Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22212 del 12/09/2018

Cassazione civile sez. I, 12/09/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 12/09/2018), n.22212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17152/2013 proposto da:

M.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria n. 2,

presso lo studio del Dott. Placidi Giuseppe, rappresentato e difeso

dall’avvocato Corti Massimo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Mo.Ma., elettivamente domiciliato in Roma, Via Ugo Ojetti

n. 350, presso lo studio dell’avvocato Maccarrone Giuseppe, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Boldizzoni Giorgio,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 642/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 22/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/06/2018 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO

che:

Con contratto preliminare in data 17/02/2004 Mo.Ma. aveva promesso di vendere a M.P., titolare di omonima impresa edile, dei beni immobili di sua proprietà al prezzo di Euro 51.645,00 con la previsione che detto corrispettivo sarebbe stato riassorbito dalla realizzazione a cura del promissario acquirente di un edificio al rustico in forza di contratto di appalto contestualmente sottoscritto sino a concorrenza del valore delle opere realizzate.

Con contratto di appalto in pari data Mo. aveva, infatti, commesso al M. la costruzione di un immobile con la previsione che il primo certificato di pagamento sarebbe stato emesso dal direttore dei lavori per un valore corrispondente a quello degli immobili di cui al preliminare non appena fossero stati eseguiti lavori di importo corrispondente, di modo da compensare le contrapposte obbligazioni.

Con atto in data 16/04/2004 le parti avevano stipulato il contratto di compravendita per il minor prezzo di Euro 40.000,00, di cui Euro 6.714,00 la parte venditrice ( Mo.) aveva dichiarato di avere ricevuto dalla compratrice ( M.), restando a carico di quest’ultima il versamento del saldo.

Nel corso dell’esecuzione del contratto di appalto Mo. decideva di adire gli arbitri, come previsto dalla clausola compromissoria, chiedendo la risoluzione del contatto per grave inadempimento dell’appaltatore: sosteneva che questi, dopo aver ricevuto due acconti dell’ammontare complessivo di Euro 25.073,00 ed avendo realizzato opere per un valore certamente inferiore all’importo di Euro 51.645,00, contemplato nel contratto di appalto, aveva preteso l’emissione del primo certificato di pagamento ed il versamento di un ulteriore acconto di Euro 20.000,00, e, non ottenendolo, aveva abbandonato il cantiere. Aveva chiesto, quindi, il versamento della differenza somme ed il risarcimento danni.

M., costituendosi nel giudizio arbitrale, aveva a sua volta dedotto il grave inadempimento del committente per avere rifiutato l’emissione del primo certificato di pagamento malgrado fossero state eseguite opere per un importo ben superiore alla controprestazione già effettuata in proprio favore ed aveva chiesto la risoluzione del contratto di appalto, il pagamento dei lavori eccedenti il valore di quanto ricevuto ed il risarcimento danni.

Il lodo arbitrale reso in Alemanno San Salvatore in data 20/05/2005 veniva impugnato da M.P. e la Corte di appello di Brescia, definendo il giudizio rescindente con sentenza parziale, ha dichiarato la nullità del lodo.

Con la sentenza in epigrafe indicata, oggetto di ricorso per cassazione, la Corte di appello, in sede di giudizio rescissorio, sulla base di prove orali e dell’espletata CTU ha pronunciato la risoluzione del contratto di appalto stipulato il 17/02/04 tra Mo.Ma. e M.P. per inadempimento di quest’ultimo; quindi ha condannato Mo. a pagare a M. il saldo del corrispettivo delle opere eseguite per Euro 5.375,66, oltre interessi ed ha condannato M. a pagare a Mo. il risarcimento per i danni provocati dall’inadempimento contrattuale per Euro 7.574,39, oltre rivalutazione ed interessi.

M. propone ricorso per cassazione con un mezzo; replica Mo. con controricorso.

Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Si osserva che, nel caso in esame, avendo già pronunciato la Corte di appello la nullità del lodo con sentenza definitiva perchè non impugnata, il giudizio di legittimità riguarda solo la fase rescissoria che è stata decisa nel merito ex art. 830 c.p.c., comma 2.

2. Con l’unico motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., in relazione all’art. 1655 c.c.. Contraddittorietà – error in iudicando ed insufficiente ed illogica motivazione su fatto decisivo per il giudizio”.

Sostiene il ricorrente M. che la Corte di appello erroneamente ha applicato l’art. 1460 c.c., ritenendo ingiustificato l’abbandono del cantiere da parte sua ed escludendo che potesse avvalersi della eccezione di inadempimento della parte avversa, sul presupposto, dato per pacifico, che il Mo. aveva già provveduto al pagamento di due acconti. Il ricorrente sostiene che già in sede arbitrale era stato espressamente contestato che tali pagamenti vi fossero stati, assumendo che le fatture erano state emesse solo per giustificare dal punto di vista contabile i lavori eseguiti e che il Mo. non aveva fornito la prova di quanto sostenuto, circa l’effettivo pagamento, in violazione dell’art. 2697 c.c..

