Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22226 del 03/11/5201

Cassazione civile sez. un., 03/11/2016, (ud. 21/06/2016, dep. 03/11/2016), n.22226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10773-2014 proposto da:

CONSORZIO GENERALE DI IRRIGAZIONE DELLA TERZA SPONDA (Consorzio

Generale di 2^ grado tra i Consorzi di Miglioramento Fondiario di

Cagnò, Revò, Romallo e Cloz), in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARBERINI 29, presso

lo studio dell’avvocato MANFREDI BETTONI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FRANCO MELLAIA, per delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 39, presso lo

studio dell’avvocato ADRIANO GIUFFRE’, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCO MASTRAGOSTINO, per delega in calce al

controricorso;

COMUNE DI RUMO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 32, presso lo studio dell’avvocato

MARCELLO CLARICH, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LUDOVICO MARCO BENVENUTI, per delega in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

COMUNE DI LIVO, PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 27/2014 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 28/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

uditi gli avvocati Annapaola TOMASSETTI per delega dell’avvocato

Manfredi Bettoni, Francesca GIUFFRE’ per delega dell’avvocato

Adriano Giuffrè e Ludovico Marco BENVENUTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS PIERFELICE, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. Il Consorzio Generale di Irrigazione della Terza Sponda (quale Consorzio generale di 2^ grado tra i Consorzi di Miglioramento Fondiario di Cagnò, Revò, Romallo e Cloz) ha proposto ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione contro la Provincia Autonoma di Trento e nei confronti del Comune di Rumo, del Comune di Livo e della Provincia Autonoma di Bolzano, avverso la sentenza n. 27 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche del 28 gennaio 2014.

Con tale sentenza è stato rigettato il ricorso da esso ricorrente proposto ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 143 contro la Provincia trentina e nei confronti degli altri intimati per l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 91 del 1 giugno 2011, con la quale detta provincia aveva respinto la sua istanza intesa ad ottenere una concessione di derivazione d’acqua dal torrente (OMISSIS) per uso idroelettrico, nonchè, ove necessario, per l’annullamento del silenzio-inadempimento della provincia sulla parte della stessa istanza concernente la richiesta di una concessione di derivazione dal torrente Pescara.

p.2. Al ricorso, che prospetta tre motivi, hanno resistito con separati controricorsi la Provincia di Trento ed il Comune di Rumo, mentre non hanno svolto attività difensiva gli altri due intimati.

p.3. Le parti costituite hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, letteralmente, “violazione del principio iura novit Curia, segnatamente in riferimento alla norma di diritto positivo vigente ex R.D. n. 1775 del 1933, art. 7, comma 8 sulla reiezione in limine delle domande di concessione a derivare. Vizio di aliud pro alio della pronuncia giudiziale con violazione derivata del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c.”.

p.1.1. L’illustrazione del motivo esordisce con la riproduzione della seguente parte della motivazione della sentenza del TSAP: “Per quanto concerne l’omessa consultazione del Consiglio superiore dei ll.pp., cui si riferisce tuttora il R.D. n. 1775 del 1933, art. 7, comma 8, giova rammentare che quest’ultimo, come riordinato in forza del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 127, è oggidì regolato dal D.P.R. 27 aprile 2006, n. 204. L’art. 1 di tal decreto definisce il Consiglio superiore quale “… massimo organo tecnico consultivo dello Stato e svolge attività di consulenza facoltativa per le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e per gli altri enti pubblici competenti in materia di lavori pubblici che ne facciano richiesta… “. Il successivo art. 2, comma 1 ne elenca altresì le competenze, tra cui quella di chiusura indicata nella lett. c), in virtù della quale esso esprime sì parere” su ogni altra questione, ove sia previsto dalle norme vigenti…”, ma pur sempre nel rispetto del riparto di competenze tra lo Stato e le autonomie locali. Sicchè in materia di acque pubbliche la cui disciplina spetti, come nella specie, ad un soggetto ex art. 114 Cost., comma 1, diverso dallo Stato, il Consiglio superiore è investito della funzione consultiva non più in via automatica, ma solo su espressa richiesta del governo locale competente. E’ solo da soggiungere che, nel caso in esame, il progetto attoreo non è potuto giungere alla fase della valutazione definitiva, a causa della sua evidente tardività per la messa in concorrenza, onde, a tutto concedere, è superfluo pretendere l’intervento di qualunque organo consultivo sul contenuto e sul merito tecnico di esso”.

p.1.2. Di seguito alla riproduzione della parte di motivazione impugnata, si riproduce quello che si dichiara dedotto come “primo vizio-motivo articolato nel ricorso introduttivo avanti il TSAP”.

