Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22210 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 03/11/2016, (ud. 27/09/2016, dep. 03/11/2016), n.22210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 308/2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

KONE SPA in persona dell’Amm.re Delegato e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GUIDO D’AREZZO 18,

presso lo STUDIO LEGALE TRIBUTARIO CBA, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIORGIO MARCO IACOBONE giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2009 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 16/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BENINCASA per delega

dell’Avvocato IACOBONE che ha chiesto l’inammissibilità o il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. In data 9.6.2006 l’ufficio di Rho dell’Agenzia delle Entrate faceva notificare alla Kone s.p.a., società facente parte del consorzio Manital, un avviso di accertamento, con cui, recependo le risultanze emerse nel corso di pregresse verifiche fiscali concernenti le attivitià consorziali, procedeva a rettificava le dichiarazioni IVA della parte in ragione della anomala procedura di contabilizzazione dei costi e dei ricavi adottata dal consorzio consistente, in particolare, nell’effettuare nei rapporti con le consorziate “una compensazione tra la maggior somma spettante alla consorziata e la quota di partecipazione ai costi consortili ribaltata dal consorzio sulla singola consorziata”, in conseguenza della quale la consorziata ometteva di fatturare parte dei corrispettivi per le commesse assegnatele e di autofatturare i costi di gestione sostenuti dal consorzio.

Impugnata dall’Agenzia, la decisione di primo grado – che aveva accolto il ricorso della contribuente sul rilievo della correttezza fiscale della condotta della verificata – era confermata dalla CTR Lombardia con la sentenza per cui è causa sulla base dell’argomento secondo cui l’esame delle disposizioni statutarie e regolamentari disciplinanti i rapporti consortili “evidenziano che il consorzio… agisce nei confronti dei terzi in nome proprio e nell’interesse dei consorziati, partecipando alle gare di appalto ed assegnando l’esecuzione dei lotti alle imprese consorziate sulla base di un rapporto contrattuale interno, riconducibile al contratto di sub-appalto. Appaiono quindi illegittime le presunzioni formulate dall’ufficio e le pretese di ribaltare ai consorziati i costi specifici di commessa, correlati all’obbligo di fatturazione, avendo la consorziata assolto ad ogni obbligo fiscale mediante la fatturazione al consorzio degli specifici lavori eseguiti”. Anche l’errore di fatto emergente dall’avviso, osservava ancora il decidente, era di “tutta evidenza”, attesa la differenza tra quota di partecipazione al consorzio e fondo consortile.

Per la cassazione di detta sentenza, la ricorrente Agenzia si affida ad un ricorso su due motivi.

