Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22215 del 05/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/09/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 05/09/2019), n.22215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2924/2015 R.G. proposto da:

Centomilacandele scpa, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Maurizio Logozzo e

Giuseppe Marini, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma,

via di Villa Sacchetti, n. 9;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria n. 350/1/14 del 25 febbraio 2014, depositata il 3 giugno

2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio

2019 dal Consigliere Enrico Manzon.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 350/1/14 del 25 febbraio 2014, depositata il 3 giugno 2014 la Commissione tributaria regionale dell’Umbria accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ufficio locale, avverso la sentenza n. 202/8/12 della Commissione tributaria provinciale di Perugia che aveva accolto il ricorso di Centomilacandele soc. coop. p.a. contro il diniego di rimborso di accise sull’energia elettrica 2006/2007.

La CTR osservava in particolare che, difformemente da quanto statuito dai primi giudici, doveva considerarsi fondato il diniego di rimborso impugnato, poichè il relativo credito d’imposta non poteva essere più esercitato a causa del maturarsi del termine decadenziale biennale previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14, comma 2, (TUA), dovendosi fissare la decorrenza del termine stesso alla data del pagamento indebito dell’imposta ed essendo quindi tale termine scaduto, riferendosi le accise rimborsande agli anni 2006/2007, mentre l’istanza di rimborso era stata proposta il 4 luglio 2011.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo quattro motivi, successivamente illustrati con memoria.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione del TUA, art. 14, comma 2, art. 56, comma 6, artt. 2946,2033,2041 c.c., articolando più profili di censura, poichè la CTR ha sancito che il termine, previsto dalla prima disposizione legislativa evocata, di decadenza biennale per la presentazione dell’istanza di rimborso delle accise sull’energia elettrica decorre dalla data del pagamento dell’imposta, invece che dalla data dell’ultima dichiarazione, così appunto erroneamente interpretando/falsamente applicando detta previsione normativa ed allo stesso tempo quelle ulteriormente evocate: sia quella speciale riguardante il modulo attuativo dell’imposta de qua (formazione progressiva dell’obbligazione di periodo), sia quelle codicistiche generali sull’indebito oggettivo e l’arricchimento ingiustificato.

La censura è fondata.

Si tratta di determinare la data di decorrenza del termine biennale di decadenza, TUA, ex art. 14, comma 2, per l’esercizio del diritto al rimborso del credito di accisa sul consumo di energia elettrica e, nel caso di specie, ancor più specificamente, il credito di rimborso dell’addizionale provinciale all’uccisa medesima.

L’art. 14 cit., nella versione vigente ratione temporis prevede(va): “L’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata. Il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento”.

Sul tema, la giurisprudenza prevalente della sezione tributaria di questa Corte (Cass. n. 3471 del 2014; n. 3470 del 2014; n. 3469 del 2014, nello stesso senso, sez. 5, n. 13724 del 2017) ha affermato che “A norma del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 14, il rimborso dell’accisa (…) indebitamente versata va richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento, che segna il momento dal quale indefettibilmente decorre il termine decadenziale per l’esercizio del diritto alla restituzione, fissato per finalità di interesse pubblico e non disponibile neppure dalla stessa P.A., restando ininfluenti le cause per cui il pagamento non è dovuto; nè l’avvenuta detrazione del credito di imposta, operata dal contribuente per le annualità successive, è idonea a spostare in avanti il dies a quo del suddetto termine” (Cass. n. 24056 del 2011).

Secondo questo indirizzo ermeneutico il “pagamento” fissa, sempre e comunque, il momento dal quale indefettibilmente decorre il predetto termine decadenziale per l’esercizio del diritto alla restituzione “perfino nel caso in cui l’accisa sia stata debitamente pagata, e sia sopravvenuta una causa di non debenza del tributo” (Cass. n. 23515 del 2008; Cass. n. 24056 del 2011; Cass. n. 3363 del 2012; Cass. 13724 del 2017).

Pronuncia contrastante, alla quale, invece, questo Collegio intende dare seguito è quella secondo cui “in materia d’imposta sulla produzione e sui consumi, ai sensi del D.Lgs. 504 del 1995, art. 14, comma 2, il rimborso (o la corrispondente detrazione) dell’accisa indebitamente pagata deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni, decorrenti dalla data di presentazione della dichiarazione annuale, con la conseguenza che, nel caso di versamento di acconti risultati maggiori del dovuto, questi devono sommarsi con il credito d’imposta relativo all’anno successivo, derivandone che il saldo creditorio va a costituire un nuovo credito rispetto a quelli precedentemente maturati” (così, Cass., 17.4.2013, n. 9283, v. anche Cass. 1.2.2019, n. 3051).