Dalla lettura di quanto riprodotto emerge che il qui ricorrente aveva lamentato che il rigetto della sua istanza, da parte della determina dirigenziale impugnata, fosse avvenuto senza il rispetto del R.D. n. 1775 del 1933, art. 7, comma 8.

Mancato rispetto prospettato nel senso che – dovendosi il riferimento al parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, da tale norma previsto per l’adozione del provvedimento di inammissibilità da parte del ministro, intendere sostituito in ambito di autonomia della Provincia di Trento e di quella di Bolzano da un riferimento ad un parere obbligatorio da emettersi da un “organo consultivo che svolga le medesime funzioni, nell’ambito dell’Autonomia differenziata, dell’Organo consultivo statuale – era mancato un parere emesso da un organo di tal genere.

In sostanza, la doglianza del Consorzio era stata che la determina dirigenziale fosse stata adottata senza il parere di un organo che, in ambito di autonomia speciale, si trovasse nella stessa posizione del suddetto Consiglio.

Peraltro, nel tenore del motivo, quell’organo non veniva individuato.

p.1.3. La prospettazione viene ripetuta in questa sede sempre senza individuare tale organo e senza lo svolgimento di alcun rilievo rispetto alla motivazione con cui il TSAP ha enunciato che, per quanto riguarda il provvedere di cui al citato R.D., art. 7, comma 8, in ambito proprio delle due province autonome, l’intervento del Consiglio Superiore dei ll.pp. con un parere potrebbe avvenire solo a richiesta della provincia autonoma.

Nessuna attività argomentativa è svolta per sostenere la tesi che il riferimento al detto consiglio nella norma indicata si dovrebbe intendere sostanzialmente sostituito da un riferimento ad un organo consultivo espletante le medesime funzioni in ambito di pertinenza della provincia autonoma.

Il motivo appare, dunque, carente di attività argomentativa in iure.

p.1.4. D’altro canto, se si volesse sopperire a tale carenza argomentativa, ricercando se esistano norme giuridiche che consentano di individuare, nel presupposto che sia corretta la tesi della sostituzione del riferimento al Consiglio Superiore dei ll.pp. con un riferimento ad un organo consultivo provinciale, l’eventuale normativa legislativa anche provinciale o della Regione Trentino-Alto Adige che dia sostanza alla sostituzione individuando detto organo (eventualmente verificando la prospettazione difensiva dei resistenti, che riferiscono il parere di cui all’art. 7, comma 8 alla Giunta Provinciale), si dovrebbe rilevare che non lo si potrebbe fare.

Infatti, il ricorrente, pur essendosi fatto formalmente carico della parte finale della riportata motivazione del TSAP (quella espressa con la seguente proposizione finale:) lo ha fatto adducendo del tutto assertoriamente che essa sarebbe “destituita di senso compiuto” e, quindi, sostenendo che la domanda di derivazione, in quanto colpita da reiezione in limine non poteva approdare “alla fase conclusiva ordinaria (dopo l’esperita istruttoria di rito ex R.D. n. 1775 del 1993, art. 8 e ss.) alla quale sola il TSAP, errando sul punto, ritiene pertinente il pronunciamento dell’Organo consultivo prima dell’adozione del provvedimento finale”.

p.1.5. In tal modo il ricorrente mostra di non aver compreso il senso della proposizione motivazionale del TSAP, che, dicendo “superfluo pretendere l’intervento di qualunque organo consultivo sul contenuto e sul merito tecnico di esso”, cioè del progetto, ha voluto dire che, nella specie, essendovi stato un rigetto dell’istanza per tardività della sua presentazione in relazione all’istanza concorrente, pur se si fosse accolta l’interpretazione dell’art. 7, comma 8 predicata dal Consorzio, la sua applicazione non veniva per quella ragione in rilievo.

