Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22223 del 22/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/09/2017, (ud. 12/06/2017, dep.22/09/2017),  n. 22223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28899-2014 proposto da:

N.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO

BARACCA 39, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TRIDENTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE D’ONOFRIO e FELICE

ALBERTO D’ONOFRIO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3657/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/06/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione del 02/02/2005 P.E. ha convenuto in giudizio il Ministero dell’interno e la Prefettura di Napoli davanti al Tribunale di Napoli per sentirli condannare alla corresponsione dell’indennità alla stessa dovuta L. n. 865 del 1971, ex artt. 16 e 17, quale fittavola, in virtù di contratto verbale di affitto, di un fondo di natura arborato-seminativo, sito in parte nel comune di (OMISSIS), in parte nel comune di (OMISSIS), oggetto di esproprio per pubblica utilità.

Il procedimento espropriativo veniva definito, quanto agli appezzamenti siti nel comune di Tufino, con atto di cessione volontaria da parte dei comproprietari-concedenti.

Il Tribunale, tuttavia, rigettava la domanda della P. per carenza di un titolo idoneo, in quanto l’attrice non aveva prodotto il decreto definitivo di esproprio dei suddetti terreni.

La Corte d’appello di Napoli, investita dell’impugnazione proposta da P.E. (cui succedeva mortis causa il figlio N.P.) confermava, sulla base di diversa motivazione, la pronuncia di primo grado e rigettava integralmente il gravame. Pur sussistendo un titolo astrattamente idoneo a supportare la pretesa attorea di corresponsione dell’indennità (atto di cessione volontaria dei fondi in luogo del decreto di esproprio), mancava adeguata prova dell’esistenza di un contratto, seppur verbale, di affitto.

In particolare la Corte territoriale rilevava:

– la scarsa attendibilità della stessa allegazione attorea circa i fondi condotti in affitto, in quanto alcuni di essi risultavano, sulla base di una sentenza resa dal Tribunale di Napoli in separato giudizio, coltivati da altri affittuari (tali signori A.);

la genericità delle dichiarazioni testimoniali, che non consentivano un’esatta identificazione dei terreni coltivati;

l’impossibilità di desumere dalle ricevute di pagamento del canone di affitto qualsiasi elemento utile ai fini dell’individuazione dei fondi cui si riferiscono.

Per la cassazione di suddetta pronuncia ricorre Pasquale Napolitano, quale successore di P.E., affidandosi a tre motivi, accompagnati da memoria ex art. 380bis c.p.c., comma 2.

Non svolge difese l’Amministrazione intimata.

Con il primo motivo viene lamentata l’omessa motivazione su punti decisivi della controversia in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto è del tutto usuale che porzioni di una stessa particella catastale vengano coltivate da coloni diversi, il che spiega perchè dalla sentenza del Tribunale di Napoli, resa in un separato giudizio, risulti che i terreni indicati dalla P. venivano coltivati da altri affittuari. Gli stessi signori A., menzionati dalla suddetta sentenza come affittuari, sono stati chiamati come testimoni e hanno confermato che il terreno da loro coltivato insisteva sulle stesse particelle della confinante P.. La Corte d’appello ha considerato generiche le testimonianze nonostante i testi escussi abbiano indicato analiticamente le particelle coltivate dalla P., e non ha tenuto conto affatto della testimonianza del geometra che aveva effettuato dei rilievi planometrici sulla zona di terreno condotta in fitto dall’attrice.

La sentenza omette totalmente di motivare rispetto alle risultanze della c.t.u. espletata in primo grado e fornisce una motivazione apparente sul valore probatorio delle ricevute di pagamento del canone.

Con il secondo motivo viene lamentata la violazione dell’art. 2697 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3: il rigetto della domanda si traduce nella violazione dell’art. 2697 c.c. perchè nei gradi merito l’onere della prova è stato ampiamente assolto.

Con il terzo motivo viene lamentata la violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, perchè la Corte d’appello ha illegittimamente condannato alle spese processuali il Napolitano, malgrado la sussistenza delle ragioni per compensare le spese di lite.

Il primo motivo è inammissibile perchè, per un verso, le doglianze effettuate si traducono in una critica all’esito della valutazione degli elementi istruttori operata dal giudice del merito; per altro verso, non viene censurato l’omesso esame di un fatto decisivo ma l’insufficienza” della motivazione, vizio che esula dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte d’appello non ha ritenuto sufficienti i documenti prodotti e le testimonianze assunte ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova, gravante sulla P., dell’esistenza del contratto verbale di affitto relativamente ai terreni oggetto di cessione volontaria (e per i quali ella avrebbe avuto astrattamente titolo per la corresponsione dell’indennità prevista dalla L. n. 865 del 1971, artt. 16 e 17 in qualità di fittavola).

Si legge nel testo della sentenza impugnata che i testi escussi hanno soltanto confermato genericamente la qualità di coltivatrice diretta della P.. Il ricorrente, al contrario, asserisce (pag. 6 del ricorso) che i testi avevano indicato esattamente le particelle di terreno oggetto di espropriazione. La censura mira a devolvere inammissibilmente al giudice di legittimità l’esame delle risultanze istruttorie, adeguatamente motivato dalla Corte d’appello.

Quanto al mancato esame della testimonianza del geometra e delle risultanze della consulenza tecnica, non viene evidenziato alcun profilo di “decisività” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 a tacere del fatto che il giudice di merito non è tenuto a dar conto di tutti gli elementi istruttori (Cass., ss.uu., 8053/2014). La stessa c.t.u., peraltro, si limitava ad indicare le particelle oggetto dell’esproprio (pag. 7 del ricorso), e non si comprende come ciò possa costituire fatto “decisivo” in ordine all’identificazione dei terreni oggetto del contratto verbale di affitto oppure, a monte, in ordine all’esistenza stessa del contratto. Relativamente alla doglianza di motivazione apparente circa la valenza delle ricevute di pagamento del canone, non può evidentemente in questa sede procedersi a un riesame del loro valore probatorio.

Il secondo motivo è manifestamente infondato, non essendo ravvisabile alcuna violazione della ripartizione dell’orna probandi, che sussiste soltanto laddove il giudice di merito lo attribuisca a una parte diversa da quella che ne era onerata.

Il terzo motivo, relativo all’asserita erroneità della condanna alle spese di lite, è assorbito.

Non può, infine, essere condiviso quanto dedotto in memoria circa l’ammissibilità del vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, sotto il profilo dell’illogicità e apparenza della motivazione, avendo la Corte d’appello dato conto di tutti gli elementi istruttori con argomentazione in questa sede incensurabile in quanto immune da vizi logici e giuridici.

Ne consegue il rigetto del ricorso. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in considerazione della mancata attività difensiva della parte intimata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Così è deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 12 giugno 2017. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei, ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2017

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