Tale diverso orientamento, infatti, valorizza con maggiore puntualità la peculiarità del modulo attuativo dell’imposta in questione- nella specie, relativa al consumo di gas metano, ma ugualmente per quella relativa al consumo dell’energia elettrica per cui, ai sensi del TUA n. 504 del 1995, art. 26, comma 8: “l’accertamento dell’accisa viene effettuato sulla base delle dichiarazioni annuali, contenenti tutti gli elementi necessari per la determinazione del debito d’imposta. Il pagamento dell’accisa deve essere effettuato in rate mensili di acconto calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente, con eventuale conguaglio in fase di successiva dichiarazione di consumo”.

In base a tale disposizione legislativa, quindi, il pagamento dell’accisa deve essere effettuato in rate di acconto mensili entro la fine di ciascun mese, calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente e il versamento a conguaglio è effettuato entro il mese di febbraio dell’anno successivo a quello cui si riferisce, per cui le rate mensili di versamento dell’accisa non corrispondono ad autonomi adempimenti di autonomi debiti, bensì a modalità di adempimento di un unico debito, frazionato, appunto, in più rate (così, Cass., 12.2.2014, n. 3100; Cass. n. 3051 del 2019).

Tale impostazione risulta condivisibile, in quanto rispetta anche quello che è il meccanismo di compensazione prescritto ai sensi del TUA, art. 56, comma 1, – secondo cui “Le somme eventualmente versate in più del dovuto sono detratte dai successivi versamenti di acconto”- operante fino all’esaurimento del rapporto tributario medesimo.

L’accredito – in quanto detratto ex lege dai successivi versamenti di acconto – risulta perciò una modalità di pagamento dell’accisa sui consumi di energia elettrica (come di gas metano) e dunque, in corso di rapporto tributario, non è configurabile come “pagamento indebito”, con la conseguente inapplicabilità del termine di decadenza biennale TUA, ex art. 14, comma 2.

Il versamento eccedentario dell’imposta assume natura di indebito nel momento in cui – terminata la somministrazione – rimane a conguaglio una maggiore somma versata che il contribuente non è più obbligato ad utilizzare in compensazione.

Dunque, solo alla fine del rapporto tributario, nel caso in cui emerga dall’ultima dichiarazione di consumo, un conguaglio a credito, quest’ultimo darà luogo a un “pagamento indebito” e il contribuente – proprio come nel conto corrente ordinario ex art. 1823 c.c., al momento della chiusura del conto – potrà esigere il credito medesimo con decorrenza del termine biennale di decadenza TUA, ex art. 14, comma 2, dalla data del pagamento in eccesso che, in sostanza, coincide con il momento di presentazione dell’ultima dichiarazione annuale dalla quale sia risultato il credito di imposta.

In conclusione sul punto, va ribadito che “In tema di accise sull’energia elettrica, il saldo creditorio che matura al momento della presentazione della dichiarazione annuale – costituendo una modalità di pagamento dell’imposta, in quanto detratto ex lege dai successivi versamenti di acconto – non è reclamabile prima della chiusura del rapporto tributario, con conseguente decorrenza del termine biennale di decadenza del D.Lgs. n. 504 del 1995, ex art. 14, comma 2, (TUA), per il rimborso dell’eventuale credito di imposta dal momento della presentazione dell’ultima dichiarazione annuale di consumo”.

La sentenza impugnata risulta chiaramente contrastante con tale arresto giurisprudenziale, affermando la decadenza della società contribuente dal diritto di chiedere il rimborso, avendo individuato, in aderenza alla giurisprudenza qui superata, la data di decorrenza del termine decadenziale, non dalla data dell’ultima dichiarazione (quella per l’anno 2010, in cui è cessato il consumo tassabile con l’addizionale provinciale sul consumo dell’energia elettrica), bensì dalle date del verificarsi dei presupposti impositivi (2006/2007), come da correlate registrazioni contabili, quali pacificamente riportate nelle dichiarazioni di periodo.

Il ricorso va dunque accolto in relazione al primo motivo, assorbiti gli altri (rispettivamente, violazione del contraddittorio endoprocedimentale, vizio motivazionale del provvedimento impugnato e violazione dei principi “statutari” di collaborazione/buona fede), la sentenza impugnata va cassata e, decidendosi nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve essere accolto il ricorso introduttivo della lite.

Stante la peculiarità e le oscillazioni giurisprudenziali in materia, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese processuali dei gradi di merito, mentre quelle del presente giudizio vanno attribuite secondo il generale principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso originario della società contribuente; compensa tra le parti le spese dei gradi di merito; condanna l’agenzia fiscale controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000 oltre 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2019

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