Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22213 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. lav., 14/10/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 14/10/2020), n.22213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19092/2016 proposto da:

AVIAPARTNER HANDLING S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

21/23, presso lo studio degli avvocati CARLO BOURSIER NIUTTA, e

ANTONIO ARMENTANO, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

S.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172,

presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI GIOVANNELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 65/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/02/2016 r.g.n. 1761/2013.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

 

Fatto

RILEVA

Che:

la Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 65 in data 14 gennaio – due febbraio 2016 rigettava il gravame interposto il 17 ottobre 2013 da AVIAPARTNER HANDLING S.p.a. nei confronti del sig. S.N., avverso la pronuncia con la quale il giudice del lavoro di Busto Arsizio aveva dichiarato la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato stipulati con l’appellato in ordine ai periodi intercorsi dal maggio 2010 al 31 gennaio 2001, dal tre marzo 2011 al 31 gennaio 2012 e dal 17 aprile al 30 settembre 2012, accertando quindi l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, part-time di 20 ore settimanali, fin dal primo maggio 2010, con la condanna della società convenuta al pagamento dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, in ragione di sei mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre accessori e spese di lite, previo rigetto, tra l’altro dell’eccezione di decadenza, opposta da parte resistente con riferimento all’impugnativa stragiudiziale di cui alla missiva pervenuta a parte datoriale il 13 febbraio 2012 (quindi entro il termine del c.d. decreto milleproroghe di cui al D.L. n. 225 del 2019, art. 2, comma 54);

avverso la sentenza d’appello proponeva ricorso per cassazione AVIAPARTNER HANDLING S.p.a. in data 28 luglio 2016, con tre motivi, cui ha resistito il sig. S.N. mediante controricorso del 31 agosto – 1 settembre 2016, in seguito illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 1, 1 bis, 3 e 4, come modif. dal D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 54, quindi convertito con modificazioni nella L. n. 10 del 2011, avendo il giudice di secondo grado omesso di accertare l’intervenuta decadenza della suddetta impugnazione, ad eccezione degli ultimi due, di tutti i contratti a temine in questione, posto che il differimento a far luogo dal 31 dicembre 2011, disposto dal menzionato decreto milleproroghe non riguardava il termine di 60 giorni per fattispecie

contrattuali diverse dal licenziamento. Inoltre, nella specie risultavano violati anche gli artt. 11 e 12 preleggi, con riferimento a contratti la cui durata era cessata ancor prima dell’entrata in vigore della L. n. 183 del 2010 (24 novembre 2010). Per di più al momento dell’entrata in vigore del succitato comma 1 bis (26 febbraio 2011) si era già realizzata la decadenza, avendo il S. provveduto all’impugnativa soltanto in data 8 febbraio 2012, depositando poi il ricorso introduttivo del giudizio il 18 ottobre successivo. Pertanto, era stata violata la regola base della irretroattività ex cit. art. 11;

con il secondo motivo la ricorrente ha inoltre dedotto violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, avendo la Corte distrettuale ritenuto generica la causale indicata nel contratto a termine stipulato il 26 aprile 2010, con decorrenza dal successivo primo maggio (esigenza di valutare il fabbisogno degli organici a tempo indeterminato a seguito delle recenti acquisizioni delle commesse relative ai nuovi clienti CSA… nonchè in considerazione delle scadenze dei contratti previste per l’anno 2010, in relazione ai quali non era ancora dato sapere il loro eventuale rinnovo…). Non era, invece, difficile comprendere che l’acquisizione dei nuovi clienti (ossia le compagnie di navigazione aerea indicate) richiedeva il rafforzamento dell’organico per far fronte all’aumento dei servizi offerti da AVIAPARTNER, sicchè, essendo prossimi alla scadenza altri contratti con ulteriori compagnie ((OMISSIS) e (OMISSIS), come da contratti allegati) non era in alcun modo possibile definire l’organico necessario per far fronte alle nuove esigenze. Dunque, la causale indicata non solo era stata esaustivamente specificata nel contratto in questione, ma, attraverso la produzione di tutti i contratti di servizio con le citate compagnie, era stata pienamente provata, contrariamente a quanto erroneamente giudicato dalla Corte d’Appello;

