Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2221 del 30/01/2010

Cassazione civile sez. III, 30/01/2010, (ud. 19/11/2009, dep. 30/01/2010), n.2221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 564-2009 proposto da:

SOCIETA’ ROEN DI DE ANGELIS ENZO & PANTANELLA VINCENZA & C.

SNC, in

persona degli Amministratori, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PAOLO ZACCHIA 11, presso lo studio dell’avvocato GIALDRONI MARIO, che

la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S., C.M., quali eredi e successori

della Ditta individuale MAC ROMA di Cinzia Veluti;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3871/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

3/10/08, depositata il 28/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato Gialdroni Mario, difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Con sentenza del 28/10/2008 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’interposto gravame ed in riforma dell’impugnata sentenza del Tribunale di Roma del 12/7/2005, dichiarava risolto il contratto di locazione stipulato tra la società ROEN di DE ANGELIS ENZO & C. s.n.c. e l’impresa individuale MAC ROMA di Veluti Cinzia avente ad oggetto immobile ad uso non abitativo sito in (OMISSIS) per grave inadempimento di quest’ultima, con condanna al relativo rilascio, altresì revocando il sequestro conservativo a suo tempo concesso sui beni mobili che lo corredavano nonchè condannando la suindicata società alla restituzione di somma dì denaro a titolo di indebito oggettivo.

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la ROEN di DE ANGELIS ENZO & C. s.n.c. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo con il quale denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, artt. 32 e 79, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa ed insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

Va anzitutto premesso che il motivo risulta formulato inammissibilmente denunziandosi contestualmente vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, laddove la disciplina in tema di ricorso per cassazione risultante dalla riforma introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 impone l’autonoma e separata prospettazione dei vizi asseritamente affettanti l’impugnata decisione.

L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2 007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 1711/2007, n. 15949).

Orbene, nel caso il motivo, avuto riguardo alla parte del medesimo con il quale si denunzia violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, risulta formulato senza recare invero la richiesta proposizione di un quesito di diritto.

E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione dei quesiti di diritto implicita nella formulazione dei motivi di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.

Quanto al vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso in relazione ai motivi con i quali si denunziano vizi di motivazione il ricorso non reca invero la chiara indicazione – nei termini più sopra indicati – delle ragioni del denunziato vizio di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come nella specie altresì carente di autosufficienza.

I motivi si palesano pertanto privo dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata al difensore della parte costituita;

rilevato che la ricorrente ha presentato memoria;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione – rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione, non infirmate dalle osservazioni dalla ricorrente esposte nella memoria, non potendo considerarsi invero come idoneo quesito di diritto l’affermazione secondo cui “Si tratta cioè di considerare la situazione presa in considerazione da un ventennio di coerente e consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio, secondo la quale la nullità dei patti in deroga alle disposizioni operative della legge, riguarda esclusivamente le convenzioni tendenti ad escludere preventivamente i diritti del locatario, mentre, allorchè il rapporto è insorto ed è in corso, nulla vieta allo stesso locatario di disporre come vuole dei diritti a lui spettanti” riportata, come indicato nella memoria, nell’ambito “(pag. 6)” del ricorso, trattandosi invero di mera asserzione in cui (anche) si compendia l’argomentare posto a sostegno della denunziata censura, la quale in ogni caso risulta difforme dal relativo schema – richiamato nella relazione – delineato da questa Corte (in particolare v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), appalesandosi pertanto inidonea a consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di evincere in termini esaustivi i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360) e di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), non essendo d’altro canto l’art. 366 bis c.p.c. suscettibile di essere interpretato nel senso che il quesito di diritto possa (e a fortiori debba) desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258);

considerato che l’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide invero anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463;

Cass. Sez. Un., 25/11/2008. n. 28054; Cass. Sez. Un., 30/10/2008, n. 26020), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444);

rilevato che analoghe valutazioni valgono invero relativamente alla mancata formulazione della chiara indicazione del fatto controverso segnalata nella relazione, non potendo riconoscersi invero rilievo al riguardo alle asserzioni contenute nella memoria secondo cui “il fatto controverso è pur specificamente riportato: pagamento del canone relativo al contratto originario o quello pattuito ed accettato in prosieguo?” e “Gli argomenti logici per una diversa valutazione tale da dover condurre a diversa decisione, sono stati quelli riferiti per relationem nelle decine di decisioni conformi in una ventennale continuità (dal 1986 al 2008), con massime acquisite nella documentazione in fascicolo e riportate nel ricorso come parte integrante ed essenziale dello stesso”;

ritenuto doversi altresì sottolineare come il ricorso risulti pure carente di autosufficienza, laddove non vengono invero debitamente riportate nel ricorso nemmeno le clausole dell’evocato “ineccepibile contratto del 1 giugno 1987 regolarmente registrato”;

atteso che a tale stregua le deduzioni dell’odierna ricorrente si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr., da ultimo, Cass., 18/4/2006, n. 8932), per tale via in realtà sollecitando, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443);

ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

considerato che non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2010

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