Resiste con controricorso la parte, che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con il primo motivo di ricorso – alla cui disamina non ostano le ragioni di inammissibilità opposte dalla controricorrente vero, circa l’avvalimento nella specie del patrocinio dell’Avvocatura di Stato, viziato per difetto di conferimento in relazione al singolo procedimento e di preventiva richiesta dell’Agenzia, che, come già affermato da questa Corte, anche in replica all’argomento tratto da SS.UU. 3116 e 3118, sul filo delle considerazioni più generalmente sviluppate da SS.UU. 23020/05, del relativo incarico “non deve farsi specifica menzione nel ricorso atteso che l’art. 366 c.p.c., n. 5), inserendo tra i contenuti necessari del ricorso “l’indicazione della procura, se conferita con atto separato”, fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo dello ius postulandi, (peraltro, non necessario quando il patrocinio dell’Agenzia delle entrate sia assunto dall’Avvocatura dello Stato) e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore” (14785/11); e vero, quanto alla mancata indicazione nel ricorso dei fatti e degli atti processuali sui quali esso si fonda, che l’obiezione si rivela all’atto della lettura delle prime sei pagine del ricorso erariale priva di fondamento, essendo compiutamente illustrati in modo da soddisfare il principio di autosufficienza del mezzo, gli antefatti di causa, le ragioni di difesa delle parti e le determinazioni giudiziali oggetto di successiva impugnazione – l’Agenzia delle Entrate lamenta in capo al decidente d’appello, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al combinato disposto degli artt. 1706, 1713, 1719 e 1720 c.c., e ancora degli artt. 1709, 2602 e 2615 ter c.c., del principio generale dell’abuso di diritto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, dell’art. 53 Cost., del principio di primazia del diritto comunitario in tema di IVA, degli artt. 1241 e 1705 c.c., art. 3, comma 3, ultimo periodo, art. 6, comma 3, primo periodo, art. 13, commi 1 e 2, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 1, poichè, sull’incontestata premessa di fatto che il consorzio non ha uno scopo di lucro soggettivo e che i consorziati fatturavano i lavori loro assegnati per un importo inferiore al 25% di quello riscosso dal consorzio per l’esecuzione della commessa, la sentenza risulta censurabile: sotto un primo profilo, in quanto, non assumendo il consorzio alcun ruolo di filtro rispetto ai consorziati e “dovendo quindi l’intera commessa… passare dal terzo al mandante”, errata è l’affermazione che nè i costi nè i ricavi avrebbero dovuto essere ribaltati in capo ai consorziati; sotto un secondo profilo, poichè la detta affermazione è parimenti errata rispetto alla neutralità lucrativa del consorzio e al divieto di abusare della personalità giuridica, posto che “l’obbligo derivante dalle disposizioni in epigrafe, che non può essere derogato da norme statutarie, di ribaltare i proventi ed i costi di tutte le commesse in proporzione alla partecipazione nel fondo consortile imponeva una serie di fatturazioni tra il consorzio e le imprese consorziate che non è avvenuto”; sotto un terzo profilo, poichè rispetto al meccanismo operativo della compensazione non si sarebbe potuto affermare con certezza come ritenuto dalla CTR “che le somme palesemente corrisposte dal mandatario/consorzio al mandante consorziato esaurissero sempre l’intero ricavato spettante al mandante”; sotto un quarto profilo, poichè, tenuto conto delle disposizioni in tema di IVA riguardanti i rapporti tra mandante e mandatario, in applicazione delle quali “la contribuente avrebbe dovuto provvedere all’autofatturazione per il ribaltamento dei costi delle commesse non fatturati da parte del consorzio”, ancora errata risulta l’affermazione della CTR che “l’obbligo di formalizzare il ribaltamento dei cosi (e, ove, posti in compensazione degli utili) dal consorzio al consorziato non sia desumibile dalla concreta situazione accertata dai verificatori”; sotto un quinto profilo, poichè in difformità dalle disposizione concernenti l’obbligo di fatturazione, la CTR aveva ritenuto che “il soggetto che effettua la cessione del bene e la prestazione del servizio, sia esso il consorzio o l’impresa consorziata, non deve emettere fattura per la parte dei corrispettivi che sono stati pagati al consorzio/mandatario dal committente e che materialmente non sono stati ribaltati dal consorzio al consorziato, ma che sono stati compensati col rimborso delle spese sostenute dal consorzio”.

2.2. Il motivo – sebbene non pregiudizialmente contrastato dalle ragioni di inammissibilità dedotte dalla controricorrente, vero che il tema con esso sollevato pone una pure questione di diritto e che trattasi di argomentazioni difensive sviluppate a confutazione della contraria affermazione operata dal giudice territoriale – solleva una pluralità di censure che, meritano in considerazione delle ragioni enunciate dai recenti arresti delle Sezioni Unite (SS.UU. 12190/16 e 12192/16), una risposta diffusamente articolata.