con il terzo motivo è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1230 c.c., avendo la Corte distrettuale erroneamente giudicato infondata l’eccezione di novazione sollevata dalla società, sulla quale il giudice di primo grado aveva omesso di pronunciarsi, con riferimento al contratto del 10 aprile 2012 (decorrenza 17-04-12), con conseguente estinzione di tutte le obbligazioni derivanti dai precedenti rapporti, laddove, secondo la ricorrente, le parti contrattuali avevano chiaramente individuato le obbligazioni oggetto di estinzione e novazione, avendo fatto riferimento a tutti i diritti e le obbligazioni nascenti dalla eventuale nullità del termine in precedenza apposto al contratto. D’altro canto, non avendo la normativa in materia di contratto a tempo determinato natura inderogabile, il lavoratore era ben libero di poter disporre nel modo ritenuto più opportuno dei conseguenti diritti. Non si vedeva poi come nella specie la Corte distrettuale non avesse potuto rilevare la sussistenza “dell’animus novandi”, essendo evidente la comune volontà delle parti di sostituire i precedenti contratti con il nuovo rapporto a far luogo da aprile 2012;

tanto premesso, le anzidette censure vanno disattese per le seguenti ragioni;

invero, quanto al primo motivo, la doglianza è infondata in base al principio, ormai autorevolmente affermato dalle Sezioni unite civili di questa Corte con la sentenza n. 4913 del 14/03/2016, per il quale non si ravvisano valide ragioni per discostarsene,

secondo cui la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, conv. con mod. dalla L. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui della L. n. 604 del 1966, novellato art. 6, sicchè, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla “ratio legis” di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex novo” del suddetto e ristretto termine di decadenza (successivamente, con particolare riguardo all’applicabilità ai contratti in somministrazione già scaduti alla data del 24.11.2010, cfr. anche Cass. n. 2420 del 2016, n. 7788 del 2017 e 18/12/2018 n. 32702). Nel caso di specie la Corte milanese ha correttamente applicato l’anzidetta normativa, visto che l’attore aveva proposto tempestivamente due impugnative in via stragiudiziale: la prima pervenuta alla società datrice di lavoro il 13 febbraio 2012 e relativa a vari contratti, tra cui quelli stipulati il 26 aprile 2010 ed il 28 febbraio 2011, la seconda, recapitata l’otto ottobre 2012, relativa pure all’ultimo rapporto a tempo determinato, intercorso tra le parti dal 17 aprile al 30 settembre 2012, di guisa che risultava nella specie comunque osservato il termine di giorni sessanta a pena di decadenza (da computarsi per i primi contratti a far luogo dal 31.12.2011);

il secondo motivo è inconferente, avendo la Corte di merito, con dettagliata argomentazione, non solo accertato la genericità della causale (poichè in definitiva si risolveva nell’enunciazione di fatti del tutto inidonei a dar conto delle effettive esigenze sottese all’assunzione a tempo determinato in argomento), altresì osservato, ma senza alcuna specifica confutazione sul punto da parte ricorrente (la quale, invero, ha soltanto genericamente richiamato i contratti stipulati con varie compagnie aeree), che a sostegno dell’affermata sussistenza delle menzionate esigenze, parte datoriale si era limitata in primo grado a mere deduzioni istruttorie del tutto generiche, prive di qualsiasi riferimento a dati concreti concernenti l’entità delle asserite fluttuazioni dei servizi offerti e del conseguente andamento di fabbisogno di personale, nonchè delle proporzioni del proprio organico. Di conseguenza, dalle prove così offerte sarebbe risultato impossibile desumere il collegamento causale tra l’incremento dei voli e l’assunzione dell’appellato a tempo determinato;