In proposito, si rileva che la domanda del Consorzio era stata ritenuta tardiva, come si legge nell’esposizione del fatto contenuta nella sentenza impugnata “per violazione del termine ex R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 7, comma 9”, comunicata al Consorzio “con la nota prot. n. 245980 del 21 aprile 2011”.

Il TSAP ha, dunque, opinato come ratio decidendi aggiuntiva che, pur accolta l’esegesi proposta quanto al citato art. 7, comma 8, essa era irrilevante nella specie, in quanto il parere consultivo dell’ipotetico organo provinciale non riguarderebbe il provvedere di cui al comma 9, il quale, com’è noto, recita che “Le domande che riguardano derivazioni tecnicamente incompatibili con quelle previste da una o più domande anteriori, sono accettate e dichiarate concorrenti con queste, se presentate non oltre trenta giorni dall’avviso nella Gazzetta Ufficiale relativo alla prima delle domande pubblicate incompatibili con la nuova”.

Il ricorrente avrebbe dovuto, dunque, svolgere la sua impugnazione con riguardo anche a tale ratio decidendi, cioè argomentare come e perchè l’esegesi del comma 9 effettuata dal TSAP fosse errata.

p.1.6. Il motivo, risultando che la sentenza impugnata è imperniata su due concorrenti rationes decidendi, quella basata sulla lettura del comma 8, nel senso che, in ambito di provincia autonoma, si configuri il parere consultivo del Consiglio Superiore dei ll.pp. solo a richiesta della provincia, e quella di cui si è appena detto, appare inammissibile (in termini Cass. sez. un. n. 7931 del 2013; Cass. n. 14740 del 2005, secondo cui “Allorquando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su due diverse “rationes decidendi”, idonee entrambe a giustificarne autonomamente le statuizioni, la circostanza che l’impugnazione sia rivolta soltanto contro una di esse, e non attinga l’altra, determina una situazione nella quale il giudice dell’impugnazione (ove naturalmente non sussistano altre ragioni di rito ostative all’esame nel merito dell’impugnazione) deve prendere atto che la sentenza, in quanto fondata sulla “ratio decidendi” non criticata dall’impugnazione, è passata in cosa giudicata e desumere, pertanto, che l’impugnazione non è ammissibile per l’esistenza del giudicato, piuttosto che per carenza di interesse.”; Cass. sez. un. n. 16002 del 2005, secondo cui: “Nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato”).

p.1.7. Si deve, in fine, aggiungere che, riguardo alla questione della individuazione di un equivalente in ambito provinciale della funzione consultiva attribuita al Consiglio Superiore dei ll.pp., ancorchè il TSAP non lo abbia affermato, non è senza fondamento la difesa enunciata da entrambi i resistenti nel senso che in quell’ambito, conforme alle implicazioni dell’autonomia provinciale, quella funzione si può ritenere – ferma al facoltà di chiedere il parere del detto Consiglio, come ritenuto dal TSAP – passata alla Giunta Provinciale, che con la delibera n. 362 del 2012, siccome hanno dedotto i resistenti, si sarebbe espressa: sia la prospettazione difensiva sulla trasmigrazione alla Giunta della funzione consultiva sia l’essersi essa pronunciata sono deduzioni rimaste incontestate dal ricorrente.

p.2. Con un secondo motivo si denuncia “ex art. 360 c.p.c., n. 5: motivazione perplessa, incongrua ed illogica con assunzione di premesse di base fittizie ed artificiosa negazione financo dell’equiparazione fra i soggetti aspiranti all’utilizzo della risorsa idroelettrica con scoperta violazione del diritto comunitario”.

p.2.1. L’intestazione del motivo evoca il paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 con manifesto riferimento al testo vigente anteriormente a quello sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012.