Il ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto provato l’adempimento parziale da parte del Mo. solo sulla scorta delle due fatture ed abbia quindi ritenuto giustificato il mancato rilascio del primo certificato di pagamento, non ravvisando uno squilibrio tra le controprestazioni ancora non eseguite.

3. Il motivo è inammissibile perchè, in disparte dai profili concernenti la prospettazione cumulativa di vizi motivazionali e violazioni di legge, sollecita sostanzialmente una rivalutazione delle acquisizioni probatorie diversa da quella seguita della Corte di appello e conforme alle aspettative del ricorrente, non coglie la ratio decidendi e si sofferma su profili di cui non illustrata in maniera specifica la decisività.

La Corte di appello ha infatti delineato il thema decidendum afferente all’esecuzione del contratto di appalto – senza che il punto sia attinto da censura – nel necessario confronto tra le prestazioni cui le parti si erano obbligate, al fine di accertare se la richiesta di emissione del primo certificato di pagamento fosse fondata e se, in tale ipotesi, il rifiuto opposto dal committente potesse autorizzare l’appaltatore ad abbandonare il cantiere e a rifiutare l’ulteriore esecuzione dell’appalto (fol. 10).

Quindi, sulla scorta della effettuata CTU, ha affermato che il target dei lavori per l’emissione del primo certificato di pagamento era stato raggiunto, ma ha escluso che tale circostanza potesse condurre all’accoglimento della pretesa del M.. In particolare ha ritenuto che la pretesa dell’emissione del primo certificato – destinato a operare in compensazione per la controprestazione resa dal committente con il trasferimento della proprietà dei beni concordati a favore del M. con il contratto definitivo del 16/04/2004 – non incorporava un interesse di quest’ultimo economicamente valutabile poichè il Mo. come “sostanzialmente pacifico in causa… aveva già versato due acconti di Euro 12.376,00 e di Euro 12.773,00 rispettivamente in data 08/07/2004 e in data 02/09/2004” proprio per l’esecuzione delle opere appaltate (fol. 13).

4. Orbene, la denuncia del M. – incentrata sulla contestazione della effettiva percezione delle somme prima indicate, che la Corte – a suo avviso – avrebbe desunto dall’emissione di due fatture avvenuta solo a fini contabili e tale da non comprovare l’effettivo pagamento, non risulta pertinente: invero l’accertamento in fatto circa la corresponsione delle somme anzidette, compiuto dalla Corte territoriale all’esito di specifica attività istruttoria, non contiene alcun riferimento alle fatture, che non risultano menzionate in sentenza, e la censura appare eccentrica rispetto alla motivazione impugnata e priva di diretta decisività.

5. A ciò va aggiunto che il ricorrente svolge le sue argomentazioni in merito alle fatture in maniera del tutto carente sul piano della specificità, sotto due profili.

Da un lato, non illustra adeguatamente in che termini precisi la questione sia stata sottoposta alla Corte di appello, atteso che più volte riferisce di averla sottoposta agli arbitri, sostenendo poi di avere lamentato – in sede di gravame – l’assenza del versamento del corrispettivo con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 e, quindi, in sede di replica alla comparsa conclusionale (fol. 8/9 del ricorso): orbene, posto che ciò che è avvenuto nella fase arbitrale è travolto dalla declaratoria di nullità del lodo, come puntualizza la stessa Corte di appello (fol. 10 della sent.), va rimarcato che il passo trascritto della memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, non riguarda le fatture e che la replica alla comparsa di risposta non è atto idoneo a introdurre domande o eccezioni, con evidenti ricadute negative sull’ammissibilità del motivo.

Dall’altro, il ricorrente non trascrive nemmeno il contenuto delle fatture di modo da far comprendere se le stesse fossero riferite ad acconti, ovvero a lavori straordinari aggiuntivi o a lavori contrattuali d’importo eccedente il prezzo della vendita, e come formalmente fosse stato regolato il pagamento.

6. In realtà il ricorrente, pur sostenendo la violazione dell’art. 1460 c.c. e la legittimità dell’eccezione di inadempimento correlata al diniego di emissione del primo certificato, sostanzialmente contesta l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte di appello proponendone, inammissibilmente, una sua personale ed alternativa ricostruzione (Cass. n. 2090 del 04/02/2004, n. 18665 del 27/07/2017).

7. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nel compenso di Euro 5.000,00, oltre esborsi per Euro 200,00, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2018

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