2.3. Com’è noto le SS.UU. nei richiamati precedenti, sollecitate dalla Sezione tributaria di questa Corte a comporre il contrasto insorto in merito alla questione del ribaltamento dei costi e degli utili nell’ambito del rapporto consortile – che alcune pronunce avevano risolto sul rilievo che la società consortile funge da struttura di servizio delle società consorziate, di modo che, essendo le operazioni intraprese dalla prima direttamente riferibili alle seconde, i costi inerenti, così come specularmente i ricavi, vanno imputati alle seconde, rimanendo a carico della società solo i costi di commessa e i ricavi derivanti dai contributi degli associati, mentre altre pronunce si erano dette dell’avviso che, potendo il consorzio svolgere in proprio un’attività intrinsecamente commerciale, esso possa essere titolare di ricavi e costi propri, sottratti perciò alla regola del ribaltamento – hanno previamente chiarito, sulla considerazione più volte espressa da questa Corte circa la distinta soggettività della società consortile rispetto alle società consorziate e che la raffigurazione in capo alla prima di uno scopo ordinariamente non lucrativo non esclude che la prima possa essere titolare anche di attività astrattamente foriere di lucro, che con riguardo alla complessiva attività disimpegnata dal soggetto consortile occorre procedere alla “necessaria distinzione tra operazioni poste in essere dalla società consortile in esecuzione del patto mutualistico, da quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale della società consortile” e su questa premessa hanno quindi affermato che “la causa consortile non è ostativa allo svolgimento da parte della società consortile di una distinta attività commerciale con scopo di lucro”, rimandando quindi al giudice di merito il compito di sceverare, nel fascio dei rapporti che fanno capo all’attività della società consortile, quali di essi siano riconducibili all’attività puramente consortile e vadano perciò imputati alle singole consorziate in applicazione delle norme statutarie che ne regolano l’assegnazione e quali invece vi si sottraggono costituendo estrinsecazione dello scopo lucrativo perseguibile dalla società consortile.

Esaminando poi più da presso, con riguardo ai rapporti del primo tipo, la questione oggetto di rimessione, le SS.UU., premesso che “le diverse modalità attraverso le quali viene svolta l’attività della società consortile, nonchè la correlazione delle stesse con gli scopi di volta in volta perseguiti, impongono la necessità di un ulteriore accertamento circa i rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nella fase di assegnazione dei lavori o dei servizi ai singoli consorziati”, hanno inoltre affermato che costituiscono “presupposti imprescindibili” per stabilire se sia o meno necessario il ribaltamento integrale o parziale di costi e ricavi, accertare, accollando il relativo onere probatorio al consorziato, “la natura delle operazioni o servizi rispettivamente espletati dalla società consortile o dalle consorziate ed il rapporto sottostante all’assegnazione dei servizi alle consorziate”, giacchè “nell’ipotesi in cui il consorzio acquisisca una commessa e proceda ad un autonomo adempimento della stessa, indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, va esclusa la legittimità di un ribaltamento dei costi tra tutti i consorziati”, mentre “si dovrà di contro procedere ai ribaltamento di costi e ricavi nel caso in cui il consorzio, pur avvalendosi di proprie strutture, svolga servizi complementari, comunque connessi al criterio mutualistico di utilizzo del servizio consortile”.

Giudicando il caso di specie – parimenti innescato, come quello odierno, su iniziativa di una consorziata Manital – le SS.UU. hanno infine concluso, non essendo controversa tra le parti la circostanza che il Consorzio Manital avesse nella specie proceduto all’assunzione delle commesse in esecuzione di un mandato senza rappresentanza, che si rendano applicabili il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, e art. 13, comma 2, lett. b), e che vada perciò affermata “l’inammissibilità di alcuna differenza tra importo fatturato dal mandatario al terzo e dal mandante al mandatario, e quindi, nella specie, dalla singola impresa al consorzio e quello fatturato dal consorzio al terzo, salva la rilevanza fiscale della provvigione laddove pattuita e formalizzata”.

2.4. I soprascritti principi enunciati dalle SS.UU. debitamente traguardati in rapporto all’odierna vicenda processuale – che come si è visto e detto riproduce lo schema operativo a cui si uniforma la generalità dei rapporti tra il consorzio Manital e la folta compagine delle imprese sue consorziate, in guisa del quale il primo era solito ribaltare costi e ricavi sui secondi operando una compensazione a proprio favore nella misura del 25% a fronte dei costi generali e dei costi specifici di commessa da esso sostenuti – non consentono di dare risposta unitaria al formulato motivo di ricorso, ma impongono di declinarne la soluzione in adesione allo specifico contenuto di ciascuna delle diverse doglianze che con esso si sollevano.