parimenti va ritenuto per quanto concerne il terzo e ultimo motivo di ricorso. Invero, la novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche. Perchè sia ravvisabile una novazione è necessario che sia riscontrabile, sotto il profilo soggettivo, l’animus novandi, consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto. Ai fini dell’esistenza dell’elemento è necessario che risulti con chiarezza che le parti stipulanti fossero consapevoli della conversione del precedente rapporto e, ciò nonostante, abbiano inteso costituire un nuovo rapporto di lavoro (cfr. Cass. 14/07/2015 n. 14712, 11/10/2012 n. 17328), circostanza questa che non risulta specificamente allegata e che, peraltro, è palesemente contraddetta dalla genericità della clausola contrattuale riportata nel ricorso. Al riguardo, inoltre, la Corte distrettuale opportunamente osservava che qualora si ravvisasse a fondamento della novazione l’intento di porre nel nulla gli eventuali profili di illegittimità dell’apposizione dei termini ai precedenti rapporti, lo scopo così perseguito configurerebbe un’ipotesi di frode alla legge. Infatti, l’effetto della pattuizione in esame sarebbe quello di ampliare l’ambito di operatività della normativa di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, oltre i limiti di legge ivi previsti (cfr. del resto sul punto Cass. lav. n. 12985 del 21/05/2008, secondo cui il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE recepita con il richiamato decreto, e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte Cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. In senso analogo Cass. lav. n. 7244 del 27/03/2014. Cfr. poi Cass. lav. n. 6615 del 30/07/1987: in presenza di un atto sottoscritto dal lavoratore, che il datore di lavoro assuma espressivo di una volontà abdicativa o transattiva dello stesso dipendente, il primo compito del giudice è quello di determinare il reale contenuto dell’atto, secondo le norme legali di ermeneutica contrattuale, in quanto applicabili ai negozi unilaterali, avendo in particolare presente che la generica dichiarazione di stile del lavoratore, di non aver altro a pretendere, è di per sè solo irrilevante, ove non sia accompagnata dalla indicazione dell’oggetto -che a pena di nullità deve essere determinato o determinabile- della rinuncia. Soltanto dopo che l’intenzione abdicativa risulti, in esito a tale indagine, effettivamente manifestata, si pone l’ulteriore problema di esistenza e ritualità della sua impugnativa, agli effetti dell’art. 2113 c.c.. V. anche Cass. lav. n. 28448 del 7/11/2018, secondo cui alla dichiarazione con la quale il lavoratore rinuncia a qualsiasi ulteriore pretesa derivante dal pregresso rapporto di lavoro può essere riconosciuto valore di transazione solo ove l’accordo tra lavoratore e datore contenga lo scambio di reciproche concessioni, essenziale ad integrare il relativo schema negoziale.

Ed al riguardo Cass. lav. n. 4812 del 24/10/1978 affermava rientrante nei poteri del giudice del merito, il cui esercizio non è sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, lo stabilire, attraverso la corretta applicazione delle norme del codice civile sull’interpretazione della volontà negoziale, se una dichiarazione, sottoscritta da un lavoratore subordinato, di essere stato soddisfatto dal proprio datore di lavoro di ogni spettanza e di non avere più nulla da pretendere, integri o meno una rinuncia o transazione, soggetta al termine trimestrale d’impugnazione, di cui all’art. 2113 c.c., comma 2);

la Corte d’Appello, peraltro, dopo aver richiamato il principio affermato da Cass. n. 5665 del 9/3/2010 – secondo cui la novazione oggettiva del rapporto obbligatorio postula il mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione, ai sensi dell’art. 1230 c.c., mentre non è ricollegabile alle mere modificazioni accessorie di cui all’art. 1231 c.c. e deve essere connotata non solo dall’aliquid novi, ma anche dall’animus novandi (inteso come manifestazione inequivoca dell’intento novativo) e dalla causa novandi (intesa come interesse comune delle parti all’effetto novativo). L’accertamento che su tali tre elementi (volontà, causa ed oggetto del negozio) compia il giudice di merito è incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivato (conforme tra le altre Cass. lav. n. 27390 del 29/10/2018)- ha rilevato che parte convenuta nulla aveva allegato o dedotto in giudizio in ordine alla causa novandi, sicchè l’eccezione al riguardo formulata dalla società non avrebbe potuto trovare accoglimento;

in conclusione, per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato;

le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo e distratte in favore degli avv.ti Pierluigi Panici e Giovanni Giovannelli che se ne sono dichiarati anticipatari;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con attribuzione in favore degli avv.ti Pierluigi Panici e Giovanni Giovannelli, procuratori anticipatari costituiti per il controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

 

 

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