Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 22202 del 03/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 03/11/2016, (ud. 21/07/2016, dep. 03/11/2016), n.22202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21760/2010 proposto da:

G.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MUGGIA

33, presso lo studio dell’avvocato G.P.G.,

rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 159/2010 della COMM. TRIB. REG. del LAZIO,

depositata il 23/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato G. che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato TIDORE che si riporta al

controricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

G.P.G., avvocato, propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva confermato la sentenza di primo grado di rigetto dell’impugnazione proposta dal contribuente avverso la cartella di pagamento per IRAP, sanzioni e interessi relativa all’anno di imposta 2004.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo il ricorrente censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la sentenza impugnata per violazione della normativa istitutiva dell’IRAP sotto il profilo del presupposto costituito dalla sussistenza di una autonoma organizzazione.

Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo la sentenza impugnata apoditticamente ritenuto che il ricorrente esercitasse una attività autonomamente organizzata.

Con il terzo motivo si lamenta la omessa e contraddittoria motivazione “in ordine al requisito costituito dalla idoneità dell’organizzazione “a produrre – per i motivi dedotti – valore aggiunto autonomamente”. I tre motivi di censura, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili.

La sentenza impugnata si fonda su due ragioni autonome, ciascuna delle quali idonea a sorreggere la decisione.

Con riferimento al sussistenza del presupposto impositivo, la C.T.R. ha rilevato che il contribuente aveva presentato la dichiarazione dei redditi compilando l’apposito quadro relativo all’IRAP e che l’amministrazione finanziaria aveva conseguentemente iscritto a ruolo l’imposta dichiarata, sicchè la prova della non debenza dell’imposta rimaneva a carico del contribuente, il quale non aveva tuttavia assolto a tale onere.

Il giudice di appello ha inoltre osservato: “La cartella di pagamento, sopra descritta, poteva essere impugnata solo ed esclusivamente per vizi propri, come stabilito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19; inoltre la stessa non può essere impugnata per vizi suscettibili di rendere nullo od annullabile l’atto prodromico presupposto”.

Tale ultima ratio decidendi non è stata impugnata dal ricorrente, il che determina l’inammissibilità del ricorso. E’ invero consolidato l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una sola di tali ragioni, determina l’inammissibilità, per difetto d’interesse, del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso, con riferimento agli altri motivi, non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, per cui l’impugnata sentenza resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa (ex plurimis, Cass. civ., sez. trib., 16/04/2014, n. 8847).

Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2016

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