Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22226 del 04/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/08/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 04/08/2021), n.22226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 812-2020 proposto da:

C.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO

58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati AMEDEO DE TOMA, GIOVANNI PAOLO

BUSINELLO;

– ricorrente –

contro

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI

SETTEMBRINI 30, presso lo studio dell’avvocato LORETO ANTONELLO

CHIOLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GABRIELE CIANCI;

– controricorrente –

e contro

P.S., P.V., S.S.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 312/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 20/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA

GIANNACCARI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il giudizio trae origine dalla domanda di prelazione, proposta innanzi al Tribunale di Udine da P.L., P.S. e P.V. nei confronti di S.S. e C.S.;

– gli attori sostenevano di essere coltivatori diretti e proprietari del fondo confinante con quello appartenente a S.S., che lo aveva venduto alla C.; nel dedurre che l’acquirente non era coltivatrice diretta, chiesero di esercitare la prelazione agraria ai sensi della L. n. 817 del 1971, art. 7, e della L. n. 590 del 1965, art. 8;

– la sentenza della Corte d’appello, riformando la sentenza di primo grado, rigettò la domanda degli attori per assenza dei requisiti richiesti per esercitare il riscatto, in quanto P.L. e P.S. erano nudi proprietari e P.V. era usufruttuaria;

– nell’annullare la sentenza d’appello, questa Corte, con sentenza del 10/11/2016, n. 22887, affermò che l’esercizio del diritto di prelazione agraria potesse essere consentito anche al nudo proprietario del fondo confinante con quello posto in vendita, essendo egli pur sempre titolare di un diritto di proprietà, seppure temporaneamente compresso dall’esistenza dell’altrui diritto reale sul medesimo bene, a condizione che coltivi legittimamente e direttamente il terreno da almeno due anni, in base ad un titolo legittimo; il titolo, secondo la decisione del giudice di legittimità, doveva accertarsi in concreto e poteva sussistere laddove l’usufruttuario avesse consentito la coltivazione del fondo, da valutare in concorso con gli altri requisiti legali richiesti per l’operatività della prelazione e del riscatto;

– la Corte d’appello di Trieste, in sede di rinvio, con sentenza del 20.5.2019, accertò che P.L. era in possesso dei requisiti per esercitare la prelazione agraria ai sensi della L. n. 817 del 1971, art. 7, e della L. n. 590 del 1965, art. 8, e che aveva validamente esercitato il riscatto agrario; conseguentemente la corte di merito lo dichiarò proprietario del terreno in luogo di C.N.;

– la corte distrettuale trasse detto convincimento dall’esito della prova testimoniale, dalla visura camerale attestante lo svolgimento da parte di P.L. dell’attività agricola, dalla sua iscrizione nell’elenco dei nominativi dei coltivatori diretti, dall’iscrizione all’albo degli imprenditori agricoli e dalle dichiarazioni dei redditi;

– ha proposto ricorso per cassazione C.N. sulla base di un unico motivo;

– ha resistito con controricorso F.L.;

– S.S., P.S. e P.V. sono rimasti intimati.

Diritto

RITENUTO

che:

– con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 394 c.p.c. e 112, per avere la corte di merito omesso di pronunciarsi sul titolo legittimo che abilitava il P. a coltivare il fondo oggetto del riscatto;

– il motivo è infondato;

– questa Corte, con sentenza N. 22887/2016, nell’annullare la sentenza della Corte d’appello N. 480/2013, ha affermato che la funzione pacificamente riconosciuta all’istituto della prelazione agraria è quella di favorire la “creazione di imprese agricole moderne ed efficienti con conseguente incremento della produttività agricola” (Cass. n. 7768 del 2003), e ciò mediante l’accorpamento e l’espansione dei terreni coltivati dalla medesima impresa e l’unificazione nella stessa persona della titolarità dell’impresa agraria e della proprietà del fondo destinato all’attività imprenditoriale (Cass. n. 7185 del 2003; cfr. anche Cass. n. 7635 del 2002 e Cass. n. 10338 del 1991), in coerenza con i principi espressi dagli artt. 44 e 47 Cost.;

– tale favor giustifica le limitazioni determinate dal diritto di prelazione che, senza sacrificare la possibilità di circolazione dei beni e senza pregiudicare il diritto dell’alienante a percepire il corrispettivo di mercato del fondo, riducono la facoltà di scelta dell’acquirente, in favore dei soggetti che già sono insediati nel fondo (nei casi previsti dalla L. n. 590 del 1965, art. 8), o che abbiano la concreta possibilità di espandere in essi l’impresa già esercitata sui fondi confinanti (nel caso previsto dalla L. n. 817 del 1971, art. 7, comma 2, n. 2);

– tale ratio è anche alla base del ruolo decisivo che, nella disciplina dell’istituto, riveste il requisito della coltivazione diretta del fondo da parte di chi esercita la prelazione;

– al riguardo, i più recenti arresti di legittimità (cfr. Cass. n. 2092/2013) hanno peraltro precisato che, ai fini dell’esercizio della prelazione del confinante, non è richiesta una disponibilità del bene qualificata (“vestita”) dalla preesistenza di un rapporto agrario, essendo sufficiente che il possesso e la coltivazione del fondo non siano contra ius (in tal modo superando l’orientamento -cfr., per tutte, Cass. n. 4105/1990 – che richiedeva, ai fini della prelazione di cui alla L. n. 817 del 1971, art. 7, che la durata biennale della coltivazione del fondo fosse originata da uno dei rapporti agrari previsti dalla L. n. 590 del 1965, art. 8);

– il giudice del rinvio era quindi tenuto ad accertare in concreto, quanto ai nudi proprietari, se sussisteva o meno per essi il requisito della coltivazione diretta del fondo svolta in base ad un titolo legittimo, requisito che, secondo il giudice di legittimità, “può sussistere laddove l’usufruttuario abbia consentito la coltivazione e che ove accertato – costituisce requisito (in concorso con gli altri requisiti legali) per l’operatività della prelazione e l’esercizio del riscatto”;

– al giudice del rinvio non era richiesto di verificare l’esistenza di un titolo contrattuale, essendo sufficiente che il nudo proprietario coltivasse il fondo “legittimamente”, il che può intendersi anche in termini del tutto generici, come coltivazione avvenuta non invito domino, cioè per tolleranza, senza necessità di un esplicito contratto di comodato o affitto.

– la circostanza che la coltivazione esercitata dal nudo proprietario si basasse su un “titolo legittimo”, per tale intendendosi il fatto che l’usufruttuaria avesse “consentito la coltivazione”, forma oggetto di un accertamento di fatto contenuto della sentenza cassata e mai messo in discussione nel giudizio di rinvio;

– la sentenza impugnata ha quindi dato conto del titolo legittimo che, unitamente ad altri elementi, dettagliatamente esaminati, ha portato a ritenere che P.L. avesse i requisiti prescritti dalla legge per esercitare il riscatto;

– il ricorso va pertanto rigettato;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5000,00 oltre Iva e cap come per legge oltre ad Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2 della Suprema Corte di cassazione, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021

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