Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2221 del 25/01/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/01/2019, (ud. 18/01/2018, dep. 25/01/2019), n.2221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14069-2013 proposto da:

S.K. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato STEFANO MENICACCI, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.W., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAMPIELLO SUL

CLITUNNO 20, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO GALDIERI, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/02/2013 R.G.N. 10308/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per inammissibilità e in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato GIOVANNI RUSSINO, per delega verbale Avvocato

RICCARDO GALDIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma, con sentenza emessa in data 22.7.2010, rigettava il ricorso proposto da S.K., nei confronti di C.W. – presso la cui abitazione la prima aveva prestato servizio, quale collaboratrice domestica, dal (OMISSIS) -, diretto ad ottenere la condanna della datrice di lavoro al pagamento, a titolo di differenze retributive, della somma complessiva di Euro 49.018,25. Avverso tale pronunzia, la S. interponeva appello, sostenendo che, avendo le parti transatto la lite dopo il deposito del ricorso ed avendo il difensore della stessa richiesto la trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale per la liquidazione del suo compenso ai sensi del R.D.L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, il giudice di prime cure avrebbe dovuto attivare il predetto procedimento o, in subordine, dichiarare la cessazione della materia del contendere e liquidare le spese di lite in base al principio della soccombenza virtuale.

La Corte territoriale di Roma, con sentenza depositata il 18.2.2013, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava la cessazione della materia del contendere, compensando integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado.

Per la cassazione della sentenza ricorre la lavoratrice articolando un motivo contenente tre censure.

C.W. resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il ricorso si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91e 92 c.p.c.; L. n. 794 del 1942, artt. 28,29 e 30; L. professionale forense n. 1578 del 1933, art. 68, ed in particolare, si lamenta che la Corte distrettuale, nonostante l’accordo conciliativo (con cui è stata implicitamente riconosciuta la fondatezza delle pretese della ricorrente) fosse intervenuto in corso di causa e senza la “partecipazione” del legale della medesima – il quale era stato escluso dalla sottoscrizione del verbale di conciliazione e, pertanto, non aveva neppure rinunciato ai vincolo di solidarietà professionale ex art. 68 L.P. avrebbe arbitrariamente disposto la compensazione delle spese di lite sul presupposto che non fosse possibile ricorrere allo speciale procedimento previsto dal R.D.L. n. 794 del 1942, artt. 28, 29 e 30, trattandosi di procedura attivabile dal difensore solo dopo la decisione della causa e non fosse possibile applicare l’art. 92 c.p.c. per assenza di previsione di liquidazione di spese, in favore dell’avvocato della ricorrente, nel verbale di conciliazione.

1.1. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Invero, la Corte di merito ha, innanzitutto, ricostruito la sequenza fattuale, sottolineando che, in data 19.10.2009, la S. “ha inoltrato alla Commissione di Conciliazione istituita presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Roma la richiesta di espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c.” e che la Commissione ha convocato le parti per il giorno 13.1.2010, ma che, “in quell’occasione, la discussione è stata rinviata al 29.4.2010, stante l’assenza della lavoratrice”; ha, altresì, dato atto del fatto che, a tale ultima data, “in assenza del legale della ricorrente, le parti hanno conciliato la lite con la stipulazione di un accordo transattivo che prevedeva il contestuale pagamento, in favore della S., della complessiva somma di Euro 2.700,00, a fronte della sua rinuncia ad ogni altra pretesa ricollegabile al rapporto di lavoro intercorso con la controparte”. Successivamente, in data 4.6.2010, il ricorso è stato notificato alla datrice di lavoro la quale, costituendosi in giudizio, ne ha eccepito la inammissibilità, essendo intervenuta la predetta conciliazione. All’udienza fissata per la discussione della causa, il difensore della ricorrente ha chiesto che venisse applicata “per la liquidazione delle spese, ai sensi dell’art. 68 della legge professionale forense, il rito camerale (R.D.L. n. 794 del 1942, artt. 218, 29 e 30) con eventuale trasmissione del fascicolo al presidente della sezione”.

Tutto ciò premesso, questo Collegio osserva che, correttamente ed in adesione agli arresti giurisprudenziali di legittimità, i giudici di seconda istanza hanno confermato la sentenza di prime cure relativamente alla statuizione di rigetto della richiesta di attivazione della procedura di liquidazione dei compensi prevista dal R.D.L. n. 794 del 1942, artt. 28, 29 e 30, in quanto tale procedura può essere attivata dal difensore solo “dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura” per ottenere la liquidazione del compenso dovuto dal proprio cliente, mentre, una volta incardinata la lite con il deposito del ricorso, la controversia deve essere definita con sentenza che provveda anche sulle spese, ai sensi degli artt. 91 c.p.c. e segg.. Sempre correttamente, la Corte distrettuale ha osservato riformando, sul punto, la decisione del primo giudice – che, nella fattispecie, con tale pronunzia doveva essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, poichè nelle cause soggette all’applicazione del rito del lavoro la litispendenza si determina con il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice competente e non con la notifica (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 4676/1992); per la qual cosa, l’avvenuta conciliazione dopo il deposito del ricorso ha determinato, nella pendenza della lite, la cessazione della materia del contendere. Peraltro, avuto riguardo al disposto dell’art. 92 c.p.c., comma 3, i giudici di secondo grado hanno condivisibilmente disposto la compensazione delle spese di lite, non avendo le parti disposto diversamente nel verbale di conciliazione.

Va, infine, osservato che, conformemente ai principi costantemente enunciati da questa Corte (cfr., ex multis, Cass. nn. 14193/2010; 1899/1986), l’art. 68 della legge professionale forense non può essere applicato quando la causa sia definita con una pronunzia di cessazione della materia del contendere per intervenuta conciliazione, in quanto la predetta disposizione, nello stabilire che tutte le parti che hanno conciliato la lite sono solidalmente obbligate al pagamento degli onorari ed al rimborso delle spese in favore degli avvocati che hanno partecipato al giudizio definito in quella sede, fa riferimento agli accordi attraverso i quali le parti siano pervenute alla cessazione della lite senza la pronunzia giudiziale e non già ad ipotesi, quale quella di cui si tratta, in cui vi sia stata una decisione del giudice, seppure soltanto finalizzata a provvedere sulle spese. In tali ipotesi, infatti, manca il presupposto stesso per l’applicazione dell’art. 68 citato, “il quale implica l’esistenza di un accordo diretto, appunto, a sottrarre al giudice anche la pronunzia sulle spese”.

2. Per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato.

3. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

4. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00, di cui Euro 800,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2019

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