Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22221 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 03/11/2016, (ud. 11/10/2016, dep. 03/11/2016), n.22221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1240-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ALBERT BAR DI G.A. & P. A. SAS quali

soci della Soc. cessata, G.A., P.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA MAROCCO 18, presso lo studio

TRIVOLI E ASSOCIATI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE

CACCIATO giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso il provvedimento n. 85/2011 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 09/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CAMASSA che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.1. Con distinti e separati avvisi di accertamento regolarmente notificati l’ufficio di (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate ha proceduto a rettificare il reddito di impresa e, riflessamente, il reddito imputato a ciascun socio per trasparenza, conseguito dalla s.a.s. G.A. e C. nell’anno 2004 a fronte delle plusvalenze maturate in capo alla società – e già oggetto di accertamento in sede di registro – per effetto delle cessioni da essa operate in detto anno delle attività di bar e di rivendita di generi di monopolio e dell’immobile di esercizio.

Opposti con parziale successo in primo grado, i detti atti erano nuovamente fatti oggetto di esame dalla CTR Lombardia che, con la sentenza qui in atti, accoglieva il gravame di parte e ne disponeva l’integrale annullamento. Osservava invero il giudice territoriale, quanto alla cessione delle attività, resasi necessaria a causa dei dissidi insorti tra i soci e della grave patologia contratta da uno di essi, che “i contribuenti hanno fornito elementi sufficienti per superare la presunzione che il prezzo di vendita dell’azienda corrisponda al valore venale di comune commercio, per cui, in mancanza di altri elementi prospettati dall’ufficio”, rileva il corrispettivo dichiarato, anche perchè il discostamento di esso dal valore stimato dall’ufficio, pari al 15%, “non evidenzia un comportamento palesemente antieconomico”. Parimenti, quanto alla cessione dell’immobile, determinato il valore di esso in base ai parametri dell’Agenzia del territorio tra un minimo ed un massimo “comunque inferiore all’accertato”, “a supporto del valore dell’immobile accertato non appare di pregio il ricorso alle spese fiscalmente incrementative in quanto quelle relative agli oneri connessi al rogito ed al mutuo… non apportano con certezza alcun maggiore utilità commerciale al bene. Di conseguenza l’ufficio non ha fornito elementi sufficienti per provare che l’effettivo prezzo di cessione sia quello indicato nell’avviso di accertamento, che deve essere annullato anche per i riflessi sul volume d’affari ai fini IVA”.

Avverso detta decisione insorge la soccombente Agenzia chiedendone la cassazione in base ad un solo motivo di ricorso.

Ad esso resistono con controricorso le parti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con l’unico motivo del proprio ricorso l’Agenzia ricorrente si duole ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione che inficia il pronunciamento impugnato sotto un primo profilo, afferente alla cessione delle attività, in quanto il giudice d’appello, “non argomenta in modo sostanziale la prova contraria raggiunta dai contribuenti” in grado di superare la presunzione erariale indotta dalla definitività dell’accertamento in sede di registro ed afferma “in modo illogico e contraddittorio” che l’ufficio avrebbe dovuto integrare la prova”, malgrado la definitività del detto accertamento e l’efficacia di esso riguardo le altre fonti di imposizione; sotto un secondo profilo, afferente alla cessione dell’immobile, in quanto il giudice d’appello, pronunciandosi nei riferiti termini, “non considera quali spese incrementative quelle relative alla ristrutturazione, marmi ed altro”, sebbene ammesse dalla stessa contribuente ed utilizza in modo contraddittorio o, comunque, non adeguatamente motivato ai fini della stima del valore, i dati dell’Agenzia del Territorio, riportati tra un valore minimo ed uno massimo, senza tuttavia indicare “quale sia il valore attribuibile all’immobile stesso”.

2.2. Entrambe le censure si rivelano infondate.

2.3.1. Quanto alla prima di esse – che allega la sussistenza di un vizio motivazionale in capo alla sentenza impugnata in quanto questa, nell’argomentare l’accoglimento del gravame, avrebbe mostrato di prescindere dall’efficacia presuntiva che si connette alla definitività dell’accertamento in punto di registro, che da un lato avrebbe dovuto imporre di valutare in maniera “più sostanziale” le difese della parte e dall’altro avrebbe dovuto escludere ogni ulteriore onere probatorio in capo all’ufficio -, va previamente avvertito che essa si radica su un presupposto giuridico non più vincolante, atteso che per effetto dell’interpretazione autentica degli artt. 58, 68, 85 e 86 T.U.I.R. e D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 5, 5-bis, 6 e 7 operata dal D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, le dette norme, in guisa delle quali era argomentabile la presunzione invocata dall’ufficio, “si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.Lgs. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”. Ancorchè l’efficacia retroattività delle norme di interpretazione autentica (SS.UU. 9941/09) che si ascrive alla predetta disposizione del D.Lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, perime alla radice la tesi erariale, in quanto anche per il passato l’effetto presuntivo di che trattasi non sarebbe più utilmente invocabile a beneficio di una diversa regolazione delle regole probatorie stabilite dell’art. 2697, la decisione, anche in difetto della detta interpretazione autentica, si sottrarrebbe comunque al denunciato vizio logico, e ciò non solo laddove se ne deduce l’illogicità e la contraddittorietà per aver onerato l’ufficio di una prova ulteriore, costituendo invero detta affermazione immediato e diretto corollario del fatto che, per riflesso dell’attività difensiva della parte, la tesi erariale abbisognava di “altri” elementi di prova, ma anche laddove se ne denuncia l’insufficienza della motivazione per non aver argomentato “in modo sostanziale” la prova offerta dal contribuente, essendo, al contrario, essa pervenuta a disattendere la presunzione rivendicata dall’ufficio in base ad un giudizio di fatto che nell’apprezzare la concludenza probatoria delle circostanze impeditive allegate dalla parte (i dissidi tra i soci e la grave patologia di uno di essi) non evidenzia alcuna anomalia argomentativa in grado di comprometterne l’equilibrio motivazionale e di giustificare l’intervento correttivo di questa Corte, portando semmai a credere che ciò di cui si duole l’impugnante non sia esattamente il modo in cui si la lite è stata risolta, ma la soluzione che di essa ha voluto dare il giudice d’appello.

2.3.2. Non diversamente è a dirsi riguardo alla seconda censura.

Priva di autosufficienza si rivela l’allegazione di illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla considerazione delle spese ncrementative, che la CTR ha limitato solo a quelle di rogito e di mutuo trascurando quelle di “ristrutturazioni, marmi ed altro”. Ad onta invero della sua discutibile pertinenza allorchè la critica non investa il discorso decisionale ma intenda, come qui, solo evidenziare una difforme valutazione delle prove, l’allegazione in questione si rivela del tutto generica – segnatamente ove fa riferimento ad altre spese incrementative non meglio specificate – ed impedisce perciò ogni apprezzamento volto a sindacarne l’incidenza motivazionale, fermo in ogni caso, che come si è più volte ricordato, è compito solo del giudice di merito selezionare il materiale probatorio e scegliere tra le prove raccolte la fonte del proprio convincimento.

Del pari, anche il rilievo sempre in punto di contraddittorietà o di non adeguatezza della motivazione che l’impugnante muove alla CTR in parte qua per non aver indicato quale fosse anche in applicazione dei parametri OMI il valore dell’immobile, comunque determinante una plusvalenzai non evidenzia alcuna criticità motivazionale, ma anzi si iscrive esattamente nel potere che l’ordinamento processuale assegna al giudice di merito – ed a lui solo – di valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento. Ed invero laddove la deducente osserva che anche in applicazione di parametri OMI si determinerebbe una plusvalenza tassabile essa non fa che opporre il proprio convincimento a quello del giudice, espressione per l’appunto del principio del prudente apprezzamento delle prove, pretendendo di orientarne il giudizio secondo il metro della propria personale soddisfazione, non avvedendosi, tuttavia, nel far ciò non solo del fatto, già di per sè pregiudizialmente ostativo, che la denuncia di un vizio motivazionale non può essere azionata strumentalmente per promuovere la revisione di una sentenza insoddisfacente, ma di più che la difformità di giudizio lamentata nella specie è tutta interna ad una valutazione di dati puramente presuntivi, sicchè assumere che debba essere considerato nella forbice stimata dall’OMI il valore massimo in luogo di quello minimo, laddove come ben evidenziato dal decidente l’allegazione è probatoriamente lacunosa, è frutto solo di un apprezzamento puramente discrezionale inidoneo perciò a giustificare qualsiasi doglianza motivazionale.

4. Il ricorso va dunque respinto.

5. Spese alla soccombenza.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5000,00, oltre al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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