Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22213 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 03/11/2016, (ud. 10/10/2016, dep. 03/11/2016), n.22213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1143/2009 proposto da:

I.M., I.G., IZ.GA., D.C.,

domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’Avvocato ROBERTO RUOCCO

con studio in CERIGNOLA VIA MAZZINI 4, giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE DELLO STATO, in persona del Ministro

pro tempore, AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1153/2007 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 15/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per i ricorrenti l’Avvocato RUOCCO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato DE SOCIO che si riporta agli

atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto nel rapporto con

l’Agenzia e l’inammissibilità verso il MINISTERO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Gli eredi I. impugnano l’epigrafata sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bari a conferma della decretata estinzione del giudizio per tardività della riassunzione e ne chiedono la cassazione sulla base di tre motivi di ricorso, illustrati pure con memoria ex art. 378 c.p.c..

Nella specie il giudice territoriale, rigettando l’eccezione secondo cui il termine per la riassunzione non era ancora decorso poichè la comunicazione della cancelleria era stata consegnata ad un avvocato che non era collega di studio del procuratore domiciliatario, ha osservato che “la notificazione presso il procuratore domiciliatario della parte viene validamente eseguita con la consegna di copia al collega di studio” (nella specie tale avv. Dibisceglia), a nulla rilevando in contrario che nel caso specifico il consegnatario avesse il proprio studio altrove, atteso che “nessuna norma impone agli esercenti la professione forense di esercitare la propria attività esclusivamente in una sede”.

Resistono con controricorso il MEF, nonchè l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a cui il ricorso di parte è stato notificato a seguito dell’ordinanza di questa Corte in data 25.3.2016 di integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c..

Il collegio ha autorizzato l’adozione della motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1.1. Con il primo motivo di ricorso – avverso la cui trattazione nei confronti dell’Agenzia costituitasi non è previamente ostativa la sollevata eccezione di giudicato attesa la veste di litisconsorte processuale rivestita dalla deducente e fermo l’insegnamento secondo cui la notifica dell’impugnazione relativa a cause inscindibili – sia nell’ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale che processuale – eseguita nei confronti di uno solo dei litisconsorti nei termini di legge, introduce validamente il giudizio di gravame nei confronti di tutte le altre parti (3071/11) ed impedisce il passaggio in giudicato della sentenza (18364/13) – gli eredi I. denunciano la contrarietà dell’impugnata sentenza all’art. 139 c.p.c., sul rilievo della pretesa invalidità “della notifica effettuata in luogo diverso dallo studio del destinatario ed a persona che non si sia qualificata collega di studio”.

2.1.2. Parimenti con il terzo motivo del ricorso la parte allega un errore di diritto nell’applicazione degli artt. 148 e 160 c.p.c., atteso che, contrariamente a quanto risultante dalla prima delle norme citate, nella relata di notifica “non risultano indicate le generalità del ricevente, bensì il cognome”, nè “è possibile identificare sicuramente il consegnatario attraverso la qualifica a lui attribuita di collega di studio”.

2.2. Entrambi i motivi sono accompagnati da un quesito di diritto inadeguato che ne determina l’inammissibilità.

Palese n’è invero, nella loro redazione, l’inosservanza degli insegnamenti dispiegati da questa Corte in ordine alla formulazione del quesito di diritto in guisa dei quali, com’è noto, il quesito di diritto che a mente dell’art. 366-bis c.p.c., in allora vigente, deve concludere l’esposizione del motivo ove si denunci una violazione o una falsa applicazione di legge da parte del giudice a quo, dovendo assolvere alla funzione di integrare “il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale” non può essere meramente generico e teorico, “ma deve essere calato nella fattispecie concreta” (3530/12), per non risolversi “in una tautologia o in un interrogativo circolare” (SS.UU. 28536/08) e deve in particolare compendiare “a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie” (1013/15; 27539/14; 19769/08), in modo tale da “consentire alla Corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata” (SS.UU. 26020/08).

Al contrario nella specie i quesiti con cui si chiede che la Corte dica, nell’ordine, “che non è valida ed efficace, ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2 la notifica in luogo diverso dallo studio del destinatario ed a persona che non si sia qualificata collega di studio del destinatario stesso, ma tale qualifica sia unilateralmente attribuitagli dal notificante” e “che è nulla ai sensi degli artt. 148 e 160 c.p.c., per incertezza assoluta sul consegnatario, la notifica se non risultano indicate le generalità del consegnatario stesso e questi non è sicuramente identificabile attraverso la menzione del suo rapporto con il destinatario” ignorano totalmente i criteri in parola risultando privi di ogni indicazione sulla fattispecie concreta, sulle regole applicate e su quelle applicande e risolvendosi in buona sostanza nel chiedere non che la Corte faccia esercizio di nomofilachia, ma che esprima un parere giuridico sulla vicenda sottoposta al suo esame, dichiarando se sia corretta o no l’interpretazione della norma astrattamente patrocinata dalla parte.

3.1. Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono del vizio motivazionale che inficia l’impugnato pronunciamento nella parte in cui ha ritenuto che la notifica fosse stata effettuata nei confronti di un collega di studio del domiciliatario, avendo il giudice d’appello “omesso ogni e qualsiasi motivazione” sul perchè ha inteso disattendere la documentazione prodotta, ancorchè da essa fosse desumibile che nessun avv.to Dibisceglia o simili risultasse collega del domiciliatario.

3.2. Anche il motivo in parola è affetto da pregiudiziale inammissibilità.

Previamente ricordato, come già si è detto sopra, che la specie soggiace ratione temporis al vigore dell’art. 366-bis c.p.c., è noto infatti che, secondo lo stabile insegnamento della Corte “anche nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione, sintetica ed autonoma, del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (SS.UU 20603/07) e che consenta l’immediata “rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente” (7865/15; 7847/15; 5858/13).

Nella specie i ricorrenti, nell’illustrazione del motivo, ne hanno omesso la formulazione e, dunque, il motivo va dichiarato inammissibile.

4. Il ricorso va perciò rigettato per inammissibilità dei motivi e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2500.00, oltre eventuali spese prenotate a debito ed eventuali accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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