2.5. Sicchè, venendo alle prime due contestazioni che la ricorrente muove alla sentenza impugnata, assumenendone la contrarietà al diritto vivente laddove essa, avallando il sistema di fatturazione adottato da Manital nel regolare il rapporto contabile con le proprie consorziate, ha in breve ritenuto che il consorzio, forzando innaturalmente la propria neutralità causale, possa essere titolare di un’attività lucrativa, trattenendo per sè una quota parte dei ricavi derivanti dalle commesse e non ribaltati sul consorziato ed ha ricusato la tesi che le modalità operative così descritte, snaturando indebitamene lo causa consortile, celino un abuso del modello consortile piegato a finalità di lucro ad esso estranee, la loro infondatezza è dopo il pronunciamento delle SS.UU. inoppugnabile avendo le medesime, come si è detto sopra, chiaramente enunciato, all’esito di un percorso argomentativo che ha inteso ricostruire il quadro evolutivo fatto segnare dalla giurisprudenza della Corte sul punto, il principio secondo cui “la causa consortile non è ostativa allo svolgimento, da parte della società consortile, di una distinta attività commerciale con scopo di lucro”. Perdendo con ciò consistenza la prima obiezione che la ricorrente muove alla sentenza impugnata, in quanto il consorzio e, meglio, la società consortile, secondo l’inquadramento fattone dalle SS.UU., può infatti annoverare tra i propri scopi, oltre che quello di intermediare gli affari per i propri associati – nel che propriamente si risolve la causa consortile del negozio che presiede alla sua costituzione – anche quello di svolgere un’attività lucrativa in proprio che la colloca legittimamente nel novero degli enti associativi aventi uno scopo siffatto, viene meno anche la seconda concorrente obiezione sollevata dall’erario, poichè se lo scopo lucrativo è compatibile con il modello consortile nessuna alterazione della causa di esso configurante un abuso del modello stesso è perciò ravvisabile se il consorzio ometta di ribaltare la totalità dei proventi e dei costi sui singoli consorziati, trattenendo per sè una quota proporzionale dei primi a fronte di oneri sostenuti in proprio.

2.6.1. Analogo giudizio non è invece replicabile con riferimento alle altre doglianze che la ricorrente ha cura di sollevare con il motivo, censurando la decisione della CTR nella parte in cui questa, ravvisando la legittimità del sopradescrittto meccanismo di fatturazione, ha negato ogni rilevanza alla denunciata opacità del metodo seguito per determinare la misura della compensazione, ha ignorato l’assetto giuridico assunto dal rapporto tra consozio e consorziato in guisa del quale il primo agisce in veste di mandatario senza rappresentanza del secondo ed ha perciò escluso l’obbligo di quest’ultimo di fatturare totalmente i compensi riscossi per la commessa dal consorzio e di autofatturare i costi sostenuti dal consorzio per spese generali e per spese specifica di commessa.

2.6.2. Sebbene le formulate censure, considerate nel loro complesso, mostrano di essere depositarie di una visione della fattispecie che, nell’evidente riflesso indotto dell’argomento secondo cui al consorzio sarebbe precluso il perseguimento di ogni finalità lucrativa, oggetto come si è visto della prima doglianza di cui al motivo, rispecchia la convinzione che, non potendo perciò il consorzio essere titolare di un’attività lucrativa propria, le operazione da esso concluse debbano essere imputate ai singoli consorziati secondo una regola giuridica costante, sintetizzabile nella disciplina del mandato senza rappresentanza, sicchè esse, proprio perchè frutto di tale visione, solo in parte intercettano la realtà del fenomeno; che, come già evidenziato, può rivelarsi in forme diverse non sempre riconducibili al medesimo schema, nondimeno se a dette censure si guarda con l’ottica delle SS.UU. che hanno segnalato la necessità per il giudice del merito di procedere ad un duplice accertamento (il primo inteso ad appurare se il consorzio agisca in proprio o quale mandatario senza rappresentanza; il secondo diretto a stabilire l’assetto dei rapporti interni tra il consorzio ed i singoli consorziati) il punto di frizione che la decisione impugnata fa registrare rispetto all’idea, pure evocata dalle argomentazioni della ricorrente, che il fenomeno non si presti ad una “sola” lettura giuridica risulta di piana ed inoppugnabile verità. Invero legittimando il meccanismo compensativo in atti sulla base della considerazione secondo cui l’esame delle disposizioni statutarie e regolamentari disciplinanti nella specie i rapporti consortili evidenzia “che il consorzio… agisce nei confronti dei terzi in nome proprio e nell’interesse dei consorziati, partecipando alle gare di appalto ed assegnando l’esecuzione dei lotti alle imprese consorziate sulla base di un rapporto contrattuale interno, riconducibile al contratto di sub-appalto”, il giudice d’appello mostra di non avere una chiara percezione della fattispecie al suo esame, che non coglie infatti in tutta la sua estensione allorchè, applicando una comune chiave ermeneutica fondata sulla figura dell’appalto, finisce per confinare alla sola ipotesi del riparto interno, ignorando che le forme dell’agire consortile possono essere invece le più disparate.

