super di inquadramento che doveva svolgersi il raffronto tra mansioni, tenendosi conto del fatto che le mansioni di trasporto valori erano state ampiamente descritte e documentate nel ricorso di primo grado e che, pur non essendo il relativo servizio espressamente disciplinato nel CCNL, era stato oggetto della citata circolare del 7.1.2005 del Ministero dell’Interno;

2. con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 nonchè omessa motivazione su un fatto e/o un punto decisivo della controversia, rilevando come l’assegnazione a servizi di vigilanza abbia avuto finalità di carattere disciplinare, per stessa ammissione della controparte, e che la retrocessione disciplinare era illegittima, posto che dovevano considerarsi pretestuosi i riferimenti della società a ragioni caratteriali del lavoratore ovvero alla sua inadeguatezza ai servizi di squadra;

3. il terzo motivo ascrive alla decisione impugnata omessa motivazione su un fatto e/o un punto decisivo della controversia, contestando il M. anche con questo motivo in modo sovrapposto sia il profilo dell’utilizzo del demansionamento a scopo punitivo, sia l’omessa pronuncia con riguardo alla dedotta omissione del procedimento logico articolato in tre fasi in tema di dedotto demansionamento;

4. va, in primo luogo, evidenziato l’omesso deposito del c.c.n.l. di riferimento, di cui, peraltro, non è indicata neanche la sede idonea al suo eventuale reperimento nell’ambito delle produzioni delle parti relative ai gradi di giudizio di merito; analogamente è omessa la trascrizione delle relative declaratorie (indicate, quanto al livello IV super con un riferimento affatto generico al suo contenuto in termini di previsione di impiego durante il servizio di apparecchiature tecnologicamente avanzate), nonchè della richiamata circolare del Ministero dell’Interno;

4.1. l’onere gravante sul ricorrente, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di depositare, a pena di improcedibilità, copia dei contratti o degli accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, può essere adempiuto, in base al principio di strumentalità delle forme processuali – nel rispetto del principio di cui all’art. 111 Cost., letto in coerenza con l’art. 6 CEDU, in funzione dello scopo di conseguire una decisione di merito in tempi ragionevoli – anche mediante la riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze, purchè il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio e, nell’elenco degli atti depositati, posto in calce al ricorso, vi sia la richiesta, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, di trasmissione del fascicolo d’ufficio che lo contiene, risultando forniti in tal modo alla S.C. tutti gli elementi per verificare l’esattezza dell’interpretazione offerta dal giudice di merito;

4.2. nella specie i suddetti oneri non risultano essere stati adempiuti e ciò anche con riferimento alla citata circolare;

4.3. le ulteriori deduzioni relative al carattere discriminatorio e punitivo della dedotta dequalificazione sono state espressamente considerate estranee dalla Corte al thema decidendum, non essendovi stata impugnazione sul punto da parte del lavoratore nel ricorso in appello, così come ogni altro profilo attinente allo straordinario, asseritamente precluso nella sua prestazione, alla ridotta retribuzione, e le deposizioni dei testi attengono anche esse a profili estranei all’ambito del devolutum in appello, dovendo semmai il ricorrente contestare quanto affermato dalla Corte distrettuale circa la ritenuta estraneità della dedotta discriminazione all’ambito del giudizio;

5. in relazione al secondo motivo, come per il precedente, si contesta nella sostanza il merito della decisione e delle valutazioni espresse dal giudice del gravame quanto all’individuazione dell’attività in concreto svolta dal M.: in particolare, oltre al carattere di novità delle questioni poste, in base ad osservazioni già svolte con riferimento al motivo che precede, il motivo, composito, è inammissibilmente confezionato, simultaneamente volto a denunciare violazione di legge e vizio di motivazione, avuto riguardo al principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. 23 giugno 2017, n. 15651; Cass. 28 settembre 2016, n. 19133; Cass. 23 settembre 2011, n. 19443 e, da ultimo Cass. 23.10.2018 n. 26874, nei termini riportati);

5.1. peraltro, come affermato altresì da Cass. 4.4.2013 n. 8315, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione; vizio di motivazione tuttavia nella specie, come visto insussistente, avuto altresì riguardo ai rigorosi limiti in cui lo stesso possa rilevare in base al vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nei sensi di cui alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439);

5.2. non va mancato di rilevare che, con riguardo al denunciato vizio della sentenza di omissione di valutazione da parte della Corte distrettuale, il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere le affermazioni e deduzioni detratto di appello per evidenziare la dedotta omissione da parte del giudice del gravame;

6. infine, anche con riguardo al terzo motivo, non si specifica in che termini si sia realizzata la dedotta omissione di motivazione, secondo il nuovo paradigma deduttivo devolutivo del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, senza considerare la sussistenza dei presupposti del divieto di censura ai sensi della citata norma in ipotesi di doppia conforme, come nella fattispecie;

7. alla stregua di tali considerazioni deve pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso;

8. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;

9. essendo stato il ricorso proposto in epoca posteriore al 30 gennaio 2013, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 17 i presupposti che ricorrono anche in ipotesi di declaratoria di inammissibilità del ricorso (cfr. Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

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