Peraltro, nella sua illustrazione si argomenta una quaestio iuris, come lascia intendere la parte finale della stessa intestazione.

Tuttavia, l’illustrazione si risolve nella prospettazione che la sentenza impugnata, là dove ha affermato, scrutinando i motivi aggiunti, che ” a tutto concedere, la posizione del Consorzio è non già preminente ma neppure equiordinata a quella dei predetti controinteressati, cioè a quella dei Comuni di Rumo e di Livio, evidenzierebbe una “tossina patologica, sol che si prendano le mosse dalla corretta concezione del mercato elettrico in correlazione ai principi cui esso è informato nel diritto comunitario, secondo il più recente insegnamento” di queste Seziono Unite nella sentenza n. 27882 del 2013.

L’illustrazione del motivo, quindi, dopo avere rilevato che tale decisione avrebbe individuato i principi comunitari cui è informato il mercato dell’energia elettrica, con una sottolineatura per le fonti rinnovabili, si concreta nella riproduzione della motivazione della decisione dalla pagina 16 al terzultimo rigo della pagina 19.

Segue, poi, e con esso l’illustrazione si conclude, il seguente asserto: “orbene, sullo sfondo del diritto vivente come tracciato dalle S.U. della Corte Suprema appare euristicamente fondato dedurre per il caso in questione che nessuna primazia può essere accordata ai Comuni controinteressati di Rumo e di Livo, col che folgorata è di riflesso la statuizione giudiziale del TSAP che nega financo, contro il diritto comunitario, l’equiparazione fra le posizioni dei soggetti in gioco aspiranti all’utilizzo della risorsa idroelettrica”.

p.2.2. Il motivo, se anche lo si considerasse come motivo in iure (con un’operazione legittimata dal principio di diritto enunciato da Cass. sez,. un. n. 17931 del 2013), risulterebbe in primo luogo privo della benchè minima attività assertiva, diretta ad evidenziare come e perchè i principi affermati dalla sentenza di queste Sezioni Unite dovrebbero giustificare l’erroneità della limitatissima parte motivazionale della sentenza impugnata, alla quale si fa riferimento, onde si tratterebbe di doglianza priva degli stessi elementi minimali di un motivo di impugnazione. In secondo luogo, il motivo porrebbe una questione (sebbene indeterminata) del tutto nuova, posto che non si dice se era stata oggetto di alcuno dei motivi di impugnazione ordinari ed aggiunti davanti al TSAP.

Si aggiunga che, come del resto, esattamente rileva la difesa del Comune di Rumo, l’essere stata rigettata l’istanza del Consorzio per la sua tardività ai sensi dell’art. 7, comma 9 innanzi evocato, esclude in concreto la stessa configurabilità di una discriminazione di posizioni, atteso che è stata la condotta inerte del Consorzio a regolare la sua posizione.

Il motivo è, dunque, inammissibile.

p.3. Con un terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione della norma di diritto direttamente attributiva di facultas agendi in favore dei Consorzi di Miglioramento fondiario e di irrigazione ex D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 166. Vizio logico di inversione tra situazioni derivatorie a raffronto, laddove la preesistente utenza e rete irrigatoria si presta ex se all’uso promiscuo della risorsa idrica, secondo i canoni ed il favor incentivante della stessa Dir. 2000/60/CE del 23-10-2000, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque”.

L’illustrazione inizia con l’assunto che “la sentenza impugnata impinge in una lettura oltremodo asfittica (quasi una sorta di interpretatio abrogans) della norma di legge ex D.Lgs. n. 152 del 2000, art. 166”, ma a tale assunto non segue alcuna spiegazione che si parametri alla motivazione svolta dalla sentenza impugnata a proposito di tale norma.

Di detta motivazione, enunciata alla pagina 7 della sentenza impugnata ci si disinteressa, venendo svolte considerazioni del tutto generiche ed astratte.

In tale situazione viene in rilievo il principio di diritto secondo cui: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″ (Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi).

Il motivo è, dunque, inammissibile.

p.4. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente ala rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate a favore di ognuno in Euro ottomiladuecento, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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