2.6.3. Quel che più preme è, però, che così ragionando – e riconoscendo perciò senza riserve la legittimità della compensazione dei costi con i ricavi operato nella specie da Manital e dalle sue consorziate – il giudice territoriale è pure incorso, alla stregua del positivo insegnamento dispiegato dalle SS.UU., nell’errore di diritto denunciato con le norme richiamate in rubrica.

Invero, in chiara violazione delle richiamate disposizioni in tema di mandato -e, riflessamente, di quelle che disciplinano sul piano fiscale il rapporto tra mandante e mandatario, nonchè pure della richiamata norma in tema di compensazione -, prescindendo dallo scandagliare doverosamente il quadro complessivo delle attività imputabili al consorzio, egli ha previamente omesso di chiedersi se il ribaltamento dei ricavi, a fronte di una pure corrispondente compensazione non meglio acclarata dei costi, andasse esente da censure alla luce del fatto che talune commesse potevano essere eseguite direttamente dal consorzio; sempre in chiara violazione delle norme ricordate, ha poi ritenuto legittimo l’omesso ribaltamento del totale dei ricavi, a fronte di una corrispondente compensazione non meglio acclarata dei costi, sebbene l’intera disciplina del mandato e, segnatamente, gli artt. 1705 e 1706 c.c., portino a ritenere che gli effetti del negozio concluso dal mandatario siano anche patrimonialmente imputabili al mandante; ha, infine, ancora violato le norme anzidette ed, in particolare, gli art. 3, comma 3, ultimo inciso, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 2, lett. b), laddove, legittimando la trattenuta operata sui ricavi, quale naturale riflesso del parziale ribaltamento di essi attuato con il descritto meccanismo di contabilizzazione, si è fatto implicitamente interprete della tesi – non ignota peraltro alle SS.UU. – che la somma corrispondente fosse rappresentativa di un compenso provvigionale dovuto al consorzio per l’attività espletata, ancorchè le norme testè richiamate – nella specie l’art. 13, comma 2, lett. b) citato – ne consentano la decurtazione a condizione però, come ricordato ancora dalle SS.UU., che sia il consorziato a “fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, o che la stessa corrisponda a provvigioni o servizi resi dal consorzio al terzo”.

2.7. La sentenza, giudicando esente da vizi il metodo di fatturazione dei costi e dei ricavi in essere tra le parti, non si è data alcuna premura di verificarne la legittimità alla luce delle disposizione sopra richiamate e della concreta realtà della fattispecie esaminata. E va per questo doverosamente cassata.

3. Il secondo motivo del ricorso inteso a denunciare la nullità della sentenza impugnata per non aver proceduto, a fronte del lamentato errore di calcolo, all’autonoma determinazione del dovuto va, accolto il primo motivo di ricorso, dichiarato conseguentemente assorbito.

4. La causa, previa cassazione della sentenza impugnata nei limiti in cui il primo motivo di ricorso ha trovato accoglimento in motivazione, va rinviata avanti al giudice territoriale per il rinnovato esame ai sensi dell’art. 383 c.p.c..

PQM

La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta il detto motivo nel resto e dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa l’impugnata sentenza nei limiti anzidetti e rinvia la causa avanti alla CTR Lombardia che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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