Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22211 del 14/10/2020

Cassazione civile sez. I, 14/10/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 14/10/2020), n.22211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11147/19 proposto da:

J.A., elettivamente domiciliato a Macerata, v. Goffredo

Mameli n. 66, presso l’avvocato Andrea Petracci, che lo difende in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona 14.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28.9.2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. J.A., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese in quanto il proprio padre, oppositore del governo, venne dapprima espropriato della propria abitazione, e poi arrestato e ucciso in carcere in circostanze oscure. Aggiunse di temere di essere aggredito dai parenti del proprio padre, di opinioni politiche filogovernative, dai quali era stato già in passato aggredito e picchiato.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento J.A. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Ancona, che la rigettò con ordinanza 15.10.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona con sentenza 14.11.2018.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi sia perchè il racconto del richiedente era inattendibile; sia in ogni caso perchè il richiedente non aveva mai svolto attività politica, e dunque non poteva ritenersi esposto al rischio di persecuzioni politiche; infine perchè la minacce ricevute dai parenti costituivano una vicenda privata, come tale non legittimante la domanda di protezione;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato nè dimostrato specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da J.A. con ricorso fondato su cinque motivi. Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Deduce il ricorrente che la Corte d’appello ha ritenuto generico il racconto del richiedente asilo, senza indicare le ragioni di tale genericità, e soprattutto senza compiere le valutazioni richieste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

1.1. Il motivo è inammissibile, e lo è per più ragioni.

1.2. Innanzitutto, il motivo è inammissibile perchè lo stabilire se una persona sia attendibile od inattendibile è un apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto: ed in quanto tale sfugge al sindacato di questa Corte.

1.3. Nè a tale secolare principio deroga la legislazione speciale in materia di protezione internazionale.

Infatti il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, consente al giudice della protezione internazionale di considerare veri anche fatti non provati, in deroga al generale principio di cui all’art. 2697 c.c., quando ritenga che il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa; abbia reso dichiarazioni plausibili, non contraddittorie e non contraddette ab externo; abbia presentato la domanda di protezione il prima possibile; appaia nel complesso credibile.

Tale norma contiene un periodo ipotetico la cui pròtasi (“se l’autorità competente ritiene che”) rende palese che il legislatore, con essa, non ha affatto stabilito cosa il giudicante debba decidere (nè, del resto, avrebbe potuto farlo, alla luce dell’art. 101 Cost., comma 2), ma ha stabilito soltanto come debba pervenirsi alla decisione di cui si discorre: cioè con quale iter logico e sulla base di quali accertamenti (ex plurimis, Sez. 1, Ordinanza n. 13206 del 30.6.2020; Sez. 3, Ordinanza n. 11965 del 19.6.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 7523 del 25.3.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 16465 del 19.6.2019).

Ne consegue che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto; quella norma potrà dirsi violata solo se il giudice, nel decidere sulla domanda di protezione, non compia gli accertamenti ivi previsti: ad esempio, accogliendo la domanda di protezione nonostante non fossero soddisfatti alcuni dei requisiti previsti dalla norma suddetta, oppure rigettandola nonostante tutti i suddetti requisiti fossero soddisfatti (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01).

Corollario di quanto precede è che colui il quale intenda censurare, in sede di legittimità, la valutazione con cui il giudice di merito ha reputato inattendibile (od attendibile) il richiedente asilo o protezione, non può che prospettare il solo vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e cioè l’omesso esame d’un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Non è invece prospettabile in sede di legittimità, come vizio cassatorio, la mera insufficienza di motivazione o l’astratta possibilità d’una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni del richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; nello stesso senso, ex permultis e per citare solo le più recenti in ordine di tempo, Sez. 1, Ordinanza n. 20288 del 25.9.2020; Sez. 2, Ordinanza n. 20121 del 24.9.2020; Sez. 1, Ordinanza n. 20074 del 24.9.2020).

1.4. Nel caso di specie il ricorrente, pur formalmente richiamando nell’intitolazione del primo motivo di ricorso il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’illustrazione del motivo omette di illustrare tale censura (che infatti forma, come si dirà, oggetto del terzo motivo di ricorso), in particolare trascurando di indicare i quattro elementi costitutivi della censura di omesso esame del fatto: quale fatto sia stato trascurato, quando sia stato dedotto in giudizio, come sia stato provato, perchè sia decisivo (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

1.5. Nè sussiste il lamentato vizio di mancanza della motivazione. Infatti la motivazione fornita dalla Corte d’appello a fondamento del rigetto della domanda di asilo e di protezione sussidiaria non si arresta a pagina 7 (quella trascritta nel ricorso, a p. 4), ma prosegue a pagina 8, terzo capoverso, della sentenza impugnata: ivi la Corte d’appello spiega di non potere ritenere credibile il richiedente:

-) sia perchè è irragionevole ritenere che i suoi parenti volessero nuocergli per le sue idee politiche, nonostante non avesse svolto alcuna attività politica;

-) sia perchè la narrazione era in contrasto con le informazioni generali sul Paese.

Tale parte di motivazione, raccordata col secondo capoverso di pagina 7 della sentenza, soddisfa l’onere d’una motivazione superiore al c.d. “minimo costituzionale”.

Lo stabilire, poi, se il giudizio di attendibilità sia stato compiuto correttamente o scorrettamente, come già detto, è questione di puro fatto, non sindacabile in sede di legittimità.

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta congiuntamente due censure.

Innanzitutto deduce che la Corte d’appello ha errato nell’escludere che, in caso di rimpatrio, egli non sarebbe stato esposto al rischio di un danno grave, senza poter trovare tutela nell’autorità dello Stato.

In secondo luogo deduce che erroneamente la Corte d’appello ha escluso la sussistenza in Gambia di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

2.1. Il motivo nella parte in cui lamenta la mancata considerazione, da parte della Corte d’appello, del pericolo cui il ricorrente sarebbe esposto, di subire aggressioni da parte dei propri parenti, è inammissibile per difetto di rilevanza.

Come già visto, infatti, la Corte d’appello ha fondato la propria decisione di rigetto della domanda di asilo e di quella di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), su una doppia ratio decidendi: da un lato l’inattendibilità soggettiva del richiedente; dall’altro la ritenuta natura privata dei fatti posti a fondamento della domanda.

Poichè, per quanto detto, la prima ratio decidendi resiste alle censure prospettate col primo motivo di ricorso, è divenuto irrilevante stabilire se la Corte d’appello abbia o non abbia trascurato di considerare talune delle circostanze riferite dal richiedente. Infatti quelle circostanze sono state ritenute inveritiere dalla Corte d’appello, e su tale giudizio si è formato il giudicato interno.

2.2. Nella parte in cui lamenta la mancata considerazione del fatto che, in patria, l’odierno ricorrente non troverebbe aiuto da parte degli organi statali, il motivo è inammissibile, in quanto prospetta una censura nuova; nè il ricorso, in violazione dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, precisa in quale atto ed in quali termini tale doglianza sia stata introdotta in primo grado.

2.3. Infine, nella parte in cui lamenta l’erroneità del giudizio con cui la Corte d’appello ha ritenuto insussistente, in Gambia, una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, il motivo è inammissibile, in quanto puramente assertivo: il ricorrente infatti si limita a contrapporre alla valutazione della Corte d’appello una decisione del Tribunale di Palermo, ma senza allegare, nè riferire, quali fonti attendibili ed aggiornate, diffuse prima della deliberazione della sentenza d’appello e non considerate dal giudice di merito, avrebbero dovuto indurre quest’ultimo ad una diversa valutazione.

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta sia il vizio di violazione di legge, sia quello di omesso esame d’un fatto decisivo.

Deduce che la Corte d’appello avrebbe trascurato di considerare “la violenta aggressione da parte dei parenti del padre” dell’odierno ricorrente.

3.1. Nella parte in cui prospetta il vizio di omesso esame di fatti decisivi il motivo è inammissibile: ex 348 ter c.p.c..

Nella parte restante il motivo è inammissibile per le ragioni già indicate al p. 2.1 della presente motivazione.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte della Corte d’appello, del dovere di cooperazione istruttoria imposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8.

Il motivo, con riferimento al rigetto della domanda di asilo e di quella di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), resta assorbito dal rigetto delle censure formulate dall’odierno ricorrente avverso il giudizio di inattendibilità soggettiva del suo racconto.

Con riferimento al rigetto della domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il motivo è infondato. La Corte d’appello, per accertare la sussistenza o meno di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato in Gambia ha fatto riferimento ad un rapporto di Amnesty International del 2017, fonte che certamente deve ritenersi attendibile ed aggiornata. Nè il ricorrente indica nel proprio ricorso per quale ragione quel rapporto dovrebbe ritenersi superato da eventi successivi.

5. Col quinto motivo il ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Nella illustrazione del motivo il ricorrente, dopo aver diffusamente esposto i principi generali che regolano il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, deduce che:

-) in caso di rientro in patria egli “andrebbe incontro a morte certa” per mano dei propri parenti;

-) in fattispecie analoga la Corte d’appello di Trieste ed il Tribunale di Venezia avevano ritenuto di accordare il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

5.1. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto che il permesso di soggiorno per motivi umanitari non potesse essere concesso non solo perchè il richiedente non aveva provato la sussistenza di alcuna condizione di vulnerabilità, ma, prima ancora, perchè non aveva neanche allegato i fatti dimostrativi di tale situazione.

Giusta o sbagliata che fosse, tale ratio decidendi fondata sul difetto di allegazione dei fatti costitutivi della pretesa non è stata impugnata nè col presente, nè con alcun altro motivo del ricorso in esame. Sicchè, trattandosi di una autonoma ratio decidendi di per sè sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, diviene irrilevante stabilire se la sentenza impugnata abbia o non abbia trascurato di considerare le circostanze dedotte dal ricorrente.

6. Non è luogo a provvedere sulle spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2020

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