Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22203 del 03/11/2016
Cassazione civile sez. trib., 03/11/2016, (ud. 21/07/2016, dep. 03/11/2016), n.22203
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21903/2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
L.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE REGINA
MARGHERITA 262-264, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE
TAVERNA, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 79/2009 della COMM. TRIB. REG. del lazio,
depositata il 26/06/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
21/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;
udito per il ricorrente l’Avvocato TIDORE che ha chiesto
l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato STEFANINI per delega
dell’Avvocato TAVERNA che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di un motivo, avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio, rigettando l’appello proposto dall’Ufficio, ha riconosciuto a L.P.M., esercente la professione di medico di base convenzionato, il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni dal 2002 al 2004.
Riteneva il giudice di appello che il contribuente non fosse soggetto ad IRAP, svolgendo l’attività professionale senza avvalersi di dipendenti nè collaboratori e senza utilizzare beni strumentali.
Resiste con controricorso l’intimato.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico motivo la ricorrente deduce insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Lamenta che la C.T.R. non aveva chiarito le ragioni in base alle quali aveva ritenuto che gli elementi contabili evidenziati dall’Ufficio nell’atto di appello – inerenti i compensi erogati a personale dipendente con mansioni di segretaria, spese per immobili e per beni strumentali – fossero inidonei a configurare il presupposto impositivo dell’IRAP.
Il ricorso è infondato.
Ritiene la Corte che la sufficienza della motivazione della sentenza impugnata (secondo cui era rimasto accertato che il contribuente aveva svolto l’attività professionale senza avvalersi di dipendenti o collaboratori e non utilizzando beni strumentali) non sia scalfita dalla censura mossale. La ricorrente, infatti, nel lamentare che la C.T.R. non abbia tenuto conto dei dati contabili emergenti dalle dichiarazioni dei redditi, non chiarisce, però, la decisività del fatto, nell’accezione rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero l’incongruità dell’importo delle spese sostenute dal contribuente, solo ipoteticamente e genericamente dedotte quali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale a fronte del contrario accertamento in fatto compiuto dal giudice del merito.
La circostanza che erroneamente la C.T.R. abbia affermato che il contribuente non si fosse avvalso di dipendenti o collaboratori, mentre è incontestato che disponesse di una segretaria, non assume rilievo, alla luce del pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 9451/2016), con la quale è stato chiarito che “in tema di imposta regionale sulle attività produttive, il presupposto dell'”autonoma organizzazione” richiesto dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive (in applicazione del principio, la Suprema Corte ha respinto il ricorso contro la decisione di merito che aveva escluso l’autonomia organizzativa di uno studio legale dotato soltanto di un segretario e di beni strumentali minimi)”.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.600,00, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016