Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22219 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/10/2020, (ud. 24/06/2020, dep. 14/10/2020), n.22219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22824/2016 proposto da:

M.R., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato UGO CARDOSI;

– ricorrente –

contro

ATAC S.P.A. – AZIENDA PER LA MOBILITA’ DI ROMA CAPITALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PRENESTINA 45, presso lo studio dell’avvocato MARINA DI

LUCCIO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1732/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/03/2016 R.G.N. 1353/2013.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che con sentenza n. 1732/2016, pubblicata il 24 marzo 2016, la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva respinto il ricorso proposto da M.R. nei confronti di Trambus S.p.A. (poi ATAC S.p.A.), diretto ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del provvedimento di sospensione per cinque giorni dal servizio e dalla retribuzione emesso il 20 novembre 2009 a seguito del rifiuto del dipendente di eseguire la lavorazione assegnatagli e della minaccia rivolta al capo operatore Ma. che lo invitava a ritornare alla postazione di lavoro;

– che la Corte di appello ha ritenuto provati i fatti posti a fondamento della contestazione, alla luce delle testimonianze assunte, in particolare essendo emerso che la lavorazione poteva essere eseguita con l’utilizzo di altro strumento disponibile nel reparto, che la pavimentazione del locale non presentava precarie condizioni di sicurezza e che il M. aveva detto al capo operatore che gli avrebbe fatto “ricordare quel giorno”: ciò che rendeva legittima la sanzione disciplinare irrogata ai sensi degli artt. 42, n. 4 e n. 10, e 55 del Regolamento All. A al R.D. n. 148 del 1931, i quali prevedevano la sospensione per “alterchi, ingiurie verbali o disordini sui treni, lungo le linee, nei locali dell’azienda e dipendenze” nonchè “per volontario inadempimento dei doveri di ufficio o per negligenza, la quale abbia apportato danni al servizio o agli interessi dell’azienda”;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso il lavoratore con due motivi, cui ATAC S.p.A. ha resistito con controricorso.

Rilevato:

che con il primo motivo viene denunciato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame del fatto decisivo costituito dall’assenza delle attrezzature necessarie alle lavorazioni e per omesso esame di alcune dichiarazioni testimoniali, nonchè denunciata la violazione dell’art. 2697 c.c.;

– che con il secondo motivo viene ancora dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè dedotta la falsa applicazione dell’art. 42 del Reg. All. A al R.D. n. 148 del 1931, per omesso esame del fatto decisivo costituito dall’assenza di un contenuto minaccioso nella frase contestata e dalla reciprocità delle offese;

osservato:

che entrambi i motivi, con l’quali viene denunciato l’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, n. 5, risultano inammissibili in forza della disposizione di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c. (c.d. “doppia conforme”), posto che il giudizio di secondo grado è stato introdotto con ricorso depositato nel 2013 e, pertanto, successivamente all’entrata in vigore della novella legislativa; nè il ricorrente, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014; conf.: n. 19001/2016; n. 26774/2016; n. 20994/2019);

– che, d’altra parte, il ricorso risulta inammissibile anche là dove (1 motivo) è dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c., dovendosi al riguardo ribadire il principio, secondo il quale “La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro l’ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5)”: Cass. n. 13395/2018, fra le molte conformi;

– che parimenti è inammissibile il ricorso là dove (2 motivo) è dedotta falsa applicazione dell’art. 42 del Regolamento Allegato A al R.D. n. 148 del 1931, rifluendo la censura nel vizio di motivazione e in un nuovo apprezzamento del materiale di prova (dep. Ma.), estraneo alle funzioni della Corte di legittimità;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200 per esborsi, Euro 1800 per compensi professionali, oltre a spese al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma 1 